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Hannah e le sue sorelle (1986)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 26 dic 2024
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 3 giorni fa

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Hannah e le sue sorelle

(Hannah and Her Sisters) USA 1986 commedia drammatica 1h47’

 

Regia: Woody Allen

Sceneggiatura: Woody Allen

Fotografia: Carlo Di Palma

Montaggio: Susan E. Morse

Scenografia: Stuart Wurtzel

Costumi: Jeffrey Kurland

 

Woody Allen: Mickey Sachs

Mia Farrow: Hannah

Michael Caine: Elliot

Barbara Hershey: Lee

Dianne Wiest: Holly

Carrie Fisher: April

Lloyd Nolan: Evan

Maureen O’Sullivan: Norma

Max von Sydow: Frederick

 

TRAMA: Hannah è un’attrice teatrale sposata con Elliot, il quale però ha perso la testa per la cognata Lee, che vive con il maturo pittore Frederick. La terza sorella è Holly, una donna costantemente insicura che tenta con scarso successo la carriera di attrice. Intorno girano gli uomini.

 

Voto 8


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Nella fase impegnata e seria - lontana dalle commedie dall’apparenza leggera ma che per Allen sono sempre state il pretesto per riflettere sulla vita – che era iniziata circa un decennio prima con Io e Annie, Woody Allen perlustra ancora una volta l’universo femminile. Mai drammi veri e propri ma sempre sotto la forma di commedia, lui narra storie non lievi, non comiche, riguardanti le dinamiche tra i due sessi, gli amori, i tradimenti, gli innamoramenti improvvisi, i pentimenti. Tutti elementi che riversa in maniera compulsiva in questo film, che abbraccia la durata precisa di due anni, il tempo che intercorre tra tre Giorni del Ringraziamento, occasione che l’intera famiglia ed amici si ritrovano, come da tradizione, per il pranzo celebrativo.


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Il luogo del ritrovo è l’abitazione di Elliot (Michael Caine), che di professione è commercialista ed è sposato con Hanna (Mia Farrow), i quali ospitano una marea di persone e tanti bambini: tutti chiacchierano, girano l’ampia casa con un bicchiere in mano, assaggiano stuzzichini di vario genere preparati dalla padrona di casa e soprattutto dalle due sorelle Lee (Barbara Hershey) e Holly (Dianne Wiest) e dalla loro intima amica April (Carrie Fisher). Infatti, Holly e April stanno decidendo di avviare insieme un’attività di catering, anche se purtroppo la loro amicizia viene messa alla prova quando entrambe si interessano allo stesso uomo, David (Sam Waterston, attore spesso presente nel periodo serioso di Allen). Questo porta a una competizione tra le due, con Holly che alla fine esce sconfitta contribuendo alla sua frustrazione, in quanto si sente sempre in secondo piano rispetto alle altre persone nella sua vita.


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La voce over di Elliot ci introduce agevolmente nell’ambientazione e nei caratteri dei personaggi, in particolar modo sul suo periodo di crisi coniugale avendo perso completamente la testa per la bella cognata Lee. La cinepresa la segue negli spostamenti tra gli ospiti e le stanze mentre udiamo il padrone di casa riflettere: “Dio è bellissima. Ha degli occhi stupendi. Ed è così sexy con quel maglione. Vorrei essere da solo con lei e stringerla e baciarla e dirle quanto la amo e prendermi cura di lei. Smettila, idiota. È la sorella di tua moglie. Non posso farci niente. Sono mesi che mi consumo per lei. Me la sogno di notte, penso a lei quando sono in ufficio. Ah, Lee, cosa devo fare? Continuo a fantasticare su di te, ed è disgustoso. Prima, quando mi è passata accanto sulla soglia e ho sentito il profumo che si mette sulla nuca, mio Dio, ho pensato di svenire. Calma, sei un consulente finanziario, non sarebbe dignitoso svenire.” Lui la osserva non notato ed è completamente rapito, appena interrotto dalla moglie a proposito dei bignè di gamberetti preparati da Holly e April.


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E così inizia una corte serrata da parte di Elliot verso Lee: la bugia che utilizza è che il suo matrimonio sia in crisi. Tutt’altro, ma avendo perso la testa per lei non trova altri pretesti per iniziare a corteggiarla e convincerla a lasciare il compagno con cui vive, Frederick (Max von Sydow, incredibilmente con lo stesso taglio di capelli del suo personaggio più celebre, l’Antonius Block de Il settimo sigillo) un pittore misantropo, scorbutico, la persona più sprezzante del mondo. La donna non è insensibile al corteggiamento, anche a causa del difficile rapporto che ha con l’artista e nel taxi del ritorno a casa (dove ovviamente lui non era andato) si chiede: “È la mia immaginazione o Elliot ha una cotta per me? È strano. Ho già avuto questa sensazione. Mi ricopre di attenzioni. Ed è arrossito quando eravamo da soli in camera da letto. Chissà se lui e Hannah sono felici. È strano, mi sento ancora un po’ elettrizzata dal suo corteggiamento.” Insomma, ci risiamo con le tematiche preferite da Woody: l’amore, i tradimenti, le scappatelle, le smentite al partner, le notti insonni. Il tutto ampiamente condito dalla vita newyorkese, tra begli appartamenti, negozi, bar, taxi, incontri in albergo. Con l’uomo che cerca di tranquillizzare i timori e i tentennamenti femminili di donne, però, lusingate di essere desiderate da altri ed uscire dalla monotona esistenza del trantran coniugale del quotidiano ormai ripetitivo e noioso. Ed infatti Lee ne è scossa, in quanto sorella della moglie dell’uomo che la blandisce, ma pure perché non pensava di trovarsi in questa situazione. Bella e scomoda.


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Allen divide il film i molti piccoli capitoli, intitolandoli a seconda delle circostanze, tutti introdotti da impetuose musiche classiche, operistiche e ovviamente jazz (il film è dominato da brani di Bach, Puccini, Cole Porter, Count Basie) e quei titoli aiutano a capire la struttura della narrazione e a seguire le vicende dei vari personaggi, con un totale di 14 capitoli. E Woody ne resta fuori? Ma niente affatto! Uno dei primi capitoli, infatti, è dedicato al suo personaggio, Mickey, un autore televisivo iperteso circondato da un folto gruppo di collaboratori e artisti che gli rendono la vita infernale, più di quella che sa già fare con le sue mani. La sua carriera nel mondo della televisione è caratterizzata da una costante preoccupazione per la salute e da una crisi esistenziale che lo porta a esplorare diverse religioni prima di trovare conforto nel cinema comico e i fratelli Marx. E come potrebbe chiamarsi il capitolo che lo introduce nella trama? Semplicissimo e logico: L’ipocondriaco. In quanto, pur stando bene di salute, avverte un insignificante disturbo ad un orecchio e, di lì a cascata, gira un sacco di medici specialisti e si convince di avere un male incurabile (“Ho in testa un tumore grande come una palla di basket”).



È chiaro che dalla commedia umana siamo passati al lato più comico e caratteristico come piace a lui e le batture fionderanno ad una velocità impressionante, con la particolarità che lui, primo ex marito di Hannah, rientra nel circolo familiare e rincontra quella Holly con cui anni prima aveva vissuto una delle peggiori serate della sua vita entrando in un locale dove troneggiava uno scatenatissimo gruppo di heavy metal. Uscito dalla porta del matrimonio per via della mancanza di sperma fecondo, vi sta rientrando dalla finestra con la ex cognata, mentre continuano le giravolte sentimentali o meno tra i vari personaggi, in primis quelle che riguardano Lee e Elliot. Tutto sempre narrato tra un Giorno del Ringraziamento e l’altro. Sì, tante vicende lunghe due anni ma lui, Mickey, è definibile come l’eroe definitivo di ogni ipocondriaco di tutta la storia dell’uomo. Almeno fino a quando (e questa è ancora una geniale trovata alleniana) invece di essere felice e contento di non avere alcuna malattia si rattrista di colpo rendendosi conto di quanto la vita sia così fragile: ci si sente appagati ma basta un nonnulla che si muore, non conta più niente. E dopo, esiste un Dio? E qual è la religione più facile e comoda? O perlomeno più consona a suo modo di vivere e pensare? Dannato Woody!



E se non può dire tutto lui del suo pensiero, provvede a scrivere le battute necessarie ai suoi personaggi, come quando Frederick si chiede come sia potuto accadere la Shoah, ma più esattamente “come mai non è successo più spesso?”. E non ha forse ragione vedendo, noi oggi nel 2024 quando scrivo, le nefandezze dei politici che fanno guerra e commettono ancora genocidi? Oppure costruisce per sé scenette come quando, volendo morire, non riesce neanche a tirarsi una fucilata sulla fronte (aveva le mani sudate…) e per sfuggire al pensiero del suicidio entra in un cinema dell’Upper West Side dove proiettano La guerra lampo dei fratelli Marx e (pur avendolo visto più volte fin da quando era bambino) ha una folgorazione circa il senso della vita: goditela finché dura. Oh, finalmente un Allen rinsavito e positivo! Che è, in fondo, lo spirito che dà l’impronta alla parte finale del film, a prescindere da quella atmosfera di amarezza che domina durante la festa del Ringraziamento finale, anche notando Elliot finalmente rasserenato e quieto, dopo che l’infatuazione per la desiderata Lee è scemata dopo che lei ormai aveva conosciuto e sposato altri.



È la vita, non solo quella del grande artista chiamato Woody Allen, è la vita di noi tutti, con le cose che accadono a favore e contro, con le persone che vanno e vengono, che sposiamo, lasciamo, ritroviamo, come succede al suo Mickey quando meno se lo aspettava. Ovvio, la nostra vita non è quella total borghese di Manhattan e dintorni (mai visto un suo film così pieno belle fotografie della città) che lui ama fotografare e portare sullo script e sullo schermo, ma in piccolo e in modestia accade a tutti, che amano, si ammalano, credono in un Dio o no, soffrono, gioiscono. Lui sa raccontare quel mondo e tra gli anni Settanta e Ottanta ha avuto un periodo d’oro di fantasia e creatività producendo storie molto belle, aiutato da cast tecnici di livello, come, per esempio, la fotografia dalle calde atmosfere autunnali (sicuramente la stagione che lui ama di più) di Carlo Di Palma, scrivendo copioni che definirei umanistici dal momento che pongono l’accento sull’importanza degli esseri umani, delle loro capacità, dei loro valori e delle loro esperienze.



Se mai ha avuto come stella polare il pensiero filosofico e creativo di Ingmar Bergman, qui e nei film subito precedenti e susseguenti lo dimostra ampiamente e va da sé che lo faccia alla sua personalissima maniera, con il suo unico stile di umorista innato, pessimista, ma finemente dotato di quella comicità ebraica impareggiabile.


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Oltre ad aver scritto un bellissimo film, è elogiabile la sua direzione degli attori, tutti in forma smagliante, con un Michael Caine impensabile per un ruolo come questo, con uno stuolo di attrici magnifiche, ad iniziare da chi diventerà dopo anni di amore la sua nemica più insidiosa, una Mia Farrow bella e eccellente attrice, per poi continuare con Barbara Hershey, Carrie Fisher e Dianne Wiest a cui Woody dedica un ruolo bellissimo e di primo piano, disegnata con le insicurezze e le instabilità mentali tipiche dell’autore. Ecco perché le donne hanno sempre amato recitare per e con lui. Opera importante, da rivedere con piacere, sempre attuale e replicabile, tanto che nel 2016 Olivia Wilde ne ha realizzata una versione teatrale a New York con se stessa nel ruolo di Hannah, Michael Sheen in quello di Elliot, Uma Thurman che è Holly e Salman Rushdie (!) invece Frederick.


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Riconoscimenti

1987 - Premio Oscar

Miglior attore non protagonista a Michael Caine

Miglior attrice non protagonista a Dianne Wiest

Miglior sceneggiatura originale

Candidatura miglior film

Candidatura miglior regia

Candidatura miglior scenografia

Candidatura miglior montaggio

1987 - Golden Globe

Miglior film commedia o musicale

Candidatura miglior regia

Candidatura miglior attore non protagonista a Michael Caine

Candidatura miglior attrice non protagonista a Dianne Wiest

Candidatura miglior sceneggiatura

1987 - BAFTA

Miglior regia

Miglior sceneggiatura originale

Candidatura miglior film

Candidatura miglior attore protagonista a Woody Allen

Candidatura miglior attore protagonista a Michael Caine

Candidatura miglior attrice protagonista a Mia Farrow

Candidatura miglior attrice non protagonista a Barbara Hershey

Candidatura miglior montaggio

1987 - David di Donatello

Miglior sceneggiatura straniera

Candidatura migliore attore straniero a Michael Caine



 
 
 

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