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Il bambino con il pigiama a righe (2008)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 25 gen 2023
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 27 mag 2023


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Il bambino con il pigiama a righe

(The Boy in the Striped Pajamas) UK/USA 2008 dramma 1h34’


Regia: Mark Herman

Soggetto: John Boyne

Sceneggiatura: Mark Herman

Fotografia: Benoît Delhomme

Montaggio: Michael Ellis

Musiche: James Horner

Scenografia: Martin Childs

Costumi: Natalie Ward


Asa Butterfield: Bruno

Vera Farmiga: Elsa, madre di Bruno

David Thewlis: Ralf, padre di Bruno

Jack Scanlon: Shmuel

Amber Beattie: Gretel

Rupert Friend: tenente Kurt Kotler

Sheila Hancock: nonna

Richard Johnson: nonno

Cara Horgan: Maria

David Hayman: Pavel

Jim Norton: Liszt

Zac Mattoon O'Brien: Leon

Henry Kingsmill: Karl


TRAMA: Ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, una storia vista attraverso gli occhi innocenti di Bruno, un bambino di 8 anni figlio del comandante di un campo di concentramento, la cui amicizia proibita, con un ragazzo ebreo che vive oltre la palizzata del campo, ha conseguenze allarmanti ed inaspettate.


Voto 6,5

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Scrivere racconti o storie vere e girare film sull’Olocausto è estremamente pericoloso dal punto di vista della resa nei confronti dell’emotività di chi legge. Ma, prima, anche per chi scrive. È facile cadere nel trappolone della retorica, del melodramma, della commozione, quando già di per sé è una tragedia così immensa che non andrebbero usati neanche gli aggettivi: basterebbe leggere le testimonianze dei sopravvissuti o gli scritti ritrovati di chi è volato nel fumo dei camini. Se poi alle scene o alle pagine si aggiunge la tremenda esperienza dei bambini che hanno vissuto la Shoah, non se ne esce più. Qui, poi, siamo in una produzione Disney e il sospetto che sia confezionato con la patina e lo stimolo della commozione comoda è più che fondato, ma - ed è il vero problema di chi ne deve raccontare - come fare ad evitare le trappole?

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Il film è l’adattamento dell'omonimo romanzo di John Boyne, ambientato nella guerra scatenata dai nazisti e ormai considerato uno dei più grandi simboli cinematografici dell'Olocausto: racconta l'orrore di un campo di sterminio nazista attraverso gli occhi di due bambini di otto anni, legati dalla più profonda delle amicizie, nata oltre qualsiasi barriera: Bruno, interpretato da Asa Butterfield, figlio del comandante tedesco del campo, e Shmuel, ossia Jack Scanlon, un prigioniero ebreo. Bruno è un ragazzino di 8 anni che vive un'agiata esistenza a Berlino, durante la guerra. Suo padre è un alto ufficiale nazista e la guerra e i suoi orrori sono lontani dalla vita del figlio. Le cose però cambiano quando il padre viene trasferito presso il comando di un campo di concentramento, costringendo la famiglia a seguirlo. Bruno non ha idea di che razza di posto sia quello e si abitua a considerarlo come una fattoria, anche se non si spiega come mai tutti quegli altri indossino strani pigiami a righe. Poi un giorno incontra un bambino come lui, Shmuel, un detenuto del campo di concentramento, con il quale stringe un'amicizia segreta. I due, della stessa età ma di origini molto diverse, sviluppano una sorta di legame e, quando inizia a capire la gravità delle circostanze di Shmuel, Bruno è costretto a valutare il suo amato padre, quello che secondo lui era solo “un brav'uomo che aiuta le persone”, sotto una nuova luce. Fino a credere, poverino, che gli ebrei sono persone strane che indossano pigiami a righe, che i numeri su quei pigiami fanno parte di un gioco, che il fumo pervasivo e maleodorante è il risultato della combustione dei rifiuti: Bruno è accuratamente indottrinato, quindi è ignaro di qualsiasi cosa grottesca o mostruosa.

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Il climax è progettato per scioccare ed in effetti raggiunge questo obiettivo. Tuttavia, bisogna considerare la logica degli eventi che portano alla fine. Sono un po' troppo contorti per essere plausibili. Ma il senso di quelle ultime scene, che sono realizzate da una sceneggiatura che naviga in un labirinto di manipolazioni, è semplicemente quello di offrire un risultato emotivo? Questo il mio solito dubbio in questi casi. È indubbiamente una storia commovente che spezza il cuore, come tante altre volte, ma il dubbio della furbizia nella scrittura e nella narrazione non si può far tacere. Ciononostante, l’opera colpisce molto e va dato merito al tentativo del bambino di entrare nella costruzione fantastica e di dare corpo ai propri fantasmi: è così che il viaggio di Bruno diventa un'esplorazione dentro il buio assoluto della menzogna per cercare di verificarne la tenuta con i propri occhi.

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Per rendere credibile questa tribolazione fanciullesca, si nota quanto la recitazione sia efficace, soprattutto quella del giovane duo di Asa Butterfield e Jack Scanlon. I due sono molto bravi e spontanei nei loro ruoli, permettendoci di accettare una relazione improbabile che è fondata su entrambe le parti da sentimenti di solitudine e isolamento, perché visto da una certa prospettiva, Bruno è vittima tanto quanto Shmuel. La metafora che circonda questi due è inevitabile e cioè come l'ignoranza (volontaria o meno) della maggioranza della popolazione tedesca abbia portato allo sterminio di massa della minoranza ebraica. Bruno rappresenta quella, Shmuel questa. Mentre la connessione tra i personaggi è genuina, e palpabile, anche se circoscritta dalla situazione. Non sono uguali, eppure, Bruno non ha più potere di Shmuel per cambiare le cose e non lo farebbe sicuramente nemmeno se il manto dell'ignoranza fosse sollevato.

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Da non trascurare il comportamento della madre di Bruno, che è meno ignorante di suo figlio sugli ebrei, ma è tuttavia inorridita nell'apprendere la natura della Soluzione Finale quando un'osservazione disinvolta rivela ciò che sta realmente accadendo nei crematori di Auschwitz. La performance di Vera Farmiga è la più apertamente emotiva del film mentre osserva gradualmente tutto ciò che ama e crede dissolversi intorno a lei. Raccontato dal suo punto di vista, il film è una tragedia infinitamente più triste.

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La conclusione moralistica ci dice che, come Olocausto insegna, non c’è redenzione dalla colpa e non serve a nulla neanche isolare l’infanzia dall’orrore con la speranza di salvare la parte migliore dell’umanità, che in quegli anni era lontanissima dalla umanità, quella in senso di sentimento.


Che non accada mai più.



 
 
 

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Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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