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I fratelli Sisters (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 8 mag 2019
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 2 gen 2020


I fratelli Sisters

(The Sisters Brothers) Francia/Spagna/Romania/Belgio/USA 2018, western, 2h2’


Regia: Jacques Audiard

Soggetto: Patrick deWitt (romanzo)

Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain

Fotografia: Benoît Debie

Montaggio: Juliette Welfling

Musiche: Alexandre Desplat

Scenografia: Michel Barthélémy

Costumi: Milena Canonero


John C. Reilly: Eli Sisters

Joaquin Phoenix: Charlie Sisters

Jake Gyllenhaal: John Morris

Riz Ahmed: Hermann Kermit Warm

Rutger Hauer: Commodoro

Rebecca Root: Mayfield


TRAMA: Oregon, 1851. Due fratelli, Charlie ed Eli, il primo impulsivo, scontroso, amante di vino e donne, il secondo più riflessivo e sensibile, lavorano insieme, ma non vanno sempre d'accordo, così battibecchi ed incomprensioni sono all'ordine del giorno. I Sisters sono pagati dal commodoro dell'Oregon per eliminare i suoi nemici in modo veloce ed efficace; la loro fama li precede e sono temuti da tutti gli abitanti del west. L'ultimo lavoro consiste nel far sparire un chimico, accusato di aver rubato al loro capo e che sembra aver scoperto il metodo per scovare l'oro dai letti dei fiumi. Non tutto però va come previsto.


Voto 7


Lo hanno definito un western anomalo e io andrei anche oltre: è un film anomalo, spiazzante, che mescola il West a momenti di commedia e di avventura, con alcuni tratti di drammatico allorquando si ha modo di scoprire il passato e i difficili rapporti all’interno della famiglia dei due personaggi del titolo, i fratelli Sisters (i fratelli Sorelle, insomma). E non solo loro due, perché come si verrà a sapere nei momenti più quieti della storia, nelle scene in cui le pistole tacciono e ci si lascia andare a inaspettati attimi di confidenze amichevoli, tutti i quattro personaggi importanti della vicenda raccontata (tratta dal romanzo ‘Arrivano i Sister’) hanno in comune un passato con un padre che vogliono dimenticare, che stimola solo ricordi negativi. Sembra quasi che siano diventati killer e avventurieri solo per scappare dai luoghi d’infanzia e dai ricordi associati, dalle violenze subite alle sbronze che causavano litigi e complicità e dai terribili segreti bagnati dal sangue familiare.

Quattro figure, quattro caratteri ben differenti. Charlie e Eli sono due fratelli sicari, più killer che bounty-killer (come invece in tanti li hanno definiti) che si muovono infatti su commissione, in particolar modo alle dipendenze di un feroce capo clan chiamato Commodoro: il primo è violento e cinico, uccide con semplicità e senza la minima remora, vede il suo truculento lavoro come una mansione ordinaria, è introverso e facile ad ubriacarsi; l’altro esegue gli incarichi omicidi con la medesima noncuranza ma a differenza del fratello avverte un minimo di disagio, cercando di mascherare un certo senso di carenza di affetto che cerca anche con un semplice gesto di gentilezza perfino verso le prostitute. Basta poco per stimolargli un accenno di umanità, di cui entrambi paiono assolutamente privi: non ha ancora dimenticato il calore domestico che ha abbandonato ormai da anni ma nello stesso tempo si rammarica per aver lasciato a Charlie l’ingrato compito di eliminare il padre, in quanto “spettava a lui” in qualità di fratello maggiore! Strana sensazione di contrasto tra la responsabilità fraterna e la proficua attività di killer di professione.


La missione appena ricevuta è di uccidere un certo Hermann Kermit Warm, un chimico che ha trovato la formula magica per trovare facilmente l’oro nell’acqua dei fiumi e per rintracciarlo li aiuterà un quarto personaggio, John Morris, un detective sorridente e istruito, che viaggia per conto suo per catturarlo e consegnarlo a loro. Queste quattro persone, quando riescono finalmente a riunirsi, attraverseranno inaspettatamente il guado della rivalità e realizzeranno un’alleanza per approfittare della geniale sostanza chimica inventata da Warm. La vicenda in seguito prenderà una piega tutta particolare perché, in fondo stiamo parlando di un film firmato da Jacques Audiard, i cui film non sono mai ordinari, mai scontati e che vanno prima o poi a scoprire il nervo violento degli uomini, quindi con finali imprevedibili e pieni di complicazioni.

Ma è davvero un film di Jacques Audiard? Mah, a dir la verità mi aspettavo molto di più, prevedevo più cattiveria, più originalità. Ci sono indubbiamente personaggi singolari, come lo sono stati i protagonisti delle altre storie di Audiard, sicuramente la storia classica del West lui la sa adattare alle proprie esigenze, ma secondo me non basta, prima di tutto perché si viaggia su binari piuttosto ordinari e un minimo di delusione sopravviene, nonostante la particolarità dei quattro protagonisti. Il regista distribuisce qui e là qualche momento perfino divertente quando la facilità di uccidere diventa una routine noiosa o quando ci sono simpatici scambi di battute, oppure quando contrappone al messaggio cinico di quegli uomini quello umano e bisognoso di affetto. Raggiunge il massimo dello humour in un momento straniante, durante una inquadratura (l’arrivo sull’oceano, ma perché poi, caro Audiard?) che fa distrarre dall’ascolto e che risulta il più ironico: “Sai una cosa?” - dice Charlie quando arrivano per la loro prima volta sulla spiaggia - “Credo che non siamo mai andati così lontano, insieme”. Ed Eli perplesso: “Intendi tra noi? Nella nostra conversazione?” Peccato sia una sequenza troppo veloce, presto sfumata e per giunta distratta dal panorama per poter essere giustamente apprezzata e soprattutto notata.


Quattro attori ben messi, ben scelti e ben assortiti su cui inaspettatamente (e dico: era ora!) emerge la bravura di John C. Reilly, il quale finalmente dispone di un personaggio protagonista di primissimo piano dopo una quantità industriale di ruoli secondari. Il suo killer uccide come il fratello ma in realtà è un tenerone e non sa nascondere il suo segreto desiderio di tornare ad una vita più pacifica e sedentaria, invece di girare mezzo West e sparare proiettili a destra e a manca. Questa vita lo ha ormai stancato e perfino annoiato. È un personaggio che pare cucito su misura per il fisico e l’espressione spesso perplessa e gioviale di John C. Reilly, che approfitta dell’occasione e la sfrutta appieno, dando consistenza e veridicità al suo lavoro. È forse proprio il suo momento, essendo contemporaneamente nelle sale anche con l’omaggio a Stanlio e Ollio. Se poi dai un ruolo come quello di Charlie a Joaquin Phoenix vai sul sicuro: truce come lui possono essere in pochi in questi anni, peccato solo non averlo potuto godere in originale in sala. Anche il John Morris del solito elegante e poliedrico Jake Gyllenhaal è ben scelto dal regista: il suo perenne (e ingannatore) sorriso di cortesia è l’emblema dei suoi loschi affari e per lui fare da tramite tra i due terribili fratelli e il tanto ricercato Warm – scopo appunto della missione dei Sisters – è un gioco da ragazzi: maschera così bene i suoi intenti che quest’ultimo, poverino, ci casca come un pollo. Infatti, Hermann Warm – eccoci al quarto uomo - è un idealista che conosce ben poco il prossimo: non si fida di alcuno, è alquanto solitario e riservato, ma quando viene in contatto con il furbo Morris gli si arrende con troppa facilità e ciò gli costerà molto caro. Warm è nella fattispecie Riz Ahmed, spiritato il giusto, esaltato dalla sua invenzione e impaziente di mostrare la sua teoria e finalmente diventare ricco. L’unica cosa anomala che ho notato è che i suoi chiari lineamenti di origine pakistana stridono con il resto della popolazione che lo circonda e con il panorama leggendario che si staglia alle spalle. Quattro attori in ottima forma per quattro figure ben descritte, ognuno delle quali ha un carattere ben distinto e, sebbene siano tutti decisi su ciò che devono fare, alla fine chi riesce a convincere gli altri e a far stravolgere i piani iniziali è proprio lui, il meno cattivo. Infatti Warm farà cambiare idea agli altri tre e si metteranno tutti a lavorare per ricavare l’oro dai fiumi: la prospettiva è troppo allettante e a questo punto gli ordini e i soldi del potente Commodoro possono pure essere dimenticati. Anche perché con la scoperta della bellezza del mare e di quella Babilonia piena di gente e bar chiamata San Francisco la vita appare più bella e con i soldi rapinati alla proprietaria della locanda (ennesimo atto criminale compiuto con istintiva efferatezza dai due killer) possono immaginare una vita più agiata e indipendente. Ma in un film di Jacques Audiard può andare tutto liscio? Se andiamo a riguardare tutti o quasi tutti gli “eroi” di questo regista ricorderemo che sono uomini duri che lasciano sempre una scia di macerie alle spalle e alla fine tornano nella vita quotidiana: il Thomas di Tutti i battiti del mio cuore, il Malik de Il profeta, l’Alain di Un sapore di ruggine e ossa, il Dheepan


In buona sostanza una storia on the road, come capita spesso nelle storie del Far West, con una classica caccia da parte di due killer temuti in tutta la regione pagati profumatamente per portare a segno il loro compito, senza il minimo pentimento: lo fanno e basta, è il loro mestiere, che svolgono sempre con efficacia ma senza mai, e ripeto mai, chiedersi il perché o il motivo per cui ricevono questi incarichi. Come due camerieri che ricevono l’ordinazione e tornano con i desiderata. Ineccepibile.

Tirando le somme però non nascondo, come già detto più su, che mi aspettavo di più da un film di Jaques Audiard, un regista tosto per film duri e di malavita, sanguinolenti il giusto e ben indirizzati nello stile che ha sempre contraddistinto le sue opere. Di suo ho notato la caratterizzazione dei personaggi, la forza e le motivazioni che li spingono, la tensione crescente, in poche parole ho ritrovato l’antico autore, ho apprezzato tutta la sua regia e la sua mano evidente, ma è l’insieme che non mi ha scosso più di tanto. Fenomeno frequente quando un autore europeo gira un film in America con soggetto e attori del luogo! Non escludo però che mi ricrederò sul giudizio severo tra un po’ di tempo e ad una ulteriore visione, come accaduto per il suo film precedente, Dheepan - Una nuova vita, che ho potuto molto apprezzare solo in seguito ad un secondo sguardo. Di certo non siamo ai livelli de Il profeta né di Tutti i battiti del mio cuore, che ritengo i suoi migliori lavori. Ma alla faccia mia e dei miei giudizi lui ha vinto il Leone d’Argento a Venezia 2018 per la regia e ben quattro César nel 2019. La nota veramente negativa è poco attinente a quanto detto e il regista non ha colpe: quattro personaggi e quattro attori in gamba ottimamente in parte, penalizzati in Italia da un doppiaggio che voglio dimenticare, veramente insopportabile, questa volta maggiormente rovinato da quell’effetto di “ambienza” naturale che manca negli studi di doppiaggio.


Con la fotografia molto ben curata e con gli abiti di Milena Canonero, che è sempre una garanzia, resta comunque un film appetibile, proprio perché diverso dai soliti western e che mescola con furbizia e mestiere più generi e che mostra alcuni frangenti degni dei cosiddetti buddy movies, allorquando si assiste ai simpatici litigi tra i due Sisters. Nella sequenza finale leggo due omaggi: uno è quella porta aperta sulla prateria che tanto ricorda quella del mitico fordiano Sentieri selvaggi, con John Wayne che guarda l’orizzonte, e l’altro è dedicato a Eli, stanco e voglioso di calore domestico sdraiato nel suo letto quasi dimenticato, a cui il regista dedica l’ultima inquadratura. Come per dire: Adesso basta, fermiamoci qui.


John Wayne in 'Sentieri selvaggi' di John Ford

Ogni tanto torna di moda il West che noi tutti appassionati di cinema portiamo nel cuore, anche se non è sempre genuino: Scott Cooper con Hostiles (recensione), per esempio, ha fatto molto di più e molto meglio.



 
 
 

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