Il primo giorno della mia vita (2023)
- michemar

- 6 lug 2023
- Tempo di lettura: 5 min

Il primo giorno della mia vita
Italia 2023 dramma 2h1’
Regia: Paolo Genovese
Soggetto: Paolo Genovese (romanzo)
Sceneggiatura: Paolo Genovese, Paolo Costella, Rolando Ravello, Isabella Aguilar
Fotografia: Fabrizio Lucci
Montaggio: Consuelo Catucci
Musiche: Maurizio Filardo
Scenografia: Chiara Balducci
Costumi: Gemma Mascagni
Toni Servillo: uomo
Valerio Mastandrea: Napoleone
Margherita Buy: Arianna
Sara Serraiocco: Emilia
Gabriele Cristini: Daniele
Vittoria Puccini: donna
Giorgio Tirabassi: Max
Lino Guanciale: Tommaso
Thomas Trabacchi: Zeno
Elena Lietti: Greta
Lidia Vitale: madre diDaniele
Antonio Gerardi: padre di Daniele
Davide Combusti: Nicolas
TRAMA: Un uomo misterioso offre a quattro sconosciuti sull'orlo del suicidio la possibilità di vedere come sarebbe la vita senza di loro.
Voto 5

Due sono i piccoli torrenti che confluiscono per formare il letto del fiume in cui deve scorrere la trama e le motivazioni di una storia troppo romanzata e che travalica il confine del fantasy. O meglio, dei fantasmi. L’uno è la filosofia che caratterizza buona parte dei film di Paolo Genovese: le problematiche esistenziali delle persone che non riescono a risolvere in positivo la propria vita e che quindi pare un discorso già iniziato dal regista altrove ma soprattutto con il non proprio riuscito The Place (e se vogliamo anche con Perfetti sconosciuti, ma anche Immaturi, e via dicendo); l’altro è il sottogenere che ha sempre interessato il cinema, la presenza di entità buone e sagge (materiali? metafisiche? spirituali?) che intendono redimere e riportare nella giusta via persone allo sbando, far tornare loro il sorriso, angeli che “reggi e governa me, che…”. Unendo queste due argomentazioni, il regista imbastisce un copione, scritto a più mani, ricavato da uno dei suoi attuali tre romanzi, tutti tradotti per lo schermo.

La totalità della storia è ambientata in una Roma buia, notturna e piovosa, una sorta di Los Angeles di Blade Runner alla romana ed immediatamente ci si ritrova nella anomalia della situazione, con un imprevedibile colpo di pistola in un’auto della polizia. Un uomo senza nome dallo spirito umanistico e misterioso (Toni Servillo) raccoglie l’anima ed il corpo di quattro persone, di varia età ed estrazione che intensionalmente hanno messo fine alla loro vita, anche se non è detto che non si possa tornare indietro, o almeno è il suo scopo. Napoleone (Valerio Mastandrea) è un motivatore come quelli che vanno di moda da qualche anno negli ambienti professionali, che però non riesce a motivare se stesso nel pieno di una depressione anche relazionale con la sua donna. Arianna (Margherita Buy) è una poliziotta che ha subito la grave perdita della figlia e che sceglie sempre i turni notturni per occupare evidentemente le nottate insonni (del marito o compagno non ci sono tracce). Poi c’è Emilia (Sara Serraiocco), una campionessa di ginnastica di valore internazionale ma eterna seconda che ora è sulla sedia a rotelle per un infortunio. Ed infine Daniele (Gabriele Cristini), un ragazzino bulimico, bullizzato a scuola e dagli amici per il suo fisico (“ciccione di merda”) costretto dai genitori a sfruttare la sua fisicità malata per diventare una star di YouTube e arricchirsi, vilipeso quindi anche dal padre. Quattro casi differenti di rinuncia alla vita, che hanno deciso di chiuderla lì.

L’uomo li mette assieme cercandoli con la sua station wagon e mostrando loro per una settimana le belle cose che hanno abbandonato e come sarebbe il mondo dei loro conoscenti senza di loro, con una tecnica che vuole essere convincente per farli pentire del gesto, dando l’impressione – mai chiarita – che lui sarebbe in grado di far tornare indietro nel tempo l’orologio per dar loro la possibilità di correggersi. E siccome esiste il libero arbitrio, i quattro potrebbero ripensarci e rimediare allo sbaglio. Scopriamo così i particolari della vita di questi soggetti, devenuti oggetto del “riesame” psicologico ed esistenziale. Siamo insomma a cavallo con l’aldiquà e con l’aldilà e, a quanto pare, quel personaggio misterioso non è neanche l’unico, dato che ad un certo momento si fa viva anche una donna (Vittoria Puccini) che svolge gli stessi compiti.
Può essere sufficiente per un film interessante? Difficile dirlo, di certo però il regista ci trascina in un mondo fatto di dialoghi assurdi, come se Paolo Genovese sia un redivivo Oscar Wilde, oppure Ennio Flaiano, o ancora l’inventore di riflessioni esistenziali scolpite nella roccia della storia parallele al pensiero di Nietzsche: frasi che sentenziano, che vogliono colpire, meravigliare, sbalordire prima il lettore e poi lo spettatore. Raramente uno scambio di battute più ordinarie e credibili. Se non si ride è merito del cast composto dai nomi eccellenti del cinema italiano, cominciando sicuramente da Toni Servillo, sempre superlativo ad esprimere se stesso (come un qualsiasi Robert De Niro che si autocita continuamente). Sì, son bravi tutti, a cominciare forse dalla migliore, Sara Serraiocco, capace di recitare sempre in maniera convincente, anche in questo malcapitato personaggio. Mi colpì la prima volta che la vidi e trovo conferma ogni volta.
Quello che impressiona maggiormente è che la storia in sé e i personaggi paiono rappresentare ognuno di loro un cliché troppo scontato e va a finire che non esprimono nulla di eclatante, se non alcuni stereotipi che riempiono le fiction di moda. Siamo, cioè, lontani da una espressione artistica che l’autore aveva intenzione di illustrare, con personaggi statici come le statue che ornano da secoli i ponti della città eterna. Il voto doveva essere anche peggiore, il giudizio si salva parzialmente solo per la bravura del bravissimo e nutrito cast.
Sinceramente, di Paolo Genovese non mi sono mai entusiasmato e, a qualche anno di distanza, se Perfetti sconosciuti l’ho giudicato sufficientemente positivo perché scopriva un nervo che fa male a quasi tutti noi, a ben vedere anche quel riuscito film è abbinabile al solito andamento della sua produzione e dei suoi argomenti.
Si può fare di meglio.

Il regista: “Il tema centrale, paradossalmente, non è il suicidio ma è la felicità. Sapevamo anche che la felicità, o la ricerca della felicità, è praticamente un qualcosa che ci unisce tutti e quindi è un tema dove rischi la retorica, la banalità del già visto e già sentito. Non è un caso che questo sia il film per il quale ho impiegato più tempo in assoluto nella scrittura con una sceneggiatura che abbiamo scritto, smontato, rimescolato, infinite volte. Volevamo dire qualcosa che smuovesse prima di tutti noi stessi, qualcosa che non avevamo sentito. Insomma, volevamo trovare un punto di vista sulla ricerca della felicità che non fosse troppo scontato e in questo il personaggio di Toni Servillo è stato fondamentale perché volevamo rappresentare qualcuno (laico o religioso) che fosse comunque molto legato alla vita e che non facesse rimandi al dopo. La ricerca che compiono in questi sette giorni i quattro personaggi, così come le motivazioni che trovano e che vengono loro suggerite, sono tutte concrete, reali, legate appunto alla vita terrena.”

Riconoscimenti
2023 - Nastro d'argento
Candidatura per il migliore soggetto
Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Sara Serraiocco
Candidatura per il migliore sonoro in presa diretta














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