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Heat - La sfida (1995)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 29 dic 2019
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 30 nov 2023


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Heat - La sfida (Heat) USA 1995 noir/poliziesco 2h50'


Regia: Michael Mann Sceneggiatura: Michael Mann Montaggio: Pasquale Buba, William Goldenberg, Dov Hoenig, Tom Rolf

Fotografia: Dante Spinotti Musiche: Elliot Goldenthal Scenografia: Neil Spisak Costumi: Deborah Lynn Scott


Al Pacino: ten. Vincent Hanna Robert De Niro: Neil McCauley Val Kilmer: Chris Shiherlis Jon Voight: Nate Tom Sizemore: Michael Cheritto Diane Venora: Justine Hanna Amy Brenneman: Eady Ashley Judd: Charlene Shiherlis Natalie Portman: Lauren Gustafson Danny Trejo: Trejo


TRAMA: Un professionista del crimine, Neil McCauley, riesce a cavarsela da ogni situazione in meno di trenta secondi. La sua banda, fatta di tre rapinatori deboli e violenti. Un poliziotto-segugio, Vincent Hanna, fallito nei sentimenti e implacabile nella professione. Quando McCauley e compagni assaltano e rapinano un furgone blindato uccidendo tre agenti, il poliziotto si lancia sulle loro tracce e riesce a identificarli. Ormai sa tutto di loro; si tratta solo di incastrarli. Comincia un lungo e teso gioco tra gatto e topo, nella preparazione del drammatico scontro finale.


Voto 8,5

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Il sogno di un regista è sempre quello di saper chiudere il film, quello di girare la sequenza finale che tutti ricorderanno. È come chiudere un buon discorso che abbisogna di una conclusione coerente con le frasi precedenti, come un laccio che si stringe traendo le conclusioni. Ma questo film, mi chiedo, quanti finali ha? Nell’ambito di una durata tipica dei suoi film (questo dura esattamente 170 minuti), Michael Mann comincia a tirare le fila già poco dopo le due ore ed invece, mentre pare stia concludendo, riprende vigore con l’inserimento di un altro evento che ci porta ancora nel cuore dell’azione per poi rituffarsi in un apparente ennesimo finale. Solo dopo qualche finta, quindi, ci accorgiamo che il regista ci sta guidando verso un finale ancora più solenne, ancora una volta nel buio nero della notte losangelina, il cui panorama, visto dall’alto della collina, è luccicante come un brillante da mille carati, lo stesso che si gode dal basso, nel fresco umido dell’aeroporto, il mitico Lax. È lì che, riassaporando quegli ingredienti che hanno reso famoso il regista di Chicago, ritroviamo vigorosi come nelle migliori occasioni l’essenza e le vivide caratteristiche che lo hanno fatto diventare unico: il senso epico, il gesto estremo, il romanticismo, l’ineluttabilità del destino, lo scontro finale come inevitabile conclusione di una lunga guerra. I due rivali che sanno di stare a saldare il conto con la storia della loro esistenza.

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La incisiva sceneggiatura, firmata anch’essa dal regista, è straordinariamente esplicativa a riguardo della descrizione dei forti caratteri di ogni personaggio, non solo a proposito dei due protagonisti, ma riesce a rendere plastica la configurazione di ognuno di loro, perfettamente divisi nelle due schiere che sono in guerra sin dal primo istante.

Il tenente Vincent Hanna, dedicandosi anima e corpo ad ogni caso che gli viene affidato, che affronta tutto come una questione vitale, è un reduce del Vietnam ma anche di due matrimoni mandati al macero dalla sua assenza, ed il terzo, quello con Justine (Diane Venora), ha preso la stessa tendenza, tanto da porre la donna nelle condizioni di tradirlo, tanto si sente messa da parte. In casa, sembra più affezionata a lui la figliastra Lauren (Natalie Portman), che lui ha accettato come propria. Nutrirsi, dormire, riposarsi, non rientrano nei suoi piani immediati o del dopo, l’applicazione costante al lavoro è più di una dedizione: è l’unica motivazione di vita, è il prolungamento del proprio essere. Ogni indagine fallita, ogni arresto mancato, ogni criminale sfuggito è una sconfitta pesante, ma l’aria greve che si respira in casa lo fa soffrire, perché nonostante tutto ama le due donne. I suoi principali collaboratori si affidano ciecamente alla sua esperienza e al suo intuito, essendo sul luogo delle operazioni una persona molto lucida, pronta istantaneamente a decidere quali piste seguire, dove svolgere le prime indagini: ordini veloci, precisi, perentori. Tutti esperti e decisi, si muovono in sincrono e sanno sempre come intervenire e disporsi, a cominciare dal suo uomo più fidato Casals (Wes Studi).

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Neil McCauley è il capo di un pugno di criminali disposti a tutto pur di portare a termine i colpi preparati, tutti pianificati con estrema cura da lui stesso, anche leggendo libri scientifici a seconda dei materiali che si frappongono al bottino prefissato. È il classico duro che rispetta quelli che ritiene principi inflessibili nella sua attività, non tergiversa su alcuna questione, è un uomo deciso e vive solo. Il suo ghigno severo esprime appieno il carattere, non ha relazioni, non frequenta nessuno, gli unici contatti umani sono i suoi uomini: per esempio il coriaceo Chris (Val Kilmer), preciso esecutore degli ordini, affidabile braccio destro sempre fedele, oppure il massiccio Michael (Tom Sizemore). La variabile imprevista è il più inaffidabile Waingro (Kevin Gage), efferato e senza il pur minimo scrupolo, serial killer che uccide per mania, che diventerà la causa del principale fallimento della banda e l’obiettivo della vendetta implacabile di Neil, a costo di perdere il volo della fuga salvatrice. Forse l’unica persona di fiducia del boss è un anziano uomo che gli cura i particolari logistici e organizzativi, una sorta di padre putativo, l’unica persona verso cui mostra una certa amicizia e riconoscenza. È Nate, un invecchiato e canuto capellone Jon Voight, un ruolo che gli calza a pennello, limpidamente cattivo come piace a lui.

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È un film di maschi, non c’è dubbio, anche dato l’argomento, ma Michael Mann non spreca l’occasione, scolpendo i personaggi come un Canova del cinema con precisione artistica, di creare figure femminili di primissimo piano molto ben descritte.

La Justine di Diane Venora, fedifraga per disperazione e per dispetto, maggiormente per far reagire il marito poliziotto con la mente troppo lontano dalla famiglia, con una figlia che trascura eccessivamente, fino ad un epilogo quasi letale. Ma Vincent, sempre nervoso per il gravoso compito che si è prefissato, sa che in fondo potrà sempre contare su di lei. Eady (una rivelazione la bellissima Amy Brenneman), una donna sola che incrocia un uomo solitario come Neil: si guardano e allacciano immediatamente una relazione difficile, viste le di lui bugie, le mezze verità che nascondono la sua vera attività, ma molto viva, un vero innamoramento, di quelli resi famosi nella storia del cinema quando scoppia l’amore tra la donna sincera e limpida e il boss dalla difficile sopravvivenza. La Charlene dell’affascinante Ashley Judd, moglie di Chris, anch’ella stanca delle vane promesse del marito, che decide di scappare con l’amante pur continuando a sperare nel suo riavvicinamento. A lei Mann dedica una bella sequenza nel prefinale, in cui la donna sul balcone dell’appartamento presidiato dalla polizia – che lo aspetta nella trappola preparata - al passaggio di Chris gli fa un invisibile segno con la mano per esortarlo a sparire dalla circolazione: con tantissima tristezza sa che quella è l’ultima volta che lo sta vedendo. Un trio di donne, oltre alla già fanciulla prodigio chiamata Natalie Portman, che si ricava uno spazio importante in un duro film al maschile.

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Paragrafo a parte va doverosamente dedicato ai due big della recitazione: Al Pacino e Robert De Niro sono due giganti, osservarli assieme sembra un fenomeno astrale che accade solo una volta nella vita di noi terrestri. Ognuno con il suo stile irripetibile, con una personalità recitativa che non trova pari: la loro maturità di attori nel momento migliore della loro vita artistica, dopo tanti successi personali in ogni genere di film. Nel leggendario Padrino si erano solo sfiorati, ma assieme nelle due scene madri di questo film non si erano mai visti: prima al tavolo per un falsamente amichevole caffè con continui “campo e controcampo” come in una gara mondiale di bravura (sequenza che ricorda molto quella celebre Strade violente con James Caan e Tuesday Weld, folgorante esordio del regista) e poi nel drammaturgico, indimenticabile duello finale nell’aeroporto.

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I film di Michael Mann, tutti d’azione, ripercorrono la strada classica del noir e del poliziesco ma non proprio seguendo il solco tradizionale. Anche se a molti potranno richiamare alla mente il cinema dei gangster-movies degli anni che vanno dal ’30 ai ’50, come quello di Howard Hawks per intenderci, la peculiarità (e anche il merito volendo) di Mann è stato quello di aver rinnovato quel cinema, caratterizzando in maniera notevole i suoi personaggi, dandogli quasi un’etica (a)morale per uscire dai soliti luoghi comuni del solito criminale. I suoi uomini – gangster o poliziotti che siano – sono duri, determinati ed orgogliosi, che magari si innamorano anche, ma che sono così devoti al loro compito e al loro destino che spesso fanno aspettare le proprie donne mettendole da parte nei momenti apicali. Nello specifico di questo caso, rende eroi i due antagonisti, come due gladiatori al duello finale, con uno stile fiammeggiante e cupo, sicuramente epico, immersi in una atmosfera bluastra (splendidamente fotografata da Dante Spinotti). La sequenza finale – quella vera, finalmente – è da antologia, è la definitiva resa dei conti che nessuno dei due può mancare. L’uno sapendo che forse non partirà mai più (indimenticabile lo sguardo d’addio tra Neal e Eady), l’altro conscio che si sta giocando l’occasione della vita di poliziotto.

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L’attesa per l’uscita della pellicola fu spasmodica anche perché, come detto, due enormi simboli della New Hollywood come Robert De Niro e Al Pacino si incontravano per la prima volta e recitavano assieme in una stessa scena. Averli scelti e messi in condizione di dare il loro meglio in questo film è stato come rendere, da parte del regista, un tributo sia alla loro bravura che al cinema di genere, come questo, che non tramonta mai e che lui ha influenzato tanto in questi anni con le sue innovazioni e che, rivisitandolo, lo ha portato in maniera fantastica nell’era informatica con Blackhat.

Poliziesco da antologia!



 
 
 

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