I Care a Lot (2020)
- michemar

- 1 mar 2021
- Tempo di lettura: 5 min

I Care a Lot
USA/UK 2020 commedia thriller 1h58’
Regia: J Blakeson
Sceneggiatura: J Blakeson
Fotografia: Doug Emmett
Montaggio: Mark Eckersley
Musiche: Marc Canham
Scenografia: Michael Grasley
Costumi: Deborah Newhall
Rosamund Pike: Marla Grayson
Peter Dinklage: Roman Lunyov
Eiza González: Fran
Dianne Wiest: Jennifer Peterson
Isiah Whitlock Jr.: giudice Lomax
Macon Blair: Feldstrom
Alicia Witt: dott.ssa Amos
Damian Young: Sam Rice
Chris Messina: Dean Ericson
TRAMA: Marla Grayson lavora con successo come tutrice legale di persone anziane non più in grado di gestire le proprie finanze. Ha un grande talento nell'usare la legge a suo beneficio e a svantaggio dei suoi clienti. Ma quando entra in contatto con Jennifer, una cliente apparentemente perfetta, si rende conto che l'apparenza può essere ingannevole. Mentre si aggrapperà con tutta se stessa al suo elusivo sogno americano, Marla vivrà la più misteriosa delle avventure della sua vita.
Voto 6,5

Al comparire del viso geometricamente spigoloso della bella Rosamund Pike viene istintivo andare con la mente al suo ruolo di Amy Dunne de L'amore bugiardo - Gone Girl (recensione) di David Fincher: stessa espressione ingenuamente furba, occhi dal vago strabismo di Venere che stregano il malcapitato interlocutore e che nello stesso tempo lanciano strali di fuoco e rabbia (col sorriso, però), con in più un abbigliamento da donna aggressiva in carriera e un taglio di capelli tirato con la riga. E non ci si sbaglia, con l’unica differenza che lì si adottava due condotte differenti (dimessa o combattiva) a seconda delle situazioni, qui è una guerriera perennemente sul sentiero di guerra. Eccettuati i momenti in cui deve mostrasi agli altri come donna irreprensibile e dedita, pur se per motivi professionali, ad aiutare anziani in difficoltà e a svolgere compiti di assistenza sociale. Una sorta di missionaria criminale. Il quadro è delinquenziale e semplice: Marla Grayson ha un’attività che ufficialmente sembra di encomiabile utilità sociale, con la complicità di una dottoressa che segnala casi di anziani soli e in difficoltà e che ne amplifica i disagi di salute e quella di un giudice compiacente che con gran facilità decide di affidare il soggetto adocchiato alla professionista, in modo che quest’ultima ne curi il patrimonio e la affidi ad un ricovero per anziani. L’importante è che ci siano le condizioni necessarie per attuare il piano: che siano soli e senza parenti che possano ostacolare il piano e che godano di un buon patrimonio. È il caso ideale per approfittare della loro ricchezza dopo aver venduto le proprietà e fatto sparire il conto in banca e magari anche del contenuto della cassetta di sicurezza in banca. Per completare il quadro, nel lussuoso ufficio di Marla collabora come correa la giovane Fran, non solo assistente ma anche amante e convivente.

Le vittime devono quindi essere alquanto agé, sufficientemente deboli di carattere e lucidità data l’età, magari addirittura malati seriamente, bisognosi di gesti affettuosi, di comprensione. In queste condizioni sappiamo bene che gli anziani sono fragili e facilmente raggirabili e quando vedono questa bella donna che li ammansisce e che si presta da buona samaritana ad “aiutarli” si lasciano subito convincere, senza immaginare che così sta iniziando la loro fine. E non è tutto, perché all’occorrenza (cioè vecchiette che si ribellano) ci sono anche compiacenti poliziotti che intervengono con tanto di provvedimenti scritti dal giudice. Rinchiusi in una RSA (Marla ne ha diverse per le mani che la assecondano una volta stabilita una soddisfacente cifra per la retta della degenza), privati del cellulare, ammansiti da un’adeguata cura di calmanti, passano gli ultimi anni della vita tra televisione e giochi con gli altri ricoverati, senza mai poter varcare la soglia del ricovero, sbarrato e protetto da guardie. Le cliniche si arricchiscono di clienti volontari e no, Marla e Fran con i loschi affari. Un giro vorticoso come una vite senza fine.

Commedia nera? No, un thriller a tinte fosche, un noir che si accende quando una delle vittime anziane adocchiate, la signora Jennifer Peterson - ricca, gran bella villa, sicuramente tesori in casa e in banca - non è quella che il descritto castello delinquenziale credeva. È allora che si accende il film, quando vediamo comparire un figlio insospettabile, un portatore di handicap nell’accrescimento somatico (un nano insomma!) a capo di una organizzazione criminale che tratta moltissimo danaro proveniente da traffici illeciti da capogiro. La situazione che sembrava solo assurdamente facile da gestire diventa così una guerra difficile da vincere, con l’irruzione di bodyguard enormi, armi convenzionali o meno, fughe, rientri, ammazzamenti, decessi evitati molto più che miracolosamente. E quindi ritorni, scontri che paiono finali e che poi non lo sono più… insomma una trama che si colora di quel tipo di pulp che solo la fantasia di Martin McDonagh ci ha mostrato ultimamente con il bellissimo Tre manifesti a Ebbing, Missouri (recensione) e in precedenza con il sorprendente In Bruges - La coscienza dell'assassino (recensione). Un pulp che, come da schema classico) vira al grottesco e al semicomico, nonostante o forse proprio a causa del sangue versato e la violenza praticata.

Quando però il film di J Blakeson, più che altro noto per il buon La scomparsa di Alice Creed (opera fatta della stessa pasta), deve definitivamente prendere il volo, ecco che inaspettatamente arriva non dico proprio un vero happy end ma quasi. O perlomeno dal sapore “narcotico”. Di tutto ci si poteva attendere tranne di un accordo finale tra i due duellanti, la malefica Marla e il figlio della vittima per eccellenza, Roman Lunyov, un altrettanto malevolo personaggio che non conosce limitazioni alla sua ferocia. Sarebbe il caso di far riferimento alla bella e alla bestia, ma in questo caso è difficile dire chi è l’uno o chi è l’altra. Tutto beninteso in salsa grottesco-drammatico-commedia dal ghigno che vorrebbe essere un sorriso sardonico. A cui va aggiunta l’assurdità di alcune sequenze che riguardano direttamente la protagonista, che ricorda quel nonno che la famiglia non riusciva ad uccidere. Una donna dalle sette vite, come i gatti. E se il film piacerà sarà solo per merito di Rosamund Pike, un’attrice sempre brava ma che con David Fincher aveva trovato il lancio definitivo per la sua carriera. Di lei però non si può dire che è capace solo in questi ruoli, perché basterebbe osservarla in A private War, o in Beirut, e soprattutto in Hostile: Ostili (recensione) per avere le idee più chiare. Certamente, quando deve rimettere la maschera graffiante della maledetta diventa quasi insuperabile e quando un regista ha per le mani un soggetto come questo mi sembra ovvio che chiami lei.

Micidiale direi il ruolo del terribile di Peter Dinklage, piccolo ma denso di sprizzante cattiveria che sotto sotto sa esprimere l’ironia del ruolo affidatogli. Lo caratterizza a sufficienza e il giusto, anzi secondo me qualcuno (della critica che conta) ha scritto addirittura di overacting sbagliando e a me un tale giudizio sembra del tutto ingiustificato. Oltre brava è stata Dianne Wiest, attrice da sempre sicura come una cassaforte per affidare il personaggio giusto e lei risponde egregiamente. Il resto importante del cast il regista J Blakeson lo ha scelto in maniera oculata, perché per un soggetto del genere (e di genere) è necessario avere un gruppo adeguato, cioè belle attrici che siano adatte ai ruoli malefici, accoppiando charme e cattiveria crudele, per giunta senza rimorsi: vedi le presenze di Eiza González, che è la complice e innamorata Fran, e Alicia Witt, la dottoressa Karen Amos senza peli sullo stomaco. Chris Messina? Lui sì che carica giustamente il suo personaggio di Dean Ercson, l’avvocato belloccio e vanaglorioso del piccoletto criminale, che si fa pagare profumatamente ma che vale meno della bibita lanciata dall’iroso Roman Lunyov.

In definitiva, un film sicuramente sufficiente, certo non memorabile, piuttosto una divertente variazione del pulp moderno che alcuni valenti registi hanno iniettato nel cinema odierno. Accettabile, se gli perdoniamo qualche eccesso di sceneggiatura e alcuni virtuosismi inutili di regia a proposito di primi piani. Ma questi fanno parte del gioco.

P.S.: Giunge adesso la notizia del Golden Globe vinto da Rosamund Pike come attrice protagonista in una commedia o musical: che dire? È la conferma di ciò che scrivo qualche riga più in su, non mi meraviglio più di tanto, è stata brava!






Commenti