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Il delitto Fitzgerald (2003)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 1 set 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

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Il delitto Fitzgerald

(The United States of Leland) USA 2003 dramma 1h48’


Regia: Matthew Ryan Hoge

Sceneggiatura: Matthew Ryan Hoge

Fotografia: James Glennon

Montaggio: Jeff Betancourt

Musiche: Jeremy Enigk

Scenografia: Edward T. McAvoy

Costumi: Genevieve Tyrrell


Ryan Gosling: Leland P. Fitzgerald

Don Cheadle: Pearl Madison

Jena Malone: Becky Pollard

Kevin Spacey: Albert T. Fitzgerald

Lena Olin: Marybeth Fitzgerald

Chris Klein: Allen Harris

Michelle Williams: Julie Pollard

Martin Donovan: Harry Pollard

Ann Magnuson: Karen Pollard

Wesley Jonathan: Bengel

Michael Welch: Ryan Pollard

Sherilyn Fenn: Angela Calderon

Kerry Washington: Ayesha

Matt Malloy: Charlie

Yolonda Ross: Miranda

Jim Haynie: Ben

Michael Peña: Guillermo

Ron Canada: Elden


TRAMA: Leland Fitzgerald, introverso 16enne, compie un terribile omicidio che sciocca tutta la comunità.


Voto 7

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Mentre Leland, un ragazzo dagli atteggiamenti normali ma con sintomi di alienazione, si trova in un riformatorio a causa dell’indicibile omicidio di un ragazzo con handicap, l’insegnante del carcere, che cerca di diventare scrittore e le persone intorno a lui cercano di comprendere e affrontare il ragionamento che ha portato a commettere questo omicidio dai suoi scritti, in cui cerca di far sapere alla gente il motivo del suo folle gesto.

La normalità del male, direbbe un sociologo. È quello che pervade a volte il senso di smarrimento che coglie una comunità, o le persone vicine ad un avvenimento violento e ingiustificabile che sconcerta, che è fuori dalla logica della buona convivenza. È appunto il caso che Matthew Ryan Hoge, regista e sceneggiatore, vuole discutere in un film che potremmo definire “a tesi”. Quella per cui alcune circostanze, talune occasioni, qualche motivo che sfugge ad uno sguardo superficiale, possono spingere una persona, giovane o adulta, a compiere un atto violento che pare senza giustificazione. Non che sia giustificabile un gesto criminale, beninteso, ma che di primo acchito sembra assolutamente senza un perché, soprattutto se non esistono le condizioni preliminari che ne condizionino la realizzazione. Ma ci deve essere. Perché il giovane protagonista ha ucciso il fratello autistico della ragazza che ama e che sino ad un momento prima, viste le difficoltà, aiutava e accompagnava volentieri all’uscita dalla scuola fino alla bella casa in cui abitava?

La famiglia Pollard è composta dal padre affettuoso Harry (Martin Donovan), dalla moglie Karen (Ann Magnuson) e da tre figli che più diversi non potevano essere: Julie (Michelle Williams), posata e sensibile, è felicemente fidanzata con Allen (Chris Klein) ed entrambi stanno per iscriversi al college; Becky (Jena Malone) è invece irrequieta e ribelle, soffre di dipendenza dall’eroina, frequenta il suo pusher e ultimamente si vede con Leland P. Fitzgerald (Ryan Gosling), ragazzo molto innamorato di lei e geloso; il terzo è il cocco della famiglia, Ryan (Michael Welch), affetto da autismo e bisognoso di aiuto che tutti non lesinano, protetto con affetto. Leland è un giovane taciturno, che osserva tutto e dimostra un certo distacco emotivo e di relazioni con gli altri, attratto solo da Becky, che corteggia sempre più con insistenza. È per farsi voler bene da lei che si mostra benevolo e generoso con il fratello malato. Quando si sente tradito dalla ragazza, quasi come dispetto o per ira, uccide con un coltello senza emozione e apparente pentimento il povero handicappato, gettando nella disperazione la famiglia e sua madre Marybeth (Lena Olin), mentre il padre, il celebre scrittore Albert (Kevin Spacey), che vive sempre all’estero, rientra frettolosamente in città ma vive una vita totalmente indipendente, all’apparenza per nulla preoccupato dei pessimi aventi.

Cosa ha spinto l’adolescente all’efferato atto? Poteva bastare solo il pretesto della giovane relazione con la ragazza? Cosa ha cercato di dimostrare? Difficile ricavare spiegazioni dal giovane dotato di un carattere difficile che, come si scopre, ha avuto un faticoso rapporto con il padre, che ha notato quanto siano effimere le relazioni familiari, prima con il genitore e poi con una famiglia che lo ospitava spesso a New York. Lì aveva trovato una famiglia apparentemente (quante volte viene spontaneo utilizzare questo aggettivo/avverbio nelle riflessioni sulla trama!) felice e armoniosa, ma che nel giro di qualche anno è andata a sfasciarsi, sino a portare la bella mamma a trovare sfogo affettivo e sessuale con lui, tanto così più giovane. Siamo per caso nei paraggi della fanciullezza difficile? Della fragilità dei rapporti della famiglia in cui si è cresciuti male? Forse, ma è sempre comodo trovare questa giustificazione. Il gesto criminoso e violento è sicuramente ben altro per la mente di Leland, è una prova di ribellione, di indipendenza, di reazione alla vita che lo sta deludendo. Non è escluso che non sia per nulla pentito, che non ci ragioni neanche sopra.

Solo l’insegnante del riformatorio lo avvicina e si incuriosisce alla vicenda e del detenuto, facendogli sempre più domande insistenti, ma purtroppo con un secondo scopo: Pearl Madison (Don Cheadle) vuole cimentarsi con la scrittura e questo soggetto, capitatogli davanti, potrebbe trasformarsi in un romanzo da pubblicare. Anche lui è la dimostrazione di come nella vita si possa commettere facilmente un errore, tradendo la moglie (che vive in un’altra città) con una collega del carcere, Ayesha (Kerry Washington). Leland gli rifaccia, infatti, il fatto che l’adulterio non è giustificabile e lo sta commettendo proprio perché le circostanze lo hanno messo in quella condizione e lui non ha saputo resistere. Si sentiva solo? Non basta, non è un buon motivo. Entrambi cambiano atteggiamento: Pearl telefona alla moglie per ricucire, Leland si apre verso di lui in maniera indiretta, rivelando tutti i suoi pensieri scrivendo sul quaderno che l’insegnante gli ha fatto pervenire: lì c’è molto della sua personalità disturbata e spiega molte cose.

Ma fondamentalmente sono lo scetticismo e l’apatia di Leland che domina il distacco verso la società: “Se dei bambini giocano a baseball, io vedo soltanto quel bambino che non gioca perché racconta barzellette stupide. E gli altri non lo vogliono. O un ragazzo e una ragazza innamorati che si baciano. Io vedo solo che un giorno diventeranno una di quelle coppie tristi che si tradiscono a vicenda e non riescono più a guardarsi negli occhi. E io la sento. Sento tutta la loro tristezza.” È sostanzialmente un giovane triste o, meglio, intristito dalle esperienze non felici della sua breve vita. E come da vari casi classici, è il più mansueto e gentile che provvederà a fare giustizia. Di esempi simili è pieno il cinema ed è piena la letteratura, tanto che qualcuno legge nella trama un parallelo con Lo straniero di Camus, dove un anonimo impiegato di Algeri uccide, un giorno, un arabo senza un motivo plausibile e si lascia processare e condannare senza alcuna reazione. Un uomo estraneo a se stesso e alla società in cui vive, ma vittima anch’egli della normalità del male.

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Leland è un giovane Ryan Gosling (come giovani sono le rampanti Jeana Malone e Michelle Williams) e già allora si riesce a notare quali doti di interprete possedesse: nulla di speciale ma già predisposto ad adeguarsi al personaggio affidato. Intanto, le due giovanissime attrici sono già nel cliché dei ruoli che troveranno nel futuro, l’una più dotata per personaggi indocili, l’altra delicati e sensibili. Chi emerge sono anche il sempre bravo Don Cheadle e l’istrionico e ineffabile Kevin Spacey, attore ideale per un personaggio indisponente, antipatico e cinico.

Se Matthew Ryan Hoge voleva rendere lo spettatore inebetito ci riesce molto bene.

Opera quasi corale - anche se centralmente puntata sul protagonista – dimostrata dal poster diviso in verticale con strisce per i vari personaggi, adatta per presentarsi al Sundance Film Festival del 2003.


 
 
 

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