Frankenstein (2025)
- michemar

- 22 ore fa
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Frankenstein
Messico, USA 2025 horror 2h29’
Regia: Guillermo del Toro
Soggetto: Mary Shelley (“Frankenstein o il moderno Prometeo”)
Sceneggiatura: Guillermo del Toro
Fotografia: Dan Laustsen
Montaggio: Evan Schiff
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Tamara Deverell
Costumi: Kate Hawley
Oscar Isaac: Victor Frankenstein
Jacob Elordi: la Creatura
Mia Goth: Elizabeth
Felix Kammerer: William Frankenstein
Christoph Waltz: Harlander
David Bradley: il nonno cieco
Lars Mikkelsen: capitano Anderson
Christian Convery: Victor Frankenstein da giovane
Charles Dance: Leopold Frankenstein
TRAMA: Victor Frankenstein è uno scienziato brillante, ossessionato dall’idea di oltrepassare i limiti imposti dalla natura. Spinto da un’ambizione senza freni, realizza un esperimento estremo che culmina nella creazione di un essere vivente, costruito a partire da corpi inerti. Il risultato è una figura potente e instabile, dotata però di un’intelligenza emergente e capace di assimilare i comportamenti umani.
VOTO 7,5

Nel Preludio, una nave danese in spedizione al Polo Nord rimane intrappolata nei ghiacci dell’Artico. L’equipaggio, guidato dal capitano Anderson, trova il barone Victor Frankenstein che, gravemente ferito, viene portato a bordo. Vengono subito dopo attaccati da una Creatura dotata di forza sovrumana, apparentemente immortale, le cui ferite possono rigenerarsi, che esige la consegna di Victor. Il quale spiega di essere il creatore della Creatura e racconta gli eventi che hanno portato alla sua creazione.


Dopo questo incipit, Guillermo del Toro sceglie, al contrario di altri, di raccontare la vicenda tratta dal celebre romanzo di Mary Shelley da due punti di vista, come per rendere giustizia ad un essere che voleva solo essere capito e persino amato, ritenendo giusto far sentire allo spettatore anche il suo legittimo parere sulla straordinaria vicenda. Come ha dichiarato alla presentazione del film, “Ero davvero piccolo quando ho visto Marilyn Monroe in ‘Quando la moglie è in vacanza’, che usciva dal cinema dove lei e Tom Ewell avevano visto ‘Il mostro della laguna nera’ e diceva che la creatura aveva semplicemente bisogno di qualcuno cui piacere. È stato allora che mi sono innamorato di Marilyn e della creatura, perché ho capito che in questo mondo abbiamo persone che guardano gli altri nel modo sbagliato.”



Ed in effetti, quello che mi ha particolarmente colpito del film è proprio la seconda parte (Il racconto della Creatura, che segue la prima denominata Il racconto di Victor), segmento in cui il narratore è addirittura lo stesso essere che lo scienziato ha “costruito” con varie parti del corpo e organi dei tanti cadaveri che si faceva portare nel laboratorio colmo di brandelli e sangue. Egli si rivela una persona – se così su può definire – che crescendo e migliorando mentalmente, apprende ottimamente il comportamento degli uomini e delle donne e lo assimila, avvertendo, in contemporanea, il bisogno teneramente umano di vivere in mezzo agli altri senza provocare orrore e di ricevere quell’affetto che nessuno può dargli. Sentimento che d’altronde riesce a percepire dalla donna già contesa tra i due fratelli Viktor (Oscar Isaac) e William Frankenstein (Felix Kammerer, l’eccellente esordiente protagonista di Niente di nuovo sul fronte occidentale): la bella Elizabeth (Mia Goth), infatti, inizialmente simpatizza per la Creatura, poi addirittura se ne senta rapita, attratta dalla bontà e dalla generosità che è dentro quello che tutti definiscono mostro, un po’ come succede nelle tante opere, letterarie e cinematografiche, che trattano di mostri dal cuore buono, soprattutto per le emozioni – se così possiamo chiamarle – che questi provano per le eroine che incontrano. Dall’enorme King Kong fino appunto al famoso anfibio della laguna.



del Toro costruisce la sua opera prendendo qualche distanza dal romanzo originario, pur mantenendone alcuni temi centrali. Le differenze riguardano struttura narrativa, personaggi, ambientazione e tono. Eccone le principali, tutte dovute alla visione del regista.
Per ciò che riguarda la struttura narrativa, il romanzo ha una forma epistolare, raccontata dal capitano Walton che incontra Victor Frankenstein nell’Artico, nel film il regista adotta una narrazione bipartita, oltre al suddetto preludio: prima dal punto di vista di Victor, poi della Creatura, per concludersi con un epilogo condiviso
Tra i vari personaggi, Henry Clerval, amico di Victor e figura morale nel romanzo, è assente nel film; Elizabeth nel romanzo è promessa sposa di Victor e viene uccisa dalla Creatura, ma nel film è fidanzata con il fratello William e muore accidentalmente per mano di Victor; un altro personaggio assente qui è il dottor Pretorius.



Se nel romanzo la Creatura ha alcune caratteristiche più da horror essendo eloquente, filosofica, vendicativa, per il regista è più umanizzata, empatica, tragica. Non uccide William né Elizabeth. In realtà non vuole mai far del male ad alcuno ma reagisce violentemente soltanto quando in pericolo. La scena, infatti, del ritorno dopo la caccia ai lupi dei maschi della famiglia nella povera fattoria spersa nella campagna innevata è emblematica: lui aveva stabilito una sincera e quieta amicizia con il vecchio nonno cieco ma il fraintendimento da parte dei cacciatori contadini scatena la sua cruenta reazione a cui non poteva sottrarsi. E tutti, ancora una volta, stupiti dalla rigenerazione dei tessuti del suo organismo dopo ogni qualsiasi ferita, ogni sanguinamento si esaurisce in pochi secondi, le lacerazioni presto cicatrizzate.


Se poi si vuole esaminare i temi centrali e il tono con cui vengono trattati, lo scritto di Mary Shelley esplora la hybris scientifica, la solitudine, la vendetta e la responsabilità morale che riguarda Viktor: la sua presunzione è debordante e lo si nota da come l’uomo si è messo in testa di voler giocare a fare Dio, vuole superare i limiti naturali grazie alla scienza, visti anche i risultati eclatanti che sta ottenendo dai primi esperimenti. Invece il film enfatizza il trauma familiare dovuto a Leopold (Charles Dance), padre despota e severissimo, poi anche la vergogna, l’empatia e la ricerca di amore, che ora il dottore, ora la Creatura provano. In poche parole, del Toro trasforma l’orrore in un dramma emotivo dalle forti tinte passionali.


Per quanto riguarda, inoltre, l’ambientazione e i conseguenti costumi (bellissimi e dai colori significativi), il romanzo è ambientato nel Settecento, il film è invece spostato nell’Ottocento, con apertura nel 1857 in territorio artico, dove una nave è bloccata dal ghiaccio e i marinai vedono arrivare quella losca figura scura che si trascina sulla banchisa dopo che hanno trovato lo scienziato barone Viktor ferito gravemente e quasi sul punto di morte. Ciò che personalizza più di ogni altra rappresentazione il lungometraggio di del Toro è però l’ambientazione gotica, tra l’altro estremamente bella e affascinante, a cominciare dal castello che diventa l’abitazione e il laboratorio offerto dal magnanimo (ma opportunista Harlander, Christoph Waltz) in cui si sviluppa il diabolico e disumano progetto del barone, castello che ricorda non poco (pur se più o meno si rassomigliano tutti i castelli dei film horror) quello di Crimson Peak: scuro, alto, con le punte che mirano al cielo, scalinate enormi. Spettacolare l’inquadratura della Creatura appena confezionata, ma ancora senza vita, tenuta bloccata come una sorta di crocifisso, che ricorda la celebre gabbia di Hannibal Lecter. Messo in verticale in attesa della scarica elettrica di un fulmine che dia l’alito vitale ai centri nervosi.


Dati i periodi storici differenti in cui si sviluppano le vicende del romanzo e del film, ne consegue un lavoro di concetto dei costumi da parte dalla bravissima e fantasiosa Kate Hawley (già collaboratrice in Crimson Peak) che sbalordisce per la bellezza degli abiti, essenziali per dare senso ad una storia che più che horror, in verità, è dark e romantica, un po’ come succede nel Nosferatu – il principe della notte di Herzog, allorquando il suo Conte è triste e sofferente per la malattia d’amore per la donna che ha amato sempre e per la morte che mai lo toccherà. Qui, il guardaroba dei personaggi, dal quale sparisce il nero vittoriano, diventa uno strumento essenziale per inserire lampi di colore nella narrazione. I costumi di Elizabeth riflettono l’anima del personaggio ed il suo romanticismo, fatti di crinoline ricche di dettagli significativi. L’abito verde e la sua allacciatura posteriore color osso ricordano l’anatomia del corpo della Creatura. Il rosso che domina molti abiti e molte scene, come il lungo scialle al vento della mamma del piccolo Viktor. I maschi principali vestono abiti romantici e tardo ottocenteschi; alcuni, vedi William, paiono dei veri dandy, mentre tra abbigliamento, capigliatura e barba Oscar Isaac par una rockstar anni ‘70, per giunta controcorrente verso i colleghi scettici e arrabbiato come un ribelle non compreso: un punk. I guanti color sangue, aderenti come quelli da chirurgo, parlano da soli e paiono mani insanguinate. In definitiva, si può affermare che il guardaroba dei personaggi è sempre vivido e massimalista, in accordo con l’estetica delle scenografie, che però non rubano mai la scena agli interpreti, specie dal punto di vista cromatico. Tutto frutto di uno studio a tavolino ben preciso e dai risultati molto soddisfacenti.


È uno spettacolo decisamente immersivo e sin dalle prime sequenze, ma soprattutto quando entriamo nel mondo gotico dell’ispirato barone e nell’alta società dei tempi, si può ammirare una messa in scena sontuosa e affascinante, se ne viene rapiti dalla precisione dei movimenti della macchina da presa e dalla sceneggiatura anche composta da dialoghi che ci aprono un mondo irreale che pare avverarsi. E risultano così evidenti e chiari i caratteri di ognuno, dalle paure adolescenziali del giovanissimo alla superbia dell’uomo Viktor che non ha altri scopi nella sua vita se non quello di affermare le idee di cui è ormai convinto. La semplicità di William, il dolore consapevole della loro mamma, l’ambiguità del personaggio di Harlander (e chi meglio del modo equivoco di esprimersi nei suoi personaggi tipici poteva farlo se non Christoph Waltz?), la fragilità romantica di Elizabeth (Mia Goth ormai attrice specializzata nel genere), desiderata da entrambi i fratelli ma intenerita dalla recondita dolcezza della Creatura.


Ed eccoci al lei, la Creatura, il vero epicentro del film, come tutti gli altri mostri buoni dal cuore tenero dei film di Guillermo del Toro: Jacob Elordi - dall’alto dei suoi 196 centimetri, per cui non ha bisogni di trucchi per sovrastare tutti gli altri - è il perfetto prodotto del lavoro di trucco prostetico che gli hanno lavorato i truccatori. Riconoscibile solo a tratti, si muove bene e recita ancora meglio dando la giusta profondità che ci si aspetta da un omone del genere e pur limitato da quel trucco riesce a far recapitare i sentimenti contrastanti che lo attraversano, fino al punto da sollecitare nello spettatore pietà e tenerezza, facendo comprendere il dramma interiore della grande voglia di essere accettato per quello che è e farsi di conseguenza amare. È qui che il film non è più un semplice racconto fantasy e d’orrore ma un dramma attendibile di un “essere” che impara sia la natura buona dell’uomo ma, purtroppo, anche la profonda cattiveria che lo abita. Lui è un diverso e per questo mette paura a prescindere, quindi infondata, quindi prevenuta, quando invece lui reclama solo comprensione indipendentemente dalla esteriorità. Tanto che, almeno per quei pochi momenti, il finale lo vede come un eroe, l’unico capace di smuovere e liberare la nave del capitano Anderson (Lars Mikkelsen) e rimandare in patria i marinai esausti, mentre lui, triste e consapevole di non poter mai morire (riecco Nosferatu) va via errando per la gelida terra invernale dell’Artico.


Anche stavolta l’egregio Guillermo del Toro compie il suo benemerito compito di allietarci con una storia che a priori potrebbe mettere paura e che invece si rivela ancora una volta una fiaba tragica e romantica, ammantata dallo sguardo gotico che caratterizza la sua intera filmografia, sempre fatta da mostri incompresi e buoni, graditi solo dalle anime belle come le fanciulle semplici o i bambini o come il saggio nonno cieco, il quale, non potendolo vedere, intuisce istintivo solo la gentilezza e la bontà di quello strano ospite. Incantevole la lussuosa ambientazione, fantastici i costumi di cui s’è detto, bellissima la fotografia di Dan Laustsen, qui alla quinta volta con il regista, e adeguate e evocative le musiche di Alexandre Desplat per la terza volta. Film, quindi, molto piacevole da guardare.


In conclusione, il film di Del Toro è una reinterpretazione moderna e personale della leggenda di Frankenstein. Non cerca la fedeltà letterale, ma quella emotiva, trasformando il racconto gotico in una parabola sull’umanità, la solitudine e il bisogno di riconoscimento.
Un film in cui il regista conferma appieno, in maniera come sempre personale, il suo cinema come arte totale che utilizza per spaziare tra l’umano e il mostruoso, tra creazione e abbandono, tra genitorialità e responsabilità, indagando sull’identità di un mito. “Frankenstein è la fine di qualcosa. Non so cosa sia, ma lo sento. L’ho portato con me per tutta la vita, e ora che l’ho fatto, so che alcune cose devono cambiare”.
Vanno fatti i complimenti anche a tutti gli attori per le loro interpretazioni, ognuno scelto bene per le attitudini che hanno.


La didascalia prima dei titoli di coda, che rappresenta una potente metafora, dice
”E così il cuore si spezzerà, ma continuerà a vivere spezzato.”
Lord Byron, Childe Harold’s Pilgrimage.
Frase che chiude il film e ne incarna il messaggio: la capacità di sopravvivere al dolore, accettare le proprie ferite e trovare umanità anche nell’abisso. Dopo un lungo inseguimento tra Victor Frankenstein e la Creatura, il confronto finale avviene tra i ghiacci dell’Artico. Victor, ormai morente, riconosce le sue colpe e chiede perdono. La Creatura, invece di vendicarsi, lo ascolta, lo perdona e aiuta l’equipaggio della nave a liberarsi dai ghiacci. Il film si conclude con la Creatura che osserva l’alba, simbolo di una nuova vita, pronta a vivere nonostante le cicatrici.






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