top of page

Titolo grande

Avenir Light una delle font preferite dai designer. Facile da leggere, viene utilizzata per titoli e paragrafi.

Il movente (2017)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 27 set 2019
  • Tempo di lettura: 6 min

ree

Il movente

(El autor) Spagna/Messico 2017, commedia, 1h52'


Regia: Manuel Martín Cuenca

Soggetto: Javier Cercas (romanzo)

Sceneggiatura: Alejandro Hernández, Manuel Martín Cuenca

Fotografia: Pau Esteve Birba

Montaggio: Ángel Hernández Zoido

Musiche: Pablo Perales Carrasco, José Luis Perales

Scenografia: Sonia Nolla

Costumi: Pedro Moreno, Esther Vaquero


Javier Gutiérrez: Álvaro Martín

María León: Amanda

Adelfa Calvo: Lola

Adriana Paz: Irene

Tenoch Huerta: Enrique

Rafael Téllez: don Alfonso Montero

Antonio de la Torre: Juan


TRAMA: Álvaro si separa dalla moglie, autrice di romanzi di grande successo. Decide allora di adoperarsi per realizzare il suo sogno di scrivere un grande romanzo ma ha un grosso ostacolo da superare: gli mancano talento e fantasia. Tuttavia, un giorno, intuisce che quel grande romanzo deve essere tratto dalla realtà e comincia a manipolare amici e vicini al fine di sviluppare una trama intrigante. La situazione, però, gli sfuggirà presto di mano e la storia prenderà una piega sempre più grigia.


Voto 7


ree

Alzi la mano chi tra noi non ha almeno una volta immaginato di mettersi su una scrivania con carta e penna (oggi in verità basta aprire un portatile anche sulle gambe, seduti dove capita) per cominciare a mettere per iscritto le idee che vengono in mente e farle così diventare un racconto, magari, sogno dei sogni, un vero romanzo. Anche a me è successo. Anche a me è venuta voglia di fare così, anzi a furia di postare le mie tante recensioni c’è stata più di una persona che mi ha chiesto perché non provassi a scrivere un vero romanzo. Dovrebbe essere un hobby. Ma se invece questa voglia diventa una mania, cioè una vera fissazione, allora la storia prende un’altra piega. Come questa.


È quello che succede al protagonista di questo film, Álvaro Martín, impiegato in uno studio notarile con tanto di moglie scrittrice che ha appena sfornato un successo editoriale di grande clamore. Sono tre anni che frequenta un corso per scrittori ma i risultati sono piuttosto mediocri, anzi del tutto negativi, fino al punto che il docente lo considera un totale fallito sotto il punto di vista letterario. Il grave difetto che gli viene rimproverato, oltre alla assenza di talento, è che le sue storie sono ipocritamente false, inconsistenti, poco credibili, e soprattutto poco reali, vacue, con nomi anglosassoni di pura fantasia e non di persone che lo circondano nella vita quotidiana. Lui, rimprovero quasi testuale, non mette come faceva il grande Hemingway, gli attributi sul tavolo, non espone cioè in prima persona anima e cuore sulla carta. Allegoria che rimarrà nella mente di Álvaro, il quale cerca in tutti i modi per trovare l’ispirazione, cambiando completamente la sua vita pur di arrivare all’agognato sogno di realizzare un romanzo di sostanza e poterlo così pubblicare, anche per rispondere sul campo alla bella moglie che non lo attira più, donna che lui ormai trascura totalmente. Va a vivere da solo in un appartamento di un condominio e si organizza: davanti a sé vede solo la scrittura, non ha altro per la mente, non immagina fare altro e per fare ciò prende un lungo periodo de vacaciones dal lavoro che è peraltro la sua unica fonte di sostentamento. Si arma di computer, risme di carta e un ventilatore perennemente puntato addosso.


ree

Cosa può scrivere? Quale argomento è capace di affrontare? Da dove partire? Álvaro lo ha capito: deve guardarsi intorno, deve osservare, anzi spiare i condòmini e trarne delle storie credibili. Compito facile, dal momento che tutto ciò che succede in quel palazzo, tutti gli abitanti con cui viene a contatto, danno continuamente la possibilità per nuove idee. La particolarità però di Álvaro è che, mentre si mette nella posizione di spettatore, ha un grande intuito, quasi inconsciamente: mescola il suo mondo di osservatore ad una figura pericolosa di “regista”. Egli infatti stimola, provoca, punge, si avvicina, fa reagire alcune persone che conosce in quel piccolo mondo a parte, cominciando dalla moglie del portinaio, aprendo un varco perfino sessuale con quella grassa donna più anziana di lui, pur di ottenere informazioni sui residenti. Facendosi passare per un professionista che non è, ha modo di entrare nelle case e ottenere confidenze, conoscere i più intimi problemi, acquistare la loro fiducia proprio per poter entrare agevolmente nelle loro vite. Più indaga, più provoca, più spunti interessanti ottiene, più facili vengono le pagine da scrivere. È, in alcuni attimi, un fiume in piena, alternando uscite ben studiate sul pianerottolo a registrazioni vocali dei litigi rivelatori dei condòmini più vicini. Egli è l’osservatore-attore-regista che coordina le (re)azioni dei vari conoscenti che a loro insaputa diventano i personaggi intriganti di un corposo romanzo dagli aspetti più reali della realtà: i consigli/rimproveri del suo istruttore stanno dando i risultati tanto sperati.


ree

Si sa bene però che quando i giochi diventano grossi diventano anche pericolosi, e succede così quando la situazione gli sfugge di mano e diviene la vittima della trappola che scatta intorno a lui. Si pente di ciò che ha fatto, di ciò che gli è successo? No. Quando realizza il tranello in cui è alla fine cascato se la ride fragorosamente, apprezzando anzi la furbizia di chi gliel’ha organizzato e, colmo dei colmi, riesce ad utilizzare la nuova situazione affinché la sua disavventura diventi un ulteriore spunto del suo grande romanzo, che ormai va avanti quasi da sé. La storia che lui ha fatto nascere si sta autoalimentando da sola: lui la deve solo mettere nero su bianco. E quando ormai è divenuto un maestro nel creare queste condizioni, perfino nel luogo dove si trova alla fine a vivere (no spoiler!) trova la forza incosciente di provocare altre azioni. Tutte da metter per iscritto. Álvaro è diventato un abile scrittore?


ree

Quel che salta evidente agli occhi è che il regista ci mostra un mondo di mostri, più o meno cattivi, spinti da motivazioni diverse a comportamenti di convenienza personale, egoisti, odiatori seriali del prossimo, approfittatori. E mi fermo qui. Non c’è un solo personaggio che si dedica all’altro, che fa un gesto di generosità. Nessuno.

Álvaro, dopo aver dedotto che le persone che lo circondano sono tutti potenziali spunti di scrittura, non pensa ad altro che trascrivere quello che osserva e che registra sullo smartphone. Lui non ha altro dio che la scrittura, la sua. Tanto rapito che non si rammarica neanche di fare la fine che farà (no spoiler!). Che mostri!

Amanda, la moglie, forse (ma forse) vuole bene al marito ma il successo del suo libro le annebbia la vita e non lo cerca neanche dopo averne perso le tracce. Viva la notorietà.

Lola, la portiera bruttona stagionata, grassa e pettegola a sua insaputa, scopre le attenzioni di Álvaro e le scambia per sincere, riscoprendo anche le gioie del sesso, per poi diventare cattiva come gli altri, ma non essendo mai stata buona le viene facile.

Irene, la vicina messicana, matura e provocante, disposta a tutto pur di rimanere in Spagna, prova per lui a tradire il marito, ma Álvaro non cerca successo in amore, ma solo nella scrittura. Reale colpevole finale?

Enrique, il vicino messicano, tonto o finto tonto, di certo lo alletta un colpo facile: perché non rischiare pur di rimanere in Spagna e non essere più un qualsiasi immigrato? Ma soprattutto, e anche lui, reale colpevole finale?

Don Alfonso, militare in pensione e con la cassaforte piena di soldi, è un solitario nostalgico dei tempi franchisti, non esiterebbe a sparare.

Ed infine, Juan, il docente del corso di scrittura, l’approfittatore per eccellenza, mangia a sbafo e consola la moglie di Álvaro. Personaggio di mezza tacca.

Aggiungerei gli attributi di Hemingway, ma fanno solo un paio di comparsate sulla scena, una volta enunciati, un’altra esposti a mo’ di autoincoraggiamento e di rito propiziatorio, affinché lo scrittore in pectore si riveli in tutta la sua potenza espressiva.

Che mondo di mostri è questo che si vede a Siviglia? Città che si vede poco: solo qualche scena in strada, quasi tutto il resto è tutto negli interni del condominio, un microcosmo dove si svolge tutta la storia, fino all’epilogo giallo atteso ma insospettabile. Una meravigliosa città solare contrapposta alle stanze condominiali illuminate dall’egoismo dominante di piccoli insignificanti personaggi che popolano una storia torva che parte da commedia e si oscura cammin facendo, fino al biancore accecante della sala mensa di un carcere e della divisa dei detenuti.


ree

Il regista dell’Almeria, Manuel Martín Cuenca, confeziona una commedia che assume i contorni prima del thriller psicologico, poi del thriller crescente, con tanto di finale a sorpresa e con la coda che fa sorridere ancora. Merito di una sceneggiatura furba e intelligente, sempre sulla corda, opera dello stesso artista scritta assieme ad Alejandro Hernández, e di un gruppo di attori non male, su cui primeggiano due volponi spagnoli che ben conosciamo: Javier Gutiérrez e Antonio de la Torre, anche straordinari protagonisti del formidabile La isla minima di Alberto Rodríguez. Bravissimi in quella occasione, bravi anche qui, dove addirittura il primo è l’assoluto mattatore, che dosa la forza interpretativa nelle varie circostanze, mascherando continuamente il suo gioco psicologico a rimpiattino, con il suo fisico tozzo e con lo sguardo perennemente distratto da ciò che può ricavare dalla persona che gli si avvicina volta per volta.


Il cinema spagnolo giovane è sempre sorprendente.



 
 
 

Commenti


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

bottom of page