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Harry Haft: Storia di un sopravvissuto (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 19 mar 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 11 mag 2023


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Harry Haft: Storia di un sopravvissuto

(The Survivor) Canada/Ungheria/USA 2021 dramma biografico 2h9’


Regia: Barry Levinson

Soggetto: Alan Scott Haft (libro)

Sceneggiatura: Justine Juel Gillmer

Fotografia: George Steel

Montaggio: Douglas Crise

Musiche: Hans Zimmer

Scenografia: Miljen Kreka Kljakovic

Costumi: Marina Draghici


Ben Foster: Harry Haft

Vicky Krieps: Miriam Wofsoniker

Billy Magnussen: SS Schneider

Peter Sarsgaard: Emory Anderson

Dar Zuzovsky: Leah Krichinsky

John Leguizamo: Bill "Pepé" Miller

Danny DeVito: Charley Goldman

Saro Emirze: Peretz Haft

Laurent Papot: Jean

Paul Bates: Louis Barclay

Sonya Cullingford: Else

Michael Epp: SS Kuttner

Charles Brice: Coley Wallace

Aaron Serotsky: Michael Lieberman


TRAMA: Durante la Seconda guerra mondiale, Harry Haft è un pugile che ha combattuto contro altri prigionieri nei campi di concentramento per sopravvivere. Ossessionato dai ricordi e dal senso di colpa, tenta di ricorrere a incontri di alto livello contro leggende del pugilato come Rocky Marciano per ritrovare nuovamente la sua passione per la boxe.


Voto 6,5

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Tratto dal libro biografico del figlio Alan Scott, il film è la vera storia di Harry Haft, un ebreo con la passione del pugilato che fu richiuso nel campo di concentramento di Auschwitz, dove ebbe modo di sperimentare sulla propria pelle sia la disumanità del trattamento dei prigionieri nelle mani delle SS che il privilegio, molto relativo, di sopravvivere ed ottenere un occhio di riguardo per le qualità sportive che presto furono notate da un ufficiale appassionato di box, l’ufficiale Schneider (Billy Magnussen), che vedeva Harry come un modo per fare soldi e distinguersi dagli altri ufficiali. Come tutti i detenuti del campo, era in uno stato fisico malandato ma quando fu adocchiato da quest’ultimo fu scaraventato sul ring per combattere incontri per intrattenere i soldati e provocare scommesse. L’aspetto atroce del diversivo era però crudele ed impietoso, dovendo boxare contro altri deportati, in più che precarie condizioni fisiche come prevedibile, con l’ordine di massacrarli, fino eventualmente alla morte. Per puro sadico divertimento. Tanto, erano già tutti destinati a non sopravvivere. Haft cercava di evitare di essere il carnefice dei suoi simili sfortunati ma le minacce e la speranza di cavarsela, chissà fino a quando, lo spingeva ad utilizzare tutti i suoi mezzi.

Miracolosamente sopravvissuto e trasferitosi in America, cercò di dimenticare quella spietata forma di tortura fisica e psicologica donandosi totalmente al pugilato tanto amato e con una voglia matta, ma non basata su alcuna speranza, di farsi strada nel professionismo ed arrivare a scalare il ranking e, chissà, sfidare il campione del mondo che aveva un nome che avrebbe messo timore a chiunque: l’imbattibile Rocky Marciano! Con le scorie mentali della sofferenza della vita trascorsa nel campo di concentramento, Harry Haft si intestardì nell’impresa che voleva compiere e solo con l’aiuto di un altro ebreo (che voleva nascondere le sue origini in quella terra), Charley Goldman - in realtà Ismaele (Danny DeVito), esperto preparatore di pugili, che però gli consigliava di rinunciare a quel sogno impossibile -, ebbe modo di prepararsi fisicamente almeno per non fare una brutta figura e finire al tappeto dopo solo qualche secondo. In questa fase risulta chiaro come il film voglia mostrare anche un serpeggiante senso di discriminazione razziale che si annusava in quegli anni negli USA.

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La sua caparbietà non lo fermò neanche davanti ai mille ostacoli e fu sostenuto dalla grazia di una donna, Miriam Wofsoniker (Vicky Krieps), che lavorava in un'agenzia che cercava di aiutare i sopravvissuti a trovare i propri cari scomparsi durante la guerra che speravano fossero ancora vivi. Quando Harry si presentò da lei in cerca di aiuto per trovare sua moglie, la cui scomparsa lo ha ossessionato tutta la vita, allo spettatore viene in mente che il disperato forse potrà calmarsi e innamorarsi della bella ragazza, ma invece il desiderio di ritrovare la donna che gli era rimasta nel cuore e nella mente, senza mai vacillare, non conduce alle solite storie romantiche di tanti film. In qualche modo gli sarà utile un altro personaggio che inizialmente lui trova inaffidabile, il giornalista Emory Anderson (Peter Sarsgaard) che invece lo aiuterà a far conoscere la sua tremenda vicenda.

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Non nascondo che avevo iniziato a guardare questo film con disattenzione, sia perché non ne avevo mai sentito parlare, sia perché sapevo che era in realtà un film per la TV (chi abitualmente mi legge conosce la mia avversione per i TV movies), esattamente per la HBO, ente televisivo che ha il merito di saper produrre sempre ottime opere. Quando poi però ho cominciato a notare la bravura dell’attore protagonista e non riconoscendolo, dati i notevolissimi cambiamenti fisici del suo corpo nel corso della narrazione – prima emaciato e magro, poi irrobustito come un torello – e soprattutto maggiormente interessato alla storia, mi sono accorto solo dopo che l’attore è Ben Foster. Irriconoscibile! Per capire la mia difficoltà, è necessario sapere che ha dovuto dimagrire di ben 40 chili (!) per poi riprenderne molti di più per sembrare un atleta in grado di combattere per i pesi massimi. Aiutato dal necessario trucco per essere meglio presentabile in un ruolo del genere, il valente attore americano si esprime come poche altre volte, forse solo nei migliori personaggi che gli sono capitati e riesce a dare molta umanità e sincerità al suo Harry, persona che aveva sofferto tanto per molti anni. Sia per ciò che aveva vissuto nel campo di concentramento, sia per il forte dolore di non riuscire a rintracciare la donna che lo aveva tenuto in piedi per tanti decenni. Non gli bastava la stima e l’affetto di Miriam, non gli bastava la box che per lui, oltre che una passione vera, era anche un modo per scaricare i dispiaceri di una vita disgraziata. Ma soprattutto sfogava la rabbia che si trascinava dai tempi della prigionia e delle cose peggiori che gli era capitato di vedere e vivere in prima persona.

Accanto al bravissimo protagonista emerge Vicky Krieps, attrice che lavora speso in ruoli molto particolari e sempre uscendone alla grande. Dirige un vecchio volpone del cinema internazionale, quel Barry Levinson autore di tanti film di successo, che nell’occasione sviluppa un film biografico senza grandi colpi di scena (anche perché la vera storia è consultabile sul web) ma che presenta discrete modalità per approfondire ogni relazione e ogni situazione. La trama abbraccia un lungo periodo di anni, spaziando dalle immagini brutali dei campi nazisti fino al benessere e alla tranquillità dell’uomo maturo finalmente libero negli Stati Uniti. Il regista sceglie di filmare in bianco e nero la parte della guerra e passare al colore per il tratto di storia americana.

Sicuramente una storia che comunque in Italia non è conosciuta e che arricchisce il vasto campionario che affolla le migliaia di vicende della sofferenza del popolo ebraico narrate dal cinema, a volte bene altre meno, molto spesso appassionanti. Ma davvero notevole il contributo dato al film dall’ottimo Ben Foster.


Riconoscimenti

Hollywood Critics Association Awards:

Miglior film

Miglior regia

Miglior attore a Ben Foster


 
 
 

Commenti


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