I fiumi di porpora (2000)
- michemar

- 15 set 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 21 set

I fiumi di porpora
(Les rivières pourpres) Francia 2000 thriller 1h46’
Regia: Mathieu Kassovitz
Soggetto: Jean-Christophe Grangé (romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Mathieu Kassovitz, Jean-Christophe Grangé
Fotografia: Thierry Arbogast
Montaggio: Maryline Monthieux
Musiche: Bruno Coulais
Scenografia: Thierry Flamand
Costumi: Sandrine Follet, Julie Mauduech
Jean Reno: Pierre Niemans
Vincent Cassel: Max Kerkerian
Nadia Farès: Fanny Ferreira
Jean-Pierre Cassel: dr. Bernard Chernezé
Dominique Sanda: suor Andrée
Karim Belkhadra: capitano Dahmane
Didier Flamand: il rettore
Laurent Lafitte: Hubert
TRAMA: Alta Savoia, zona di Grenoble; viene ritrovato, sulla parete di un monte, il cadavere di un uomo morto molto molto male. L'hanno mutilato e torturato, tenendolo in vita per ore. Intanto, in un paesino vicino, la tomba di una bambina morta dieci anni prima viene profanata. Il commissario Niemans indaga sul primo caso, Kerkerian, sul secondo. Ben presto le indagini diventano una sola, e si incentrano sulla vicina università arroccata tra i monti.
Voto 7

Mathieu Kassovitz è un bravo attore e i suoi film spaziano dall’azione all’opera impegnata, ma è anche un regista puntiglioso e capace (magari non sempre perfetto, ma il mestiere lo sta imparando), e in questa attività è spesso attirato da trame sporche e di movimento. È proprio il caso di questa volta, occasione per la trasposizione di un romanzo a tinte fosche, duro, scuro, sanguigno e a tratti sanguinolento, sicuramente di sapore gotico, al limite del “giallo” che all’improvviso si accende brutale e feroce, anche sotto la spinta del libro omonimo di Jean-Christophe Grangé.
Siamo in Alta Savoia, dove, come appunto descrive il romanzo, l'opera si divide tra le indagini dei due personaggi Max Kerkerian e Pierre Niémans. Ognuno dei due poliziotti segue le tracce del proprio caso che inizialmente si pongono come due eventi distinti e apparentemente estranei l'uno dall'altro, e per gestire entrambe le storie il romanzo è strutturato in modo da rimbalzare da un caso all'altro. All’inizio mai si sarebbe potuto ipotizzare che le due storie avessero molto in comune e che prima o poi avrebbero confluito nella medesima indagine, però andando avanti che questo succeda non sorprende più di tanto. È inevitabile. Anche lo spettatore, infatti, intuisce che non può essere altrimenti, forse è anche un po’ troppo “telefonato”, oltretutto perché le due strade hanno una comune matrice e, quando avviene, il momento è costruito bene e con un tocco di suspense a causa di una doppia effrazione.

Le due storie, apparentemente distanti. In montagna è stato trovato il cadavere di un uomo torturato atrocemente prima di farlo morire, anzi volutamente fatto morire lentamente e con sofferenza; in un paesino vicino la tomba di una bambina morta dieci anni prima è stata profanata; le indagini separate si incentrano sulla vicina università arroccata fra i monti, dove succedono cose molto, molto strane. Un college per studenti superdotati, con professori del livello necessario, totalmente autonomo per i lunghi mesi invernali e, soprattutto, con molti misteri all’interno. Chi sa bene cosa succede? cosa si studia? come avviene a selezione? Un solo fatto è certo e mette paura: a furia di rimanere isolati in quel luogo esclusivo succede che le famiglie si formino solo tra di loro, con un certo decadimento genetico che porta questi scienziati a correre ai ripari con la eugenetica. Una roba da nazisti. Ecco, questi tre punti da unire sono l’ossatura su cui Mathieu Kassovitz si dedica per un film che non fa trascorrere neanche un minuto che qualcosa non avvenga, ogni sequenza è importante e ogni cambio di scena e ambiente presenta un’ulteriore svolta della dinamica della trama, che comincia a vedere la luce solo nel finale, come ogni thriller comanda.

Interessante è l’accoppiata dei due poliziotti che indagano non solo separatamente ma per buona parte anche in contrapposizione e Kassovitz si diverte anche ad assortirla con due uomini parecchio distanti e diversi. Uno è più calmo, riflessivo, fa andare la mente più che il fisico ed è un super esperto, ben conosciuto nel corpo di tutta la polizia francese; l’altro è uno fresco di nomina e sbattuto nel paesino di montagna, è veloce di mano, abile nelle arti marziali, impulsivo e chiacchierone. Due caratteri così diversi che, come spesso il cinema ama, si compensano a vicenda e spesso litigano proprio per le differenti capacità e mentalità. Al termine solo l’affiatamento e la fiducia l’uno nell’altro li porterà alla soluzione, pur se rischiando entrambi la vita. Insomma, qualche attimo di commedia lo si gode (ma solo qualche attimo!), giusto il tempo per alleggerire l’atmosfera che è veramente pesante e a volte macabra. Vincent Cassel è la solita faccia da schiaffi, adatta per un tenente di polizia spaccatutto ma inesperto, mentre gli atteggiamenti da duro ma sensibile di Jean Reno fanno tenerezza, rinfrescandoci il ricordo del mitico Léon.

L’aria che si respira può far venire in mente quella terribile di Seven (qui la mia recensione), tra gli omicidi atroci e le indagini che brancolano nel buio, tra la ferocia dell’assassino/a e la volontà di farsi scoprire. In più qui tanto buio e anche tanta luce, bianchissima come la neve e i ghiacciai che dominano il gran finale. Un finale che giunge dopo una notte difficile ma produttiva e solo la prima luce dell’alba porterà i due uomini al traguardo.
Tutto finirà come da copione, come sempre: all’alba vincerà, la giustizia. Come anche la natura.






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