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Il Grinta (2010)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 17 giu
  • Tempo di lettura: 5 min
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Il Grinta

Titolo originale

True Grit

Produzione

USA 2010

Genere

western

Durata

1h50’

Regia: Joel ed Ethan Coen

Soggetto: Charles Portis (romanzo)

Sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen

Fotografia: Roger Deakins

Montaggio: Roderick Jaynes (Joel ed Ethan Coen)

Musiche: Carter Burwell

Scenografia: Jess Gonchor

Costumi: Mary Zophres

 

Jeff Bridges: Reuben J. “Rooster” Cogburn

Hailee Steinfeld: Mattie Ross

Matt Damon: LaBoeuf

Josh Brolin: Tom Chaney

Barry Pepper: “Lucky” Ned Pepper

Domhnall Gleeson: Moon

Dakin Matthews: col. Stonehill

Leon Russom: sceriffo

Paul Rae: Emmett Quincy

Elizabeth Marvel: Mattie Ross a 40 anni

Ed Corbin: Bear Man

Bruce Green: Harold Parmalee

Peter Leung: Mr. Lee

 

TRAMA: La 14enne Mattie Ross è sulle tracce di Tom Chaney, il killer prezzolato che ha ammazzato suo padre. Per trovarlo, la ragazza ingaggia il più tosto fra gli sceriffi che riesce a trovare, Reuben J. "Rooster" Cogburn e insiste per seguirlo nella caccia all’uomo fra i territori indiani. A loro si unisce il Texas Ranger LaBoeuf.  

 

VOTO 7,5

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L’empio fugge anche quando nessuno l’insegue. [Proverbi, 28:1]

 

Si paga per tutto a questo mondo, niente è gratuito, tranne la grazia di Dio.


Ma chi ha detto che i remake sono sempre una cattiva idea e sono sempre peggio dell’originale? Ah, io, proprio io. Ok, ma ci sono le eccezioni, come ogni regola. Ma a un patto, che a farlo sia un regista come i maledetti fratelli Coen, che hanno il potere ed il talento di dissacrare il “genere”, rivoltarlo come un calzino e sfornare un prodotto che non è più quello dell’idea originale. Insomma, ne viene fuori una cosa diversa, talmente diversa che ci si dimentica del vecchio film. Alla fine, se ne deduce che questa eccezione, per loro, diventa una regola. Riguardare gli altri loro film per essere d’accordo.



Questo, che è uno dei migliori film del 2010, ci conferma la rara tesi per cui i remake non sono sempre cattivi. La rilettura dei Coen del romanzo di Charles Portis, infatti, è superiore in quasi tutti gli aspetti all’edizione mitica di Henry Hathaway del 1969. E, mentre nessun attore potrebbe sperare di eclissare l’iconica performance di John Wayne nei panni di Marshall Rooster Cogburn (il ruolo per il quale ha vinto il suo unico Oscar), Jeff Bridges fa sua la parte in maniera magnifica e soprattutto alla sua maniera. Con una recitazione complessivamente più forte, una sceneggiatura più serrata e una migliore scenografia, questo supera il suo predecessore come adattamento definitivo del romanzo e si guadagna un posto nella hall of fame dei western americani.



È una storia di vendetta nel vecchio West (Oklahoma, intorno alla fine del 19° secolo, per essere precisi), quella della quattordicenne Mattie Ross (Hailee Steinfeld) per l’omicidio del padre. Il colpevole è un vagabondo di nome Tom Chaney (Josh Brolin), il quale, sulla scia del crimine, fugge nel territorio indiano e si unisce a una banda capeggiata da Lucky Ned Pepper (Barry Pepper). Non dissuasa dall’indifferenza delle forze dell’ordine locali, Mattie cerca l’ubriacone Marshal Rooster Cogburn (Jeff Bridges) che, quando è più o meno lucido, agisce come cacciatore di taglie. Sebbene inizialmente non fosse interessato, Cogburn cambia idea quando Mattie offre una ricompensa allettante. Ad accompagnare Mattie e Cogburn c’è anche LaBoeuf (Matt Damon), un Texas Ranger che dà la caccia a Chaney per l’assassinio di un senatore.



Come ci si potrebbe aspettare, nasce un certo affetto scorbutico tra Mattie e Cogburn, perché quest’ultimo inizia ad ammirare l’approccio diretto di Mattie e la capacità di non indietreggiare quando le cose si fanno difficili. Mattie, dal canto suo, impara a vedere al di là del bicchiere di whisky dell’uomo e a riconoscere che può essere coraggioso e intemerato, se non addirittura eroico, quando le circostanze lo richiedono. LaBoeuf, intanto, influisce sulla chimica dell’insolita banda ma, poiché è un individuo meno interessante di entrambi i suoi compagni, spesso passa in secondo piano.



I Coen hanno dichiarato, con qualche giustificazione, che la loro versione è più vicina al materiale originale rispetto a quella di Hathaway. Tuttavia, con l’eccezione del finale, che è stato significativamente rielaborato rispetto al vecchio film, la maggior parte delle differenze sono piccole. Il tono, sì, è più cupo e sardonico e viene fatto anche un tentativo di rimanere più vicino al punto di vista di Mattie (qualcosa di difficile nell’originale a causa della partecipazione di una stella della grandezza di Wayne); il ritmo è più elevato, la violenza è più esplicita, ma è da ritenere ironica, uno sberleffo alla Coen. È la loro mentalità di far cinema così.



È un western ma, a differenza di molti esempi del genere, il tono è spensierato (e diamine, sono i Coen!): non è una commedia ma nelle loro mani lo diventa in qualche momento, con attimi di leggerezza sparsi. Un altro loro marchio di fabbrica è la capacità di generare momenti che inducono a ridere da situazioni apparentemente cupe, come accade in tanti altri loro film. Gran parte dell’umorismo è di basso profilo e sanno affiancare dramma e avventura: quando Mattie mercanteggia sui soldi che le sono dovuti dal colonnello Stonehill (Dakin Matthews) lo sorprende nonostante l’uomo sia più vecchio e più furbo e la sua giovane età gioca a suo favore. Ragazza davvero “smart”!



I Coen hanno ricreato il Vecchio West nei minimi dettagli, dando vita a Fort Smith, Arkansas, in modo più autentico rispetto al film del 1969. La città appare meno un cliché e più una vera abitazione moderna e civilizzata. Nonostante ciò, la brutale giustizia è ancora presente, come dimostra una triplice impiccagione all’inizio del film, e uomini come Cogburn restano necessari in questa terra non del tutto domata.



Le interpretazioni sono complessivamente buonissime, con diversi attori - Matt Damon, Josh Brolin e la relativamente nuova arrivata Hailee Steinfeld (che sorpresa!) - che superano facilmente il lavoro dei loro predecessori. Se si osserva bene (in originale, please!) Mattie, la giovanissima attrice offre dialoghi manierati con facilità e porta una passione che mancava alla figura dell’altro film. Matt Damon, alla sua prima esperienza con i registi Coen, interpreta LaBoeuf come una figura meno conflittuale, ma la pronuncia che gli impongono i registi è così buffa che viene da ridere ogni volta che lo si ascolta.



Poi c’è, infine, il principe del cast, Jeff Bridges, che proviene da quel capolavoro che il personaggio di “The Dude”, indimenticabile, unico. Si prende il ruolo di John Wayne e lo fa nel modo più intelligente possibile, rendendogli un sottile omaggio senza tentare di scimmiottare la rappresentazione. È una testimonianza delle sue enormi capacità. Rifare una performance iconica è difficile, ma Bridges riesce a farlo con successo.


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Oscar 2011

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la migliore regia

Candidatura per il miglior attore protagonista a Jeff Bridges

Candidatura per la miglior attrice non protagonista a Hailee Steinfeld

Candidatura per la migliore sceneggiatura non originale

Candidatura per la migliore fotografia

Candidatura per la migliore scenografia

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per il miglior sonoro

Candidatura per il miglior montaggio sonoro

BAFTA 2011

Migliore fotografia

Candidatura per il miglior film

Candidatura per il miglior attore protagonista a Jeff Bridges

Candidatura per la miglior attrice protagonista a Hailee Steinfeld

Candidatura per la migliore sceneggiatura non originale

Candidatura per la migliore scenografia

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per il miglior sonoro



 
 
 

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