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Il Gattopardo (1963)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 2 gen 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 18 ago

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Il Gattopardo

Italia, Francia 1963 dramma 3h6’


Regia: Luchino Visconti

Soggetto: Giuseppe Tomasi di Lampedusa (romanzo)

Sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti

Fotografia: Giuseppe Rotunno

Montaggio: Mario Serandrei

Musiche: Nino Rota

Scenografia: Mario Garbuglia

Costumi: Piero Tosi


Burt Lancaster: don Fabrizio Corbera, principe di Salina

Alain Delon: Tancredi Falconeri

Claudia Cardinale: Angelica Sedara/Donna Bastiana

Paolo Stoppa: don Calogero Sedara

Rina Morelli: principessa Maria Stella di Salina

Lucilla Morlacchi: Concetta

Romolo Valli: padre Pirrone

Mario Girotti: conte Cavriaghi

Pierre Clémenti: Francesco Paolo di Salina

Serge Reggiani: don Ciccio Tumeo

Maurizio Merli: Fulco

Giuliano Gemma: generale di Garibaldi

Ida Galli: Carolina

Ottavia Piccolo: Caterina

Carlo Valenzano: Paolo


TRAMA: Il Principe di Salina, un nobile aristocratico impeccabile nella sua integrità, cerca di proteggere la propria famiglia e la propria casta nel corso delle sommosse popolari della Sicilia del 1860.


Voto 9

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Dopo il bellissimo Rocco e i suoi fratelli ambientato nel presente, Luchino Visconti ricreò il passato evocato da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo fortunato romanzo pubblicato postumo. Ancora una volta, come in Senso, Visconti ritornava all’Ottocento e agli ideali traditi del Risorgimento: il quadro storico del romanzo era infatti l’annessione della Sicilia al Regno di Sardegna. Un quadro che può far venire in mente l’amara disillusione dopo la Liberazione del 1945, quando la restaurazione democristiana stava rendendo l’Italia un paese mancato. Identificandosi nel principe di Salina e alla sua appartenenza a un mondo al crepuscolo, Visconti ne condivide il disprezzo verso la borghesia arricchita come quella dei Calogero Sedara, che si insinuano nell’alta società, subito sollecita ad accoglierli per conservare i vecchi privilegi. Come il principe, Visconti contempla con fascinazione la spregiudicata giovinezza del nipote Tancredi ma ne rivela, alla fine, la cinica connivenza con la borghesia. Il regista non mette in scena le pagine dove si descrive la morte del principe, particolare fatto notare dai più attenti osservatori del film, invece ne suggerisce l’aria funerea in contrapposizione alla bellezza estetica e sensuale di svariate sequenze, in particolare nella stupenda sequenza del ballo a palazzo Ponteleone: l’armonia e l’eleganza delle danze e delle musiche (di Nino Rota), il lusso e la raffinatezza degli ambienti (di Mario Garbuglia) e dei costumi (di Piero Tosi) trovano un caustico contraltare nell’immagine dei pitali lerci, nascosti dietro le quinte. A proposito della morte del principe, va notato che lo scrittore descrive gli spasmi dell’agonia, il regista evita questa scena ma nel frattempo la suggerisce attraverso l'apparente vitalità di una festa. Se riflettiamo, lo scrittore e il regista, al massimo dei rispettivi linguaggi, arrivano a darci la stessa emozione: si può guardare un uomo che muore e capire la vita, si possono ammirare delle coppie che ballano e pensare che si trattino di fantasmi.


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L'adattamento che ne fa Luchino Visconti del romanzo, ambientato nella Sicilia della seconda metà dell'Ottocento, è un sontuoso affresco di un mondo in fermento. I profondi mutamenti sociali dell'Italia del Risorgimento vengono raccontati attraverso la storia del principe Fabrizio di Salina (Burt Lancaster) che, per evitare lo scontro con le truppe garibaldine, si trasferisce con tutta la famiglia nel ritiro della villa di Donnafugata. Il principe, uno dei pochi nobili ad aver compreso la portata dei cambiamenti in corso, è disposto a scendere a patti con la borghesia sociale locale. Seguendo il suo motto “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi” Salina decide di dare in sposo il nipote Tancredi Falconieri (Alain Delon) alla figlia del sindaco Angelica. L'alleanza tra il “Gattopardo” e lo “Sciacallo” è celebrata dal matrimonio che occupa da solo un terzo dell’intero film. La festa da ballo, capolavoro di regia e fotografia, mette in scena la metafora centrale del soggetto e la stupenda fotografia di Giuseppe Rotunno ritrae indelebilmente la magnificenza del palazzo dei Salina. I ricchi ambienti e gli splendidi costumi lasciano trapelare l'imminenza della fine di un'epoca, simboleggiate dal pallone dei membri dell'antica famiglia che si contrappongono alla vitalità e alla immediatezza delle nuove classi dominanti.


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Fiumi di inchiostro sono stati versati per analizzare le caratteristiche ideologiche stilistiche di questo capolavoro, uno dei migliori adattamenti della storia del cinema. Alcuni critici hanno sottolineato i cenni autobiografici: Visconti fu in effetti un aristocratico dalle simpatie comuniste, per esempio. Le analogie tra l'autore e il protagonista principale si possono estendere anche ad un livello psicologico più profondo. Entrambi sono ossessionati dalla morte e ne colgono ovunque i segni premonitori. Visconti tornerà sul tema e molte delle sue opere seguenti come La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971) Ludwig (1972) e Gruppo di famiglia in un interno (1974), dove ritroviamo Burt Lancaster come alter ego dell'autore. Nessuno come Visconti fu in grado di dirigere l'attore americano, facendolo apparire aristocratico e distinto, ma allo stesso tempo profondamente umano. Il suo principe è una delle figure classiche della storia del cinema, ma non va dimenticata la recitazione di Alain Delon e di Claudia Cardinale, incredibilmente bella e seducente.


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Ammirevole è il raffinato stile cromatico e visivo caratteristico di Visconti, che derivava dalla sua competenza in ambito artistico. Questo film, una delle pellicole europee più costose di tutti i tempi, venne bollato da alcuni critici come una monumentale produzione in prima persona. Che a pensarci bene non è affatto un giudizio non realmente negativo, perché realizzare un film d'autore così personale ma nello stesso tempo così commercialmente fortunato è sicuramente il sogno di ogni regista. In ogni caso, personalmente lo ritengo un capolavoro narrativo e visivo, in cui ogni attore e ogni personaggio sono tasselli perfettamente incastonati in un mosaico splendente di luce propria.


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Il rapporto tra il regista e il grande Burt lo descrisse lo stesso Visconti: “Il Principe era un personaggio molto complesso, a volte autocratico, maleducato, forte, a volte romantico, buono, comprensivo e a volte persino stupido e, soprattutto, misterioso. Anche Burt Lancaster è tutte queste cose. A volte penso che Burt sia l’uomo più misterioso che abbia mai incontrato in vita mia."


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Riconoscimenti

Festival di Cannes 1963

Palma d'oro a Luchino Visconti

David di Donatello 1963

Miglior produttore

Golden Globe 1964

Candidatura per il miglior attore debuttante ad Alain Delon

Premi Oscar 1964

Candidatura per i migliori costumi



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