Hope (2013)
- michemar

- 8 feb 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 23 mag 2023

Hope
(So-won) Corea del Sud 2013 dramma 2h2’
Regia: Lee Joon-ik
Sceneggiatura: Kim Ji-hye, Cho Joong-hyun
Fotografia: Kim Tae-gyeong
Montaggio: Kim Sang-bum, Kim Jae-bum
Musiche: Bang Jun-seok
Lee Re: Im So-won
Sol Kyung-gu: Im Dong-hoon
Uhm Ji-won: Kim Mi-hee
Kim Hae-sook: Song Jung-sook
Kim Sang-ho: Han Gwang-sik
Ra Mi-ran: Young-seok's
Yang Jin-sung: Do-kyung
Kim Do-yeob: Han Young-seok
TRAMA: La tragedia di una bambina di otto anni, costretta a far fronte ad una violenza raccapricciante che la scuote internamente e le rende complicato superare emotivamente tutti gli ostacoli che l'episodio lascia nella sua vita.
Voto 8,5

In un giorno piovoso, la piccola Im So-won (Hope), 8 anni, dirigendosi verso la scuola, viene trascinata via da un uomo sconosciuto e ubriaco, dal quale subisce violenza, precipitando in una tragedia atroce, intollerabile. Hope riesce a chiamare comunque soccorso e viene sottoposta a un gravoso intervento chirurgico, finendo per riportare ferite che non potranno mai rimarginarsi. La famiglia di Hope, sfregiata sia fisicamente che emotivamente, piomba nella disperazione. In seguito al trauma, la bimba rifiuta perfino la presenza di suo padre, Dong-hoon, il quale, non potendo più stare vicino alla figlia, si nasconde dietro il costume del suo personaggio dei cartoni animati preferito, e diventa così il suo angelo custode.

La piccola è la figlia unica nell’ambito di una famiglia piccola ed unita: la madre Mi-Hee lavora nel negozio di famiglia e soffre di stress per l'infinita corsa dalla mattina a sera tra la casa e l’attività commerciale e ora è anche incinta; il padre Dong-hoon è operaio in una fabbrica della cittadina e ha perennemente problemi con i soldi, spesso risolti dal fraterno amico e suo capo Jung-sook. La ragazzina frequenta la scuola locale, molto intelligente e con la passione per il personaggio dei cartoni animati Koko-mong. Non hanno grandi possibilità economiche ma vivono felici e molto uniti e la bimba deve parecchio arrangiarsi da sola, specialmente per recarsi a scuola, quando il papà deve correre in fabbrica e la madre è già preoccupata di aprire la porta del negozio, tanto che spesso esce da sola e per giunta viene staccata dai suoi amichetti, così come capita per gioco o per piccoli dispetti per i bimbi di quella tenera età. In particolar modo dall’amichetto paffutello che scherzando la sfida a fare a pugni e che non è capace di non soffermarsi davanti alla vetrina della famiglia. Proprio per il fatto di essere rimasta a qualche decina di metri distante dal gruppo e a poca distanza dalla scuola, una mattina un uomo chiaramente ubriaco la ferma sotto la pioggia scrosciante per chiedere a Hope di ripararlo sotto il suo ombrellino. La straziante scena seguente la mostra distesa bocconi su una panca all’interno di un capannone con la manina insanguinata che si tende verso il cellulare per chiamare aiuto. Inizia così una via crucis penosa e di sofferenza fatta di interventi chirurgici delicatissimi, di rieducazione fisica ma soprattutto di riabilitazione psicologia terribilmente difficile, in cui la presenza paterna sicuramente le richiama quella maschile che le rappresenta mentalmente il bruto che l’ha scaraventata in un incubo fisico e psicologico profondamente invalidante.

Pur nella profondità della tragedia, il film di Lee Joon-ik si sviluppa con una delicatezza e sensibilità che travalica ogni aspettativa, seguendo due percorsi diversi ma paralleli, con la speranza che lentamente un giorno si possano tornare ad una parvenza, fin quando sarà possibile, di normalità e di quotidianità che significa il ritorno a quella esistenza che giustamente una bimba ha diritto di vivere. Uno è quello della lunga degenza in ospedale dove il personale medico e infermieristico le rivolgono, con tutta la dedizione tipicamente orientale, l’attenta assistenza per condurla pian piano, come ci si può attendere, verso l’accettazione delle difficoltà fisiche e psicologiche e il loro superamento; l’altro è quello affliggente che deve affrontare il padre per essere ri-accettato dalla figlia, a maggior ragione rendendosi conto che fino ad allora era stato, colpevolmente, alquanto distratto con la famiglia trascurando di essere più presente verso la bimba un po’ per la stanchezza dal lavoro manuale che svolge, un po’ per i problemi finanziari e, perché no, un po’ per un certo senso di superficialità che lo caratterizza. Più vicino al suo collega amico, capo reparto nella sua officina, come un giovanotto che preferisce la compagnia, che all’ambiente domestico. Consapevole di queste mancanze e ravveduto dalla terribile esperienza della figlia, ora, con l’aiuto del superiore che lo considera in vacanza giustificata e pagata, si dedica anima e corpo alla sua difficile felicità, cercando ogni mezzo di farsi accettare e allietare le sofferenti giornate nel lettino d’ospedale da cui Hope non vuole allontanarsi: lui si camuffa perfino nel personaggio del suo cartone animato preferito, il suo amato Koko-mong, sopportando la pesante vestizione che lo fa sudare fino all’inverosimile di cui neanche si accorge, pensando solo a strappare un pur minimo sorriso a Hope, cercando di alleviare la sua sofferenza che pare insuperabile.

È su di lui che Lee Joon-ik punta la sua attenzione, sulla sua sofferenza umana per mitigare le ferite del corpo e della mente della piccola, che data l’età non può trovare la forza per reagire e accettare lo stato in cui versa. Ha bisogno di aiuto sia lui che lei e lo trovano in una paziente e attenta psicologa che guida il recupero nella clinica e si prodiga di consigli verso l’uomo. Lei osserva accuratamente ogni minimo segnale della piccola, la sorveglia per captare le reazioni, la incoraggia con affetto, ben conscia della gravità del caso, del silenzio assoluto in cui lei si è chiusa, del rifiuto che oppone al genitore e a tutti coloro che cercano affannosamente di aiutarla. Deve anche incoraggiare il padre che si sente colpevole di non aver dato alla figlia la presenza necessaria almeno per accompagnarla quotidianamente a scuola, mancanza che lo affligge pesantemente. È nei suoi occhi che noi percepiamo se lo stato di salute mentale sta migliorando o no, dalle espressioni della terapeuta intuiamo l’efficacia della degenza. Nel frattempo, i colleghi di lavoro e i vicini di casa raccolgono i fondi necessari affinché nulla manchi nelle cure costose ma necessarie e indispensabili.

Poi c’è un’altra pista che segue il film, quella delle indagini che la polizia sta eseguendo per acciuffare e processare il malfattore, ma la giustificata lentezza della procedura e i legittimi dubbi che necessita cancellare affinché si motivi legalmente l’arresto del sospettato (uno sbandato riconosciuto in foto dalla bimba) spingono Dong-hoon quasi a cercare di farsi giustizia da solo e quando la condanna arriva molto più mite delle attese, si scatena la rabbia dei genitori e dei conoscenti. Un dramma nella tragedia.


Le conseguenze del brutale atto sono pesanti su tutti i personaggi: Dong-hoon tenta di tenere insieme il lavoro e le difficoltà finanziarie concentrandosi esclusivamente sulle attività di indagine con la polizia; Mi-hee che affronta problemi di disprezzo di sé e si incolpa per l'incidente permettendo che Hope fosse andata a scuola da sola quel giorno; e Hope stessa incapace di elaborarlo nella sua mente acerba mentre allontana tutti intorno a lei. Il film è al suo meglio quando si concentra sul trauma emotivo di tutte le persone che circondano il brutale stupro, della famiglia in particolare, del silenzioso rimprovero di Hope verso il padre che non l’ha protetta. Nel contempo, è commovente il tentativo di un padre di riconnettersi alla figlia. La delicatezza che usa il regista, che evita di mostrare la pur minima immagine scabrosa o aberrante, trasforma l’incubo della bimba in un’appassionate storia d’amore familiare e di amicizia solidale, di vicinanza affettiva che travalica ogni sofferenza, o almeno prova a immaginare che con l’amore tutto è possibile.

Si assiste a questa dolorosissima storia con il groppo in gola, prima per la tenerezza della bellissima e dolcissima Lee Re, poi per lo strazio vissuto dal suo piccolo personaggio e per la sofferenza che deve sopportare, e poi per il dolore dei genitori, prima di tutto del papà e il suo senso di colpa che lo induce a tentare ogni possibile metodo per aiutare la sua minuta, indifesa, sensibile, meravigliosa So-won. Sempre trattenendo il fiato, emozionati e toccati. Gli attori sono tutti così bravi che non pare neanche che recitino, ma la bellezza del film è gran parte nelle mani e nell’occhio lungimirante di Lee Joon-ik. Se è il cast che lavora incredibilmente bene insieme e ognuno offre una eccellente performance emotiva, tuttavia è quella della mini-attrice Lee Re che lega tutto insieme e i suoi sottili manierismi e sfumature emozionali portano il tocco finale. Ed è così che il film svolge la sua funzione di emotività a tutti i livelli. Nel film doloroso al cuore ma allietante osservando l'interazione sincera tra le famiglie e la partecipazione accorata e commovente dei compagni di classe, il regista ci consegna, con tutta la sensibilità orientale che ci si può attendere, una bella storia. Infausta ma piena di speranza. Perché ogni guarigione è un augurio e un primo passo di speranza.
Quella speranza che si materializza con un sorriso e una carezza sul viso madido di sudore.






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