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Il bandito (1946)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 14 gen 2023
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 29 mag 2023


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Il bandito

Italia 1946 dramma 1h23’


Regia: Alberto Lattuada

Sceneggiatura: Oreste Biancoli, Mino Caudana, Ettore Maria Margadonna, Alberto Lattuada, Tullio Pinelli, Piero Tellini

Fotografia: Aldo Tonti

Montaggio: Mario Bonotti

Musiche: Felice Lattuada

Scenografia: Luigi Borzone


Amedeo Nazzari: Ernesto

Anna Magnani: Lidia

Carla Del Poggio: Maria

Mino Doro: Mirko

Carlo Campanini: Carlo Pandelli

Eliana Banducci: Rosetta Pandelli

Folco Lulli: Andrea

Mario Perrone: il gobbo

Amato Garbini: il tenutario del bordello

Gianni Appelius: Calligaris, detto "signorina"

Ruggero Madrigali: il negriero

Thea Aimaretti: Tecla


TRAMA: Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, di ritorno dalla prigionia in Germania, due amici italiani tornano in patria. Davanti alla sua casa bombardata, Ernesto scopre che sua madre è morta e sua sorella Maria è scomparsa. Ernesto scopre per strada che sua sorella è una prostituta e cerca di liberarla dal suo protettore, Mirko.


Voto 7

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Dopo anni di guerra e dopo la prigionia in Germania, Ernesto fa ritorno in Italia, a Torino, e ritrova una città devastata: la sua casa non c'è più, la madre e, da quanto apprende, anche la sorella Maria sono morte. Avvilito, senza casa né lavoro, incontra per la sua strada più egoismo e indifferenza che aiuto. L'unica consolazione è scrivere al fraterno amico Carlo, con cui ha condiviso i giorni di prigionia, e alla figlia di lui, Rosetta, che lo considera uno zio acquisito.

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Utilizzando la città devastata di Torino come sfondo della trama, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, i più pronti e quotati cineasti italiani esaminarono la catastrofica realtà sociale di un Paese in rovina attraverso il movimento del neorealismo. Tra questi, troviamo naturalmente Luchino Visconti o Roberto Rossellini, ma anche Alberto Lattuada, che aveva già realizzato alcuni film, quando si avvicinò alla regia del film prodotto da Dino De Laurentiis. Come il suo collega Rossellini, Lattuada intendeva approfittare di un set dal vivo per mostrare le devastazioni della guerra sulla città di Torino. Così, tutta la prima parte del film è pienamente in linea con il movimento neorealista descrivendo la drammatica situazione e, in contesti reali, la vita quotidiana vissuta dai prigionieri che tornavano alle loro case e ciò che ne restava.

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È innanzitutto un melodramma ambientato sullo sfondo della prostituzione, seguendo il doloroso viaggio di due amici di sventura incarnati da Amedeo Nazzari e Carlo Campanini (Ernesto e Carlo), reduci che sognano da diversi anni il loro ritorno e affidano le loro misere speranze ad un'Italia duramente colpita dai bombardamenti. Il ritorno del primo si rivelerà particolarmente problematico dal momento che la sua famiglia è stata duramente provata: vagando da solo in una città devastata, il giovane cerca quindi di soddisfare un desiderio sessuale insoddisfatto da tre anni. Un tema mai affrontato nel cinema tradizionale e che Lattuada colse senza timore di censura, tema che sarà anche al centro del suo lavoro futuro. Filma i luoghi della prostituzione e innesca un meccanismo melodrammatico riguardante la sorella dell'eroe, Maria, interpretata dalla bella Carla Del Poggio, già moglie del regista. In questa prima parte commovente, la maestria dell’autore porta la temperatura del melodramma ad un livello incandescente in pochi minuti e i diversi elementi della trama portano il protagonista a diventare un bandito.

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Inizia poi una seconda parte che si svincola quasi completamente dal neorealismo per rivolgersi al genere del gangster movie americano, svolta che sorprese non poco, anche dati i tempi del cinema italiano. È quando Ernesto, un gigantesco Amedeo Nazzari che pare la versione nostrana di Errol Flynn, diventa un capo banda, supportato da Lidia, un'impeccabile Anna Magnani. Durante questa parte, la trama perde di vista alcuni personaggi e il regista non sempre riesce a creare abbastanza tensione da rapire lo spettatore. Fortunatamente, recupera negli ultimi dieci minuti quando riporta il suo personaggio sulla retta strada e verso un'umanità più struggente, anche se condannata a morte.

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La bella pellicola di Lattuada non è costante, anche a causa di un difficile matrimonio tra il neorealismo e il noir americano, ma risulta appassionante e drammatica, che fu molto apprezzata pur se nulla poté in concorso al 1° Festival di Cannes, che nasceva proprio nel 1946, essendosi trovata con il potente Roma, città aperta, capolavoro assoluto. Così com'è, è un'opera che testimonia la dura realtà vissuta dalle popolazioni dopo le devastazioni del fascismo e della guerra, ma anche la terribile condizione delle donne in un'epoca decisamente spietata.

Carlo Lizzani ne apprezzò soprattutto le scene iniziali: “Sono le più belle e sentite: stazioni affollate e treni stracarichi, gente alla ricerca di una meta. Non una luce brilla in questo racconto amaro che poi scivola nel romanzesco per la caparbia volontà che mostra il regista di agganciare il pubblico, di comunicare con gli strati più larghi degli spettatori, di dire a quanta più gente possibile, con un linguaggio comprensibile, cose vere e scottanti.


Riconoscimenti

Nastro d'Argento al migliore attore protagonista 1947 ad Amedeo Nazzari




L'intero film:


 
 
 

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