Il mangiatore di pietre (2018)
- michemar

- 16 mar 2022
- Tempo di lettura: 3 min

Il mangiatore di pietre
Svizzera/Italia 2018 dramma 1h49’
Regia: Nicola Bellucci
Soggetto: Davide Longo (romanzo)
Sceneggiatura: Nicola Bellucci, Marco Colli, Hans W. Geissendörfer, Luigi Sardiello
Fotografia: Simon Guy Fässler
Montaggio: Roberto Missiroli
Musiche: Teho Teardo
Scenografia: Sara Weingart
Costumi: Nicoletta Taranta
Luigi Lo Cascio: Cesare
Vincenzo Crea: Sergio
Bruno Todeschini: Ettore
Ursina Lardi: commissario Sonia di Meo
Leonardo Nigro: maresciallo Boerio
Elena Radonicich: Adele
Peppe Servillo: Antonio
Emiliano Audisio: Fausto
Lidiya Liberman: Ania
Antonio Zavatteri: Nelino
Paolo Graziosi: Paris Giors
TRAMA: Alpi del Piemonte. Il cadavere di Fausto, trentenne pregiudicato, viene trovato dal suo padrino Cesare, un vedovo già sotto sorveglianza della polizia. La giovane commissaria Sonia inizia ad indagare fra gli odi e le amicizie della piccola comunità.
Voto 6

Tratto dall’omonimo romanzo di Davide Longo, è il primo lungometraggio di fiction del documentarista Nicola Bellucci.
Cesare vive sui monti della Val Varaita, in Piemonte. È conosciuto da tutti come “il francese”, perché in passato ha vissuto nel paese transalpino. Una volta tornato alle sue montagne, rimasto vedovo, ha intrapreso un’attività molto rischiosa: quella del passeur. Negli anni, attraverso i valichi alpini, ha contrabbandato di tutto, aiutando inoltre numerosi clandestini a espatriare. Adesso si arrabatta con le trappole per le volpi, che non sempre riesce a vendere con il poco con cui vogliono comprargliele.
Da quando, però, la merce da trasportare ha iniziato a essere la droga, Cesare ha deciso di smettere e di ritirarsi nella sua baita con il cane Micol. Un giorno scopre nel vicino torrente il cadavere di Fausto, il figlioccio al quale aveva trasmesso “il mestiere” e che aveva perso di vista dopo che questi aveva accettato di trasportare ciò che lui si era sempre rifiutato. Evidentemente si tratta di omicidio e le indagini condotte dal commissario Sonia DiMeo portano in un primo momento a sospettare proprio di lui. Per sua fortuna, le risposte che fornisce alla inquirente sono convincenti.

Assume la figura di primo piano, oltre al protagonista, il personaggio di Sergio, il giovane figlio di un allevatore, sottomesso e maltrattato dal genitore, che ha scoperto una famiglia di nordafricani per adesso rifugiati in una casa lontana dal centro abitato in attesa che qualcuno li aiuti ad oltrepassare il confine lungo il pericoloso e innevato percorso già tante volte praticato da Cesare. Il quale, data la situazione, se ne sta sempre solo e non è più in attività. Il ragazzo vuole aiutare i migranti e spinge affinché il passatore si impegni.

In paese tira una pessima aria, tra il duro lavoro e gli scarsi luoghi di svago i ragazzi sono irrequieti e la gente è diffidente. L’inverno è rigido, neve e ghiaccio dappertutto, la vita è difficile. Cesare è un uomo di pietre, è soprattutto un uomo di pietra, diventato insensibile dopo gli avvenimenti e la morte dell’amata moglie sei anni prima. Tra i diversi sgarbi che avvengono, un giorno trova persino il suo fedele cane lupo impiccato in casa. Non ci si può fidare di nessuno, neanche di chi si conosce da tempo. L’aria è così tesa che si avverte che qualcosa succederà ancora. L’operazione di aiuto verso la famiglia di neri per oltrepassare la frontiera in altitudine, dietro l’ostinazione di Sergio che costringe nei fatti Cesare a impegnarsi, ha inizio e sarà tutt’altro che facile, scoprendo le ostilità di Ettore, l’uomo di cui il passeur non sapeva mai se fidarsi. Il tentativo è difficilissimo ma serve anche a Cesare che finalmente potrà evadere da quell’ambiente ostile.

C’erano tutti i presupposti per un grande debutto per il regista Nicola Bellucci, ma la scelta di una narrazione profondamente ellittica, piena di non detti, di personaggi oscuri, di particolari che si fa fatica a comprendere e per i quali bisognerà attendere l’epilogo, sono tutti particolari che fanno diventare contorta una trama che si fa fatica a capire. La storia è forte, come i sentimenti di astio e di diffidenza che serpeggiano tra la popolazione montanara di quel luogo non facilmente vivibile, ma si infrange in una costruzione ed una scrittura che rasenta l’ermetico. Peccato, non si può immaginare di diventare “autori” affidandosi maggiormente su ellissi e qualche flashback.

Peccato perché è anche girato bene, con una eccellente fotografia ma con un pessimo sonoro che impedisce la completa comprensione dei dialoghi, uniche tracce per comprendere bene ciò che è successo e che sta succedendo. Il gran pregio è nelle buone interpretazioni del cast, su cui emerge prepotente un magistrale Luigi Lo Cascio, che non finisce mai di stupire: qui si esprime persino in tre lingue differenti, dato che oltre l’italiano e il francese (lui è “il francese”), si esprime nell’idioma della zona. Una grandissima prova d’attore! Almeno per lui il film va visto e soprattutto per lui il film raggiunge, con difficoltà, la sufficienza.






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