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High Life (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 8 gen 2021
  • Tempo di lettura: 7 min

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High Life

Francia/UK/Germania/Polonia/USA 2018 dramma fantascientifico 1h53’


Regia: Claire Denis

Sceneggiatura: Claire Denis, Jean-Pol Fargeau

Fotografia: Yorick Le Saux, Tomasz Naumiuk

Montaggio: Guy Lecorne

Musiche: Stuart Staples, Tindersticks

Scenografia: Jagna Dobesz, Ólafur Eliasson, François-Renaud Labarthe, Mela Melak

Costumi: Judy Shrewsbury


Robert Pattinson: Monte

Juliette Binoche: dott.ssa Dibs

André Benjamin: Tcherny

Scarlett Lindsey: Willow

Mia Goth: Boyse

Agata Buzek: Nansen

Lars Eidinger: Chandra

Claire Tran: Mink

Ewan Mitchell: Ettore

Gloria Obianyo: Elektra

Jessie Ross: Willow da grande


TRAMA: Un uomo cresce sua figlia dentro una navicella spedita ben oltre il sistema solare. L'uomo è solo, tutti i membri dell'equipaggio sono morti. Attraverso dei flashback, l'uomo rivive gli avvenimenti che hanno portato ai decessi dell'equipaggio, intervallati dalla solitaria esistenza che questo conduce insieme a sua figlia.


Voto 8


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Un’astronave a forma di parallelepipedo vaga per lo spazio buio più che mai infinito. Ha un enorme numero 7 che lo marchia e ha uno scopo: sulla Terra l’energia a disposizione è finita e bisogna cercarla altrove, un altrove così lontano che, pur viaggiando al 99% della velocità della luce, ci vogliono otto anni per arrivare ad un enorme buco nero da cui si spera catturare e immagazzinare energia da riportare a casa. A bordo 12 persone, condannati all’ergastolo e alla pena capitale per crimini orrendi, volontari che hanno accettato la commutazione della sentenza in un viaggio che offre poche speranze ma che rappresenta un’alternativa. 12 persone, tra donne e uomini, che non hanno nulla da perdere. Tra loro spiccano una ragazza abilissima nel pilotare ogni mezzo spaziale, una dottoressa (anch’ella criminale?) con un compito ben preciso e un giovane, Monte, dalla forte personalità che cerca di distanziarsi con il comportamento dal resto del gruppo. L’esperimento scientifico che la dottoressa Dibs deve portare a termine è piuttosto curioso e particolare: studiare la procreazione in quelle condizioni, ma - badare bene - non in maniera tradizionale bensì tramite l’inseminazione artificiale con lo sperma dei maschi a bordo che la Dibs raccoglie come una qualsiasi infermiera della ASL. Operazione che però si rivela fallimentare anche per la cattiva predisposizione caratteriale delle donne, mentre, all’opposto, nei maschi occasionalmente si risvegliano istinti sessuali predatori. L’unica scena aggressiva, infatti, a cui si assiste è un brutale tentativo di stupro che termina con pari violenza e qualche cadavere.


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In questo micromondo di persone e comportamenti sempre sul filo del rasoio, l’unico che si astrae e che si è imposto delle regole ben precise è Monte, il quale ha deciso una totale rinuncia al sesso, scelta monacale che lo fortifica anche nello spirito. È il suo comportamento nel complesso che lo allontana dal resto di questo anomalo equipaggio e ciò lo porterà in seguito a restare unico sopravvissuto, unitamente ad una bimba neonata che crescerà vicino a lui. Lei sarà Willow, nata con lo sperma rubato tramite uno “stupro” compiuto dalla sensuale dottoressa mentre lui dormiva profondamente, per effetto dei sonniferi che lei somministra a tutti ogni sera. Quel liquido seminale, immesso nell’utero della passeggera scelta, diventerà l’unica occasione della riuscita dell’esperimento e darà alla luce la bellissima e paffutella femminuccia. Willow comincerà proprio con il suo Da-da – così come lo chiama – a compiere i primi passi a bordo e a osservare il limitato mondo che la circonda.


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Il film è un lungo flashback, raccontato a strappi, dopo l’incipit in cui Monte compie alcune riparazioni all’esterno della nave spaziale e nello stesso tempo controlla, dalla finestrella, la bimba che lo cerca e lo chiama. Sono soli nello spazio? In effetti no, Scopriamo con sguardi a ritroso le vicende che hanno portato l’estinzione quasi totale dell’equipaggio. I litigi, la noia, le scarse e vane speranze, l’osservazione dai grandi affacci nello spazio verso cui i dodici naviganti rivolgono lo sguardo scettico e incuriosito. La loro vita non ha orizzonti sulla Terra e quello che si prospetta davanti è rappresentato da un vuoto che mette paura: il buco nero è da sempre stato narrato dal cinema come un pozzo di cui non si conosce nulla, che riserva ipotesi ma che inghiotte come un enorme drago ogni futuro. Molti siti specializzati definiscono questo film fantascienza, e in un certo qual modo può anche esserlo, ma in realtà le intenzioni della bravissima regista sono ben altre, lontanissime dal cinema di genere. ClaireDenis non mira ad un’opera fantascientifica, la sua è anti-fantascienza, è un film drammatico che proietta ciò che succede sul nostro pianeta in un viaggio interspaziale, con uomini e donne che portano con sé le personali problematiche, che ripetono e riflettono nello spazio quello che avrebbero fatto nella vita libera tra le strade delle città. Sono spiriti vuoti proiettati nel vuoto cosmico, abitati da desiderio e solitudine, prigionieri nonostante siano fuori dal braccio della morte, sfruttati dalla scienza per un esperimento che asciuga l’amore che non hanno mai provato, che qui diventa sesso arido, astratto, vuoto, da laboratorio, che inasprisce la cattiveria che si portano dentro e dietro sin dalla gioventù. Altro che fantascienza, è il dramma che si impadronisce del film e il finale ne dà un’ulteriore certezza.


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Monte è il personaggio più interessante, il più bello e il più difficile da interpretare. Egli è l’antitesi dell’eroe che viaggia verso l’ignoto, non è per nulla il Cooper di Nolan, non è per nulla il valoroso astronauta che vola, atterra e sorride trionfante al ritorno. È semplicemente un giovane che si ritrova in un posto in cui sa adattarsi, dedicandosi, senza mai fare sesso, alla coltivazione di un orto-giardino che riesce ad anestetizzare la mente. Un antieroe che si innamora della sua bimba e impara a crescerla nei modi migliori con i pochi mezzi a disposizione. Che le insegna che la pipì non si beve e la cacca non si mangia, che non sa spiegarsi come mai un esserino così piccolo sia così pieno di lacrime… È un papà umano che non ti saresti mai aspettato, mentre nei suoi ricordi rincorrono le violenze, l’odio che serpeggiava, il fragile equilibrio che regnava, l’insicurezza che hanno portato alla quasi completa distruzione dello strano equipaggio. Adesso, alla fine, nelle prossimità del fatidico obiettivo, che mette tanta paura ma che potrebbe aprire il futuro, eccolo con Willow ormai signorina. Si guardano fiduciosi l’uno nell’altra, sanno che devono prendere una decisione essenziale, altrimenti tutti quegli anni vissuti sarebbero stati sprecati. “Shall we?Andiamo? Ma verso dove? Dove porterà la navicella in cui si stanno trasferendo che punterà verso il buco nero, in cui spazio e tempo cessano? Può essere il tutto o il nulla. Lui la aiuta a indossare la tuta spaziale e accarezza il casco come un innamorato che sfiora il viso dell’amata. È l’unico attimo romantico di tutto il film. Sono rimasti solo loro due: ammesso che ci sia un futuro, come potrebbero alimentare la speranza della vita? Quale futuro se son rimasti soli? Solo loro due? Il finale ci lascia un interrogativo che si chiama: incesto.


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Il film di Claire Denis affascina. Costruisce un’opera fatta di corpi, di organismi e di orgasmi programmati, di spazi immensi e di corridoi e stanze-prigioni, di colori asettici mentre fuori il termine “colore” non ha significati, di corpi sì ma anche di anime perdute. La vita di quegli anni a bordo dell’astronave racchiude quella dell’umanità lasciata laggiù che si sta estinguendo e solo chi sa sopravvivere rimane, per dirigersi verso un avvenire che deve essere una rinascita. Forse la regista ha volutamente preso le distanze dal cinema di fantascienza, ne avrebbe ricavato un film come tanti, invece ha indirizzato il timone, come una navicella spaziale, verso qualcosa di meno scientifico ma più umano, più intimamente inquieto, con uomini e donne macchiati, da cui è emerso solo quello più intelligente e integro, soprattutto mentalmente. Denis aveva lavorato diversi anni fa sul soggetto e lo aveva immaginato cucito addosso al povero Philip Seymour Hoffman e quando si è trovata senza il punto di riferimento aveva abbandonato il progetto, ripensandoci solo dopo aver avvicinato lo strabiliante Robert Pattinson, attore che ormai è da considerare tra i migliori in circolazione. Spesso indecifrabile, sa costruirsi personaggi come sculture, duri e stagliati sul fondo contrastato, recitando con misura dialoghi sussurrati che risultano incisivi e potenti. Anche questo suo Monte diventa per lui l’occasione per un’esibizione corporea e recitativa di grande eccellenza, dando un’ulteriore conferma delle sue capacità, ormai intraviste con gli ultimi film, tutti impegnativi e d’autore, senza il timore di sbagliare scelte. Di sicuro è difficile identificare Robert Pattinson. L'attore ha sfidato la tipologia costruendo un portafoglio diversificato di personaggi durante la sua carriera cinematografica.


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L’altro personaggio di spicco del film è quella della sconcertante dottoressa Dibs, affidata al corpo (è proprio il caso di dirlo) della bravissima e qui sensuale Juliette Binoche: non saprei davvero se altre donne avrebbero reso così magnificamente il ruolo affidatole. Subdola, equivoca, erotica mascherata dal camice bianco, controlla le eiaculazioni per le sperimentazioni previste ma architetta un furto di sperma dal protagonista per portare a termine finalmente il compito della procreazione. La sua “esibizione” solitaria nella fuckroom a cavallo del fallo meccanico è un balletto che si ricorderà nel tempo: grinta da vendere nei panni severi di medico e di guardiana di bordo, eros a badilate quando incrocia Monte. Che brava!


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Nel nutrito gruppo degli sbandati irrecuperabili, campionario diversificato di persone di vario carattere e con differenziate reazioni nelle situazioni che si creano man mano, stupisce la bellissima presenza di una bimba. Come ci si può attendere dalle sequenze che prevedono una neonata, tutto può succedere e la bravura della regia, dell’attore e del montaggio fanno sembrare tutte le scene naturali e non forzate. Quello a cui si assiste sa di miracoloso. Monte gioca e parla con la piccola Willow come se fosse veramente sua figlia e l’attore adatta il suo comportamento a seconda delle reazioni della piccola. È stupefacente ciò che succede ed è, incredibilmente, tutto spiegabile. La Willow da piccola è Scarlett Lindsey, figlia del musicista Sam Bradley, migliore amico del protagonista Pattinson: la bambina (udite udite!) ha davvero mosso i suoi primi passi sul set, e Claire Denis ha trasformato questa coincidenza in una sequenza esaltante e commovente. “Ho capito che dopo averla restituita ai suoi genitori – dice Pattinson - avrebbe odiato essere separata di nuovo, quindi finivo per farle da babysitter per ore.Willow cresce, cresce e diventa una bella ragazza proprio alla vigilia del tuffo verso l’ignoto e il risucchio del maledetto buco nero. Ma è un segno, un bel segno: è l’umanità che si rinnova, che sa ritardare la fine. È la speranza. È il futuro. Grazie a Dio! O a quello in cui credi, come dice Monte.



 
 
 

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