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Ladri di biciclette (1948)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 11 ott 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

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Ladri di biciclette

Italia 1948 dramma 1h33'


Regia: Vittorio De Sica

Soggetto: Luigi Bartolini

Sceneggiatura: Cesare Zavattini, Vittorio De Sica, Suso Cecchi d'Amico, Oreste Biancoli, Adolfo Franci, Gerardo Guerrieri, Gherardo Gherardi

Fotografia: Carlo Montuori

Montaggio: Eraldo Da Roma

Musiche: Alessandro Cicognini

Scenografia: Antonio Traverso


Lamberto Maggiorani: Antonio Ricci

Enzo Staiola: Bruno

Lianella Carell: Maria

Elena Altieri: signora benefattrice

Gino Saltamerenda: Baiocco

Vittorio Antonucci: il ladro della bicicletta

Michele Sakara: il segretario della festa di beneficenza

Fausto Guerzoni: l'attore della filodrammatica

Ida Bracci Dorati: la "santona"

Peppino Spadaro: il brigadiere


TRAMA: Alla fine della Seconda guerra mondiale, il disoccupato Antonio trova finalmente un impiego come attacchino, ma gli rubano la bicicletta. Dopo una denuncia senza speranza alla polizia, l'uomo inizia col figlio Bruno una frustrante ricerca per tutta Roma, poi, disperato decide di rubarne una. Ma Antonio viene sorpreso in flagrante.


Voto 9

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Considerato uno dei capisaldi del neorealismo italiano, il film arriva in un momento critico della carriera di Vittorio De Sica, alle prese con l'insuccesso commerciale, ma non certo artistico, di Sciuscià. Il regista sentiva l'esigenza di tornare sulle tragedie del vivere quotidiano, focalizzando la propria attenzione sulla vita delle classi meno agiate nella capitale piegata dal conflitto mondiale. Si narra che De Sica, pur di realizzarlo come aveva in mente, investì i propri fondi personali e rifiutò addirittura l'offerta di finanziatori americani che volevano Cary Grant nel ruolo di Antonio Ricci, poi affidato a un attore non professionista, Lamberto Maggiorani. Così come tutti gli altri ruoli dei film.

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Il protagonista, un proletario dell'estrema periferia romana, dopo un lungo periodo di disoccupazione, trova lavoro come attacchino comunale, ma per portare a termine l'impiego necessita della sua bicicletta, che però aveva impegnata al Monte di Pietà. Pur di riavere quel mezzo di trasporto, la moglie la riscatta offrendo in cambio delle lenzuola. Antonio, proprio all’inizio di questo nuovo lavoro, subisce il furto della bicicletta. Si definirebbe, in tempi normali, una comune sventura che potrebbe anche sembrare di poco interesse, ma che rivela tuttavia la sua valenza drammatica quando è calata nella tragedia quotidiana della disoccupazione e della difficile ripresa postbellica.

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Dopo il furto della bicicletta inizia una lunga ricerca in cui Roma e la stessa bicicletta accompagneranno Ricci e il figlioletto Bruno in un panorama devastato dalla povertà, dominato dall'indifferenza delle persone e della noncuranza delle istituzioni.

De Sica pedina Antonio ed il figlio (Enzo Staiola), nel loro vagare senza sosta e senza speranza. In una Roma ostile e impassibile, quando Ricci scorge una bicicletta incustodita vede l'unica via di sopravvivenza: prova a rubarla maldestramente, mentre viene visto dalla gente. Il tentativo di furto sarà sventato dalla folla furiosa che accerchia e assale l’uomo. Per sua fortuna la presenza del piccolo Bruno commuoverà i presenti e permetterà a Ricci di evitare la denuncia del furto.

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Dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini, adattato al grande schermo con la sua sceneggiatura scritta con Cesare Zavattini, oltre che con Suso Cecchi d'Amico ed altri ancora, Vittorio De Sica dipinse il più grande affresco del dopoguerra che diventò nella storia cinematografia l'esempio più eclatante del vero neorealismo italiano: attori non professionisti e una storia che rappresenta il manifesto sociale di quei tempi.

Universalmente ritenuto all'apice delle classifiche dei migliori film di sempre, è un'opera fondamentale della vita di De Sica, perché lo fece conoscere in tutto il mondo e gli permise di iniziare così la sua memorabile carriera.

Film premiato con Oscar, Golden Globe e BAFTA.



 
 
 

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