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Il labirinto del fauno (2006)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 22 set 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

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Il labirinto del fauno

(El laberinto del fauno) Spagna/Messico/USA 2006 horror/fantasy 1h58'

Regia: Guillermo del Toro

Sceneggiatura: Guillermo del Toro

Fotografia: Guillermo Navarro

Montaggio: Bernat Vilaplana

Musiche: Javier Navarrete

Scenografia: Eugenio Caballero

Costumi: Lala Huete

Ivana Baquero: Ofelia

Sergi López: cap. Vidal

Maribel Verdú: Mercedes

Doug Jones: Fauno / uomo pallido

Ariadna Gil: Carmen

Álex Angulo: dottore

Manolo Solo: Garcés

César Vea: Serrano

Roger Casamajor: Pedro

Iván Massagué: El Tarta

Gonzalo Uriarte: Francés

TRAMA: Spagna 1944. L'esercito franchista sta piegando le ultime frange di resistenza alla "normalizzazione" del paese, ormai quasi totalmente sotto il controllo di Franco. Carmen, una giovane vedova, ha sposato Vidal, un capitano dell'esercito, che ella raggiunge assieme alla figlia dodicenne Ofelia. La bambina soffre per la presenza dell'arrogante patrigno e cerca di aiutare la madre che sta affrontando una gravidanza difficile. Il suo rifugio è costituito dal mondo delle fiabe che si materializza con la presenza di un fauno che le rivela la sua vera identità. Lei è la principessa di un regno sotterraneo. Per raggiungerlo dovrà superare tre prove pericolose.

Voto 7



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Senza i mezzi delle megaproduzioni statunitensi ma con un'accuratezza e una sensibilità che spesso a quelle dimensioni produttive finiscono con lo sfuggire ma che sono proprie di questo delicato regista, Guillermo Del Toro – con l’ennesima fiaba costantemente a cavallo tra il fantasy e i suoi mostri buoni e incompresi - ci parla di soprusi e di innocenza, di ricerca di un altro mondo in cui trovare la pace senza però rinunciare alla propria integrità di essere umano in formazione. Un film per giovani-adulti e per adulti-giovani il suo, meno facile da “vendere” a un pubblico ben definito ma, anche per questo, più interessante.



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È nello stesso tempo un film dolce e anche cattivo, tra la bontà dell’essere misterioso che la piccola protagonista Ofelia accetta istantaneamente come amico e l’asprezza del mondo esterno, costituito dal patrigno severo ma anche da tutto il mondo che lei vede in sofferenza, nel clima dittatoriale di quel momento storico. È l’antica battaglia con l’ambiente ostile a cui l’anima gentile e ingenua di una bambina frappone come scudo di difesa, soprattutto psicologico: una specie di favola morale in cui Ofelia si salva dalla complessità della realtà con la metafora di cui si circonda nel suo rifugio, anche mentale. Ed è così che quel rifugio diventa di più, si trasforma in un altrove per elaborare le difficoltà della sua piccola e breve vita vissuta.



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Come chiamare mostri quegli esseri così socievoli che si avvicinano con il timore di spaventare e che invece gli occhi schietti di una bambina vedono come conforto e alternativa morale? Essi sono la coscienza, la via di fuga, la salvezza delle protagoniste femminili di Guillermo Del Toro, proprio come accadrà in seguito con il mostro acquatico che lo condurrà fino all’Oscar.



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Il film, che è risultato quello tra i maggiori incassi della storia del cinema spagnolo e amatissimo in tutto il mondo, si racchiude in una trama in cui reale e immaginario si intrecciano, rimandando l’uno all’altro come in uno specchio. Fiaba non più innocente, è un racconto di formazione, ma anche mélo, fantasy, romanzo da feuilleton.




 
 
 

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