Il maratoneta (1976)
- michemar

- 20 ago 2024
- Tempo di lettura: 6 min

Il maratoneta
(Marathon Man) USA 1976 thriller 2h5’
Regia: John Schlesinger
Soggetto: William Goldman (romanzo)
Sceneggiatura: William Goldman
Fotografia: Conrad L. Hall
Montaggio: Jim Clark
Musiche: Michael Small
Scenografia: Richard Macdonald
Costumi: Robert De Mora, Ann Roth (non accreditata)
Dustin Hoffman: Thomas Babington “Babe” Levy
Laurence Olivier: dottor Christian Szell
Roy Scheider: Henry David “Doc” Levy
Marthe Keller: Elsa Opel
Fritz Weaver: prof. Biesenthal
William Devane: Peter Janeway
Richard Bright: Karl
Marc Lawrence: Erhard
Allen Joseph: padre di Babe
Ben Dova: Klaus Szell
Jacques Marin: LeClerc
TRAMA: Uno studente universitario ebreo, tutto preso dalla sua tesi di laurea e dagli allenamenti per la maratona di New York, si trova suo malgrado coinvolto in un intrigo internazionale tra ex nazisti sadici e diamanti rubati.
Voto 8

Il grandissimo John Schlesinger, autore di una ventina scarsa di film ragguardevoli, raggiunse l’apice della sua eccellente carriera di regista (ha partecipato anche ad una dozzina di film come attore, dopo aver conosciuto Peter Finch, eroe di un suo grande successo) nel periodo che va dal 1965 al 1976, anno di questa pellicola, realizzando i suoi migliori prodotti. Dopo le prime opere, si affermò infatti con Darling e la curva della qualità andò in crescendo, passando due anni dopo da quello che ritengo uno dei suoi capolavori: Via dalla pazza folla, appunto con Finch. Ma è nel ’69 che ottenne il maggiore successo e i migliori riconoscimenti con il celebre Un uomo da marciapiede, che gli valse ben 3 Premi Oscar, con le indimenticabili interpretazioni di Jon Voight e Dustin Hoffman. Proprio quest’ultimo è il protagonista del film in questione e che si raffronta con quel mostro sacro britannico chiamato Laurence Olivier.
Hoffman è Thomas Babington, per gli amici Babe, un ragazzotto, timido e introverso, che ama fare jogging e si diverte a correre spesso intorno a Central Park per allenarsi alla maratona di New York, mentre frequenta il corso di Storia e prepara la sua tesi di laurea sullo strapotere degli Stati Uniti, più esattamente, come dice lui, sulla “Tirannia, signore” parlando con il professore, “L’uso della tirannia nella vita politica americana. Coolidge che disperde i poliziotti in sciopero di Boston, i giapponesi-americani nei campi di concentramento”. Il docente teme anche che lui faccia riferimento al periodo di McCarthy, sempre con l’ossessione di riabilitare la memoria del padre, caduto in disgrazia e suicidatosi durante il maccartismo. Il film - che inizia con le immagini vittoriose di repertorio del maratoneta leggendario Bikila vincitore di due olimpiadi - diventa subito rovente con un episodio casuale, un incidente stradale a seguito di un litigio tra due automobilisti in cui trova la morte l’anziano fratello del criminale di guerra nazista Christian Szell creduto morto durante la fuga da Berlino, personaggio che Babe, in quel momento, non può immaginare quanto inciderà nella sua vita nei giorni a seguire. Siamo al 17 febbraio e l’incendio scoppiato dopo che le due auto sono andate a sbattere contro un’autocisterna piena di carburante, ha sconvolto la tranquilla vita del quartiere ebraico proprio nel giorno dello Yom Kippur, nell’East Side che costeggia il percorso di allenamento di Babe nel parco newyorkese.
Quando lo studente riceve la visita inaspettata di suo fratello Doc (Roy Scheider), che è appena tornato da Parigi e che lui ritiene, per ciò che ne sappia, un uomo d’affari di successo ma che in realtà è un agente che lavora per la cosiddetta Divisione, un’agenzia diretta da Peter Janeway (William Devane) collocata tra la CIA ed i servizi segreti ufficiali, il film prende prepotentemente la strada del thriller mozzafiato con tanti avvenimenti sconvolgenti e destabilizzanti. A cominciare dai vari tentativi di attentati che Doc riceve appena sbarcato nella capitale francese. Il fatto cruciale per la vita dell’ingenuo e disinteressato Babe è che, se la ricomparsa del fratello può sembrargli una piacevole novità familiare, gli squallidi legami di questi con il mondo criminale si rivelano presto pericolosissimi per la sua esistenza, rendendolo incredibilmente un bersaglio da parte di tutte le persone interessate. Quello che non può prevedere è che quella gente vuol sapere quanto lui sia informato dell’attività del fratello e che sono pronti a fare di tutto per scoprirlo. Non ad ucciderlo, ovviamente, perché perderebbero le informazioni necessarie, ma piuttosto a costringerlo a farlo parlare. Ma di cosa, esattamente, se lui ne è completamente ignaro?
Non ci vuole molto al giovanotto a capire che è in pericolo, a maggior ragione quando Doc viene veramente eliminato, episodio che lo lascia inebetito e con la netta sensazione di essere in grave pericolo. Non si accorge neanche che la donna, Elsa (Marthe Keller), che sta frequentando, non è affidabile come crede, è solo un amo per adescarlo. Gli eventi precipitano e Babe deve adeguarsi per difendersi. È un continuo susseguirsi di fughe, sparatorie, cadaveri: la sua vita è sconvolta e travolta e non basta guardarsi le spalle, dal momento che chi lo cerca è gente esperta e senza scrupoli. La celebre sequenza che vede Babe seduto sulla sedia da dentista che viene torturato dal feroce dottor Christian Szell (Laurence Olivier), l’ex nazista, è nella storia del cinema, una leggenda, che si fa fatica a guardare, che fa star male il pubblico, ma è talmente efficace ai fini della narrazione e della strategia della tensione voluta dal regista che non si può eliminare e neanche non guardare. E dire che fu girata più lunga di quella ufficiale, ma accorciata dopo la reazione del pubblico all’anteprima. “È al sicuro?”
Il lungo finale è avvincente e tesissimo, strega e non fa respirare, tenendo fino all’ultimo secondo incerta la soluzione e lasciando lo spettatore coinvolto ed esausto. La sceneggiatura del film, ad opera dello stesso scrittore del romanzo, William Goldman, segue piuttosto fedelmente le sue pagine originali ma cambia proprio l’esito finale (spoiler!): nella versione cartacea Babe spara a bruciapelo al suo rivale (in un parco e non all’interno di un acquedotto), senza mostrare alcuna esitazione, al contrario di ciò che accade sullo schermo, dove di fatto è lo stesso Szell ad uccidersi, trafiggendosi involontariamente con la propria arma che nasconde per tutto il film nella manica della giacca. Una lunga lama che mette paura per tutta la durata.
È un thriller di grandissima tensione ma è anche il memorabile scontro/incontro tra due grandi attori, tra due scuole di recitazione differenti, tra due generazioni agli antipodi. Il personaggio di Christian Szell vive del cinismo demoniaco di quel sommo attore di stampo teatrale che era Laurence Olivier, Babe dei nervi tesi e della allora nuova generazione di Dustin Hoffman, che al momento dell’uscita del film era tra le star americane più ricercate e amate. Il raffronto tra i due è, come si suol dire, letteralmente epocale: due recitazioni, due maniere di usare il corpo e lo sguardo, due lezioni diametralmente opposte. Il film è bellissimo per propri meriti ma il contributo apportato dai due attori è esaltante e, come succede sempre con gli ottimi attori di rincalzo, anche Roy Scheider è un punto di forza, come anche Marthe Keller. Tutto funziona a meraviglia e potenzialmente era un film che avrebbe potuto raggiungere qualsiasi premio, ma la sfortuna per l’ottimo Schlesinger fu che quell’anno correvano per gli Oscar film del calibro come Tutti gli uomini del presidente, Quinto potere, Taxi Driver, Questa terra è la mia terra, tutti rimasti con un palmo di naso dopo la vittoria del Rocky di Silvester Stallone.
La dimostrazione della forza di questo film sta nel fatto che a distanza di decenni si fa vedere con lo stesso interesse e la stessa passione di quando fece il suo esordio, essendo uno di quei film che si rivedono sempre volentieri anche conoscendo il finale e, soprattutto, quella sequenza dello strappo dei denti che ci fa sentir male per davvero. Cinema che oggi non esiste più perché la violenza è filmata solo per fare spettacolo. Cinema che guardava più alla storia e alla passione che destava che al botteghino. Cinema di grande qualità, parole che, mi accorgo, ripeto sempre quando parlo o scrivo delle opere del grandissimo John Schlesinger.
Che attori! Che regia! Che sceneggiatura! Che montaggio! Il film funziona alla meraviglia.
Riconoscimenti
1977 – Premio Oscar
Candidatura al miglior attore non protagonista a Laurence Olivier
1977 – Golden Globe
Miglior attore non protagonista a Laurence Olivier
Candidatura alla miglior regia
Candidatura al miglior attore in un film drammatico a Dustin Hoffman
Candidatura alla migliore attrice non protagonista a Marthe Keller
Candidatura alla migliore sceneggiatura
1977 – BAFTA
Candidatura al miglior attore protagonista a Dustin Hoffman
Candidatura al miglior montaggio
1977 – David di Donatello
Miglior film straniero
Miglior attore straniero a Dustin Hoffman






































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