Her Job (2018)
- michemar

- 12 mag 2023
- Tempo di lettura: 5 min

Her Job
(I douleia tis) Grecia/Francia/Serbia 2018 dramma 1h29’
Regia: Nikos Labôt
Sceneggiatura: Nikos Labôt, Katerina Kleitsioti
Fotografia: Dionysis Efthymiopoulos
Montaggio: Dounia Sichov
Musiche: Jean Christophe, Onno
Scenografia: Daphne Koutra
Costumi: Vassilia Rozana
Marisha Triantafyllidou: Panayiota
Dimitris Imellos: Kostas
Maria Filini: Maria
Eleni Karagiorgi: Toula
Konstantinos Gogoulos: supervisore
Eirini Asimakopoulou: Chrysa
Danae Primali: Georgia
Dimitra Vlagopoulou: Dina
Orfeas Aggelopoulos: Apostolis
Georgia Tsagaraki: Bojana
Areti Seidaridou: Vania
Ioanna Mavrea: Eftychia
TRAMA: Panayiota ottiene per la prima volta un lavoro come addetta alle pulizie nel tentativo di mantenere la sua famiglia. Mentre nell’ambiente di lavoro affronta uno spietato sistema di sfruttamento, trascorre il periodo più felice della sua vita finora noiosa. Ma questo non durerà a lungo perché presto arriveranno i primi licenziamenti.
Voto 6,5

La quasi quarantenne Panayiota conduce un'esistenza tranquilla e modesta con il marito, la ribelle figlia adolescente e il sensibile figlio minore. Impossibilitata a essere indipendente, un giorno ha l'opportunità di cominciare a lavorare come addetta alle pulizie nel nuovo e grande centro commerciale. In breve, diventa una dipendente modello, guadagna qualche soldo e ha finalmente una vita sociale che esula dalla famiglia. La sua autonomia appena acquisita viene però minacciata da una serie di licenziamenti non del tutto imprevisti, dal momento che, nella spietata crisi economica che attanaglia la Grecia, nessuno è sicuro del domani: siamo probabilmente nella fase più critica dell’applicazione delle direttive dell’Unione Europea per adeguare i bilanci degli stati aderenti all’Euro e in quel Paese dilagano disoccupazione e povertà. Ma potrebbe anche essere una storia dell’oggi, dato che viviamo tempi non proprio floridi e le economie dei paesi più deboli sono perennemente in crisi, sia per motivi finanziari che quelli dovuti alla pandemia. Comunque, è un problema sempre presente.
Panayiota è una donna che non vede nulla all’orizzonte, che non ha futuro, ha un presente monotono, faticoso e grigio: il suo mondo è circoscritto alle mura di casa e la vita è limitata e condizionata dal quotidiano lavoro domestico che, come sappiamo, non prevede soste o vacanze. Sempre sotto pressione a causa dei tanti compiti di cucina e pulizie, è afflitta dalla figlia adolescente obesa e ribelle che manifesta irrequietezza anche a scuola e che pretende vestiti e cellulari con soldi che non ci sono; ma soprattutto la donna, che ha un altro piccolo in casa, è resa martire da un marito, Kostas, disoccupato ed esigente, che non fa nulla per trovare un lavoro e che pretende di essere servito come un pascià. Lei sottostà con pazienza e modestia, sovrapponendo alla sua infelicità un sorriso mesto, velato dalla tristezza che la abita fin nel midollo. Cosa darebbe per avere un diversivo o ricevere semplicemente un grazie! Con quel poco che le dà il marito fa una moderata spesa lamentando continuamente l’aumento dei prezzi. Mai una sosta, mai un attimo di felicità.

Quando la vicina l’avvisa che è sorto un grande centro commerciale che cerca dipendenti, si presenta – con il marito contrariato di perdere l’egemonia dell’uomo padrone e di restare non servito in casa - con il cuore gonfio di speranza e viene assunta nell’impresa di pulizie che curerà il gigantesco e moderno edificio. Facile immaginare la gioia e la sorpresa, subito comunicata ai familiari. Il lavoro è duro, per giunta a tempo determinato, e deve imparare anche a guidare una macchina elettrica che pulisce i corridoi, ma il suo impegno è massimo e si presta volentieri a fare straordinari e persino doppi turni, pur di aumentare lo stipendio. L’importante è che, diventata così essenziale per la sopravvivenza della famiglia, non entri mai nell’elenco di chi, alla scadenza, non vede rinnovare il contratto. Il supervisore la elogia sempre per la disponibilità e per la serietà con cui esegue i lavori, sempre con il suo sorriso pronto per tutti, anche per le affettuose colleghe. Finalmente c’è pure il tempo di un caffè ai tavolini dell’impianto. Fa buon viso anche al marito che è stufo di portarla avanti e indietro con la macchina, e adesso comincia anche a lamentarsi di essere costretto ad occuparsi delle faccende casalinghe, dato che spesso lei fa tardi la sera per gli straordinari. Lei, imperterrita, sopporta, sacrificando anche il bisogno di sentire una parola buona, che arriva solo dalle amiche di lavoro, che, ogni tanto, vengono chiamate in ufficio per essere licenziate. Finalmente, nel suo piccolo, anzi nel suo insignificante minimo, si sente felice, tristemente felice. Fin quando.

L’esordiente regista Nikos Labôt, quasi sullo stile di Stéphane Brizé, segue passo passo le vicissitudini di Panayiota, la pedina inquadrando il suo viso malinconico che ha un sorriso paziente per tutti, inghiottendo gli sgarbi casalinghi e le oppressioni di un supervisore molto esigente. Sa che è diventata essenziale, e non solo per gli altri tre, ma soprattutto per se stessa, uscita da una casa-prigione soprattutto psicologica, trovando finalmente nella vita uno scopo che non sia lavare i piatti o i pavimenti. E sì che pulisce anche sul lavoro, ma almeno vive ore di amicizia con le altre e viene ricompensata: con quel piccolo stipendio finalmente si regala un vestito nuovo rosso fiammante che la fa sembrare una bella signora, un paio di pantaloni alla figlia, le sigarette per il marito. Un futuro? Beh, non si può illudere che i contratti brevi verranno sempre rinnovati, ma intanto si gode il momento.

Il ritmo è lento, compassato, l’unica vera novità della storia è quella positiva capitata alla protagonista ma con la consapevolezza che c’è sempre una spada di Damocle che può venire giù da un momento all’altro ed è questa incombenza che domina le lunghe e faticose giornate di Panayiota. Moglie, madre, lavoratrice, quasi analfabeta, eppure le è bastato poco affinché la lampada della vita si accendesse e le illuminasse il viso, la speranza di un futuro migliore, certamente migliore di ciò che stava (non) vivendo. La sua avventura va a braccetto con la storia della Grecia, vanno di pari passo in una storia allegorica di emancipazione, che descrive, senza didascalismo, il prezzo da pagare per una signora non anziana ma maturata dalle difficoltà della vita e lo sguardo attento che il regista le rivolge è narrativamente preciso e socialmente sensibile, ritraendo con successo un personaggio interessante in termini cinematografici. Non presta molta attenzione a chi la circonda (il ruolo di marito è piuttosto unidimensionale e il ruolo della figlia non si sviluppa, nonostante le promesse iniziali), ma insiste nell'abbracciare Panayiota con una tenerezza toccante per tenerla saldamente al centro dell'inquadratura.
Difficoltà esistenziali, sfruttamento delle lavoratrici, pressioni emotive, maltrattamenti psicologici subiti in casa dal marito (“Un caffè, presto!”), sottomissione, sono sensazioni pesanti da sopportare, soprattutto per una donna che è rimasta intrappolata anche fuori delle mura domestiche, la cui evasione – per andare a lavorare - perlomeno le ha dato l’impressione di sentirsi libera(ta), di avere finalmente una opportunità che ormai riteneva per lei impossibile. Non c’è molta differenza tra il soffocamento provato in casa e la pressione mentale di chi può perdere inopinatamente il lavoro, ma almeno si rende indipendente e vede visi differenti. Nel mezzo del duopolio limitativo della sua vita ha un segmento di libertà mai provato prima: l'uscita dalla casa e la conquista - anche in queste condizioni avverse - dello spazio esterno evocano questa percezione. Ma questo cambiamento nello spazio di reclusione – da casa al lavoro – non offre euforia: al contrario, è la malinconia che segna il suo volto. L'eroina prima o poi si troverà nell'impasse causata dalle condizioni di lavoro e dalle conseguenti pressioni che sembrano schiacciarla. È per questo motivo che quello che succederà inaspettatamente nel finale sarà comunque una liberazione dalle catene anguste tenute fino ad allora.
Purtroppo, Nikos Labôt ci lascerà all’improvviso con un non-finale, sbattendoci i titoli di coda senza preavviso, alla fine di un piccolo film bello ma senza impennate, segno di un timido esordio che però fa riflettere. Notevole, invece, è la performance della bravissima Marisha Triantafyllidou, un’attrice di origine uzbeca che lavora molto e che in Italia è praticamente sconosciuta ma meritevole di attenzione: il film è tutto sulle sue spalle e sul suo bel viso, quello di una donna come tante che sacrificano l’esistenza dedicata agli altri non trovando mai la meritata ricompensa neanche da parte di chi le vive accanto. È bella dentro e fuori, e lo si nota quando, abbandonando la sua mise trascurata, le basta un minimo di trucco per diventare una bella principessa.
Brava, Marisha Triantafyllidou!




















Commenti