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I bambini ci guardano (1943)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 12 lug
  • Tempo di lettura: 3 min
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I bambini ci guardano

Italia 1943 dramma 1h24’

 

Regia: Vittorio De Sica

Soggetto: Cesare Giulio Viola ("Pricò")

Sceneggiatura: Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Cesare Giulio Viola, Margherita Maglione, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi

Fotografia: Giuseppe Caracciolo, Romolo Garroni

Montaggio: Mario Bonotti

Musiche: Renzo Rossellini

Scenografia: Amleto Bonetti

 

Luciano De Ambrosis: Pricò

Emilio Cigoli: Andrea, il padre di Pricò

Isa Pola: Nina, la madre di Pricò

Adriano Rimoldi: Roberto, l’amante di Nina

Giovanna Cigoli: Agnese, la governante

Dina Perbellini: la zia

Jone Frigerio: la nonna

Maria Gardena: la signora Uberti

Nicoletta Parodi: Giuliana

Tecla Scarano: la signora Resta

Ernesto Calindri: Claudio

Olinto Cristina: il rettore

Mario Gallina: il medico

Zaira La Fratta: Paolina

Armando Migliari: il commendatore

Guido Morisi: Gigi Sbarlani

Augusto Di Giovanni: il fratello di Andrea

Agnese Dubbini: la padrona della pensione

Riccardo Fellini: Riccardo

 

TRAMA: Pricò è un bambino lasciato dalla madre, fuggita di casa con un amante, e sballottato da un ambiente all’altro dal padre, modesto impiegato di banca. La madre, tornata a casa, si lascia attrarre di nuovo dal vecchio torbido rapporto. Il marito, non sopportando l’ennesima fuga, si suicida. Così Pricò si trova a dover affrontare una situazione disperata.

 

VOTO 7


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Il romanzo, soggetto del film, si chiama come il piccolo protagonista ma Vittorio De Sica, alla sua quinta regia, la prima senza recitare, decide di cambiare il titolo per dare maggior peso al dramma del piccolo protagonista e a ciò che sopporta nella storia. De Sica anticipa il neorealismo e inaugura una nuova stagione del cinema italiano, girando tra il 1942 e il 1943 tra numerose difficoltà distributive, complici le turbolenze della Seconda guerra mondiale. Nonostante ciò, il film è oggi riconosciuto come una pietra miliare nella storia del cinema italiano, al pari di Ossessione di Luchino Visconti e Quattro passi fra le nuvole di Alessandro Blasetti. Opere che segnano una netta cesura rispetto alla produzione cinematografica precedente, dominata da commedie leggere e melodrammi sentimentali. Invece De Sica abbandona i toni disimpegnati per raccontare con sobrietà e profondità i drammi della gente comune, anticipando quella corrente che di lì a poco prenderà il nome di neorealismo.



Al centro del film, l’intensa interpretazione del bimbo Luciano De Ambrosis, piccolo attore torinese, che dà volto e voce al dolore silenzioso dell’infanzia. Il film rappresenta l’inizio di un percorso artistico che, mettendo al centro della scena i bambini, porterà De Sica a realizzare capolavori come Sciuscià e Ladri di biciclette, tutti incentrati sulla condizione dei più piccoli in una società in crisi. È anche il primo tassello della storica collaborazione tra De Sica e Cesare Zavattini, sceneggiatore e teorico del neorealismo, destinata a diventare uno dei pilastri della cinematografia italiana degli anni Quaranta e Cinquanta.



Nel cuore dell’Italia fascista e in pieno conflitto mondiale, il film si impone come un’opera coraggiosa e controcorrente. Realizzato in un momento in cui il regime prediligeva un cinema evasivo e propagandistico, il film di De Sica rompe gli schemi con una narrazione intima e dolorosa, che riflette le tensioni sociali e familiari del tempo. Infatti, il tema centrale è rappresentato dalla crisi di una famiglia borghese attraverso gli occhi di un bambino, Prico, testimone silenzioso dell’abbandono e del disfacimento morale degli adulti. Questa prospettiva infantile, priva di retorica, diventa lo strumento con cui De Sica denuncia l’ipocrisia e la fragilità dei valori tradizionali. È un’Italia che si scopre vulnerabile, lontana dalle immagini patinate del cinema di regime.



All’uscita non ottenne un grande successo commerciale, complice la censura e le difficoltà distributive. Tuttavia, la critica più attenta ne colse subito la portata innovativa. Il film fu lodato per la sua sincerità espressiva, la regia sobria e la capacità di raccontare il dolore senza artifici. In retrospettiva, è considerato uno dei precursori del neorealismo, non solo per i temi trattati, ma anche per lo stile: ambientazioni reali, attori non professionisti, attenzione ai dettagli quotidiani.


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La conclusione è diversa rispetto al romanzo di Viola, dato che in questo il bimbo perdona la madre, con un esito consolatorio che De Sica rifiuta. Comunque, a prescindere dall’epoca del film, si può affermare che nulla è cambiato e che il tema sia ancora molto attuale.



 
 
 

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