Il ritratto del duca (2020)
- michemar

- 23 dic 2022
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 2 giu 2023

Il ritratto del duca
(The Duke) UK 2020 commedia 1h35’
Regia: Roger Michell
Sceneggiatura: Richard Bean, Clive Coleman
Fotografia: Mike Eley
Montaggio: Kristina Hetherington
Musiche: George Fenton
Scenografia: Kristian Milsted
Costumi: Dinah Collin
Jim Broadbent: Kempton Bunton
Helen Mirren: Dorothy Bunton
Matthew Goode: Jeremy Hutchinson
Fionn Whitehead: Jackie
Anna Maxwell Martin: Mrs Gowling
Sian Clifford: dott. Unsworth
Jack Bandeira: Kenny Bunton
Aimée Kelly: Irene
Charlotte Spencer: Pammy
TRAMA: Nel 1961, Kempton Bunton, un autista di 60 anni, ruba dalla National Gallery di Londra il Ritratto del duca di Wellington di Francisco Goya. Kempton chiede un inconsueto riscatto: restituirebbe il dipinto solo se il governo si impegnasse di più a sostegno degli anziani, per i quali si è già battuto in precedenza.
Voto 6,5

Nei primi anni Sessanta, il governo britannico acquistò il ritratto del duca di Wellington di Francisco Goya da un ricco collezionista americano che voleva portarlo con sé negli Stati Uniti. Lo pagò 140 mila sterline e lo espose con grande pubblicità nella National Gallery. Poco dopo, il quadro fu rubato (unico furto subito dal museo londinese) e per la restituzione fu richiesta non un riscatto ma una donazione di 140 mila sterline per pagare il canone tv di pensionati e reduci di guerra. Il ladro, si scoprì, era Kempton Bunton, un sessantenne pensionato con lavori saltuari di Newcastle che da tempo conduceva una personale battaglia contro il canone della BBC. Tutto vero e documentato, anche i tre mesi di carcere ai quali Bunton fu condannato per aver rubato la cornice, del valore commerciale di 80 sterline, che a differenza del ritratto non era stata restituita.

È una commedia tanto simpatica e briosa che si fa fatica persino a credere che sia tutta vera e che sia realmente accaduta così come viene narrata. Il primo notevole motivo di apprezzamento è la straripante empatia che si prova per il protagonista Kempton, classe operaia di sessant'anni, autodidatta drammaturgo, un uomo sempre di buon umore nonostante le traversie e le sfortune, in parte dovute al suo carattere bonario senza peli sulla lingua, che seppur maturo è costretto a cercare continuamente lavoro, mentre la moglie presta servizio come governante nella casa di un politico locale. Ovunque si presenti per essere assunto succede sempre qualcosa che spinge il titolare a licenziarlo: da tassista estremamente chiacchierone, una corsa non voluta riscuotere per indigenza del passeggero disabile e veterano di guerra; da operaio in un panificio, per aver difeso, come uno strenuo sindacalista, il giusto intervallo di un collega pakistano. Nel frattempo, ingaggia una battaglia di principio sul pagamento del canone TV con la BBC, ritenendosi in diritto di non versare il tributo avendo asportato dall’apparecchio televisivo il dispositivo per guardare l’emittente. La realtà è che sta portando avanti una guerra personale per far ricevere gratuitamente la TV pubblica ai militari superstiti del conflitto mondiale e ai pensionati non benestanti: una questione di giustizia sociale che lo porta perfino a salire su una cassetta di legno per tenere comizi in strada e installare un tavolo per la raccolta delle firme per la petizione necessaria.

Un altro motivo, ben più drammatico, è la profonda sofferenza che sopporta, assieme alla devota Dorothy, dalla morte della loro adorata figlia caduta dalla bici che lui le aveva regalato: un dolore che aveva invaso la vita familiare e che aveva rovinato l’armonioso rapporto con la moglie. Hanno altri due figli maschi, l’affezionato e coccolato Jackie, che vive in casa e si arrabatta con qualche lavoretto, e Kenny, dalla losca vita vissuta a Leeds, da cui torna ogni volta che deve sparire dalla circolazione. I due coniugi evitano sempre di parlare dell’incidente mortale che ha devastato le loro vite e ciò origina, nonostante l’amore tra i due, una ruggine mai smaltita e che, con sollievo, solo nel finale affronteranno una volta per tutte.

Il terzo motivo che induce al buon giudizio del film è il modo in cui si svolge il processo a carico dell’uomo una volta che ha restituito il celebre quadro di Goya e ammesso le proprie colpe. Il dibattito legale nell’aula di tribunale, iniziato con solo aspettative negative, data l’ammissione di colpevolezza da parte dell’imputato, è travolto dalla schiettezza di Kempton e dalla notevolissima arguzia con cui difende la propria posizione e le motivazioni sociali che lo avevano spinto ad un gesto che non fa parte della sua quotidianità. L’estrema simpatia e le battute vivaci, pertinenti e divertenti, come quelle tipiche dei vecchi saggi che non sbagliano mai, si rivelano, inaspettatamente, la carta vincente per subire la pena minima per la perdita della cornice (tre mesi di carcere) e la “non colpevolezza” decretata dalla giuria popolare che intanto si è schierata con lui. Oltre al pubblico presente che tifa per lui come se fosse in una palestra. Tutta l’opinione pubblica è schierata a suo favore,

La figura dell’uomo ne esce limpida e vincente, almeno dal lato umano, e la polizia deve anche fare buon viso a cattivo gioco anche quando il figlio Jackie svelerà un segreto sorprendente, facendo risaltare ancora di più la bontà d’animo del protagonista e del suo modo di proteggere famiglia e ricordi. Si sorride continuamente, si fa il tifo per lui come se si fosse in uno stadio, si avverte la consapevolezza che la persona andava perdonata perché in assenza di cattiveria. Un insignificante anziano che attira la simpatia di chiunque lo incontra e lo conosce da vicino, uomo che non si perde mai d’animo confidando nella comprensione e nel buon senso della gente con cui entra in contatto.

L’ultimo motivo, ma assolutamente primario, per gradire il film è che è scritto dai due sceneggiatori Richard Bean e Clive Coleman in maniera magica e con una scrittura costellata da eccellenti battute messe sulla carta con leggerezza, ritmo e arguzia, le stesse doti che animano il protagonista. Il tocco finale ma determinante è la mano della regia, quella del compianto e simpaticone Roger Michell, qui purtroppo al suo ultimo lavoro, che lo dirige, tramite il buonissimo cast (capeggiato da Jim Broadbent e Helen Mirren in perfetta simbiosi e alchimia da palcoscenico) adottando in pieno lo stile Ealing comedy, definizione che indica una serie di film di genere commedia brillante, spesso di satira sociale, girati presso gli Ealing Studios di Londra subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ciò non sorprende conoscendo il passato del regista, cineasta capace, oltre che realizzare film drammatici, di condurre brillantemente in porto commedie di gran successo come Notting Hill.

Stile e humor british che abbelliscono un delizioso film che sembra una storia improbabile ma vera, che deriva dall’anima più semplice e tradizionale della commedia britannica, con personaggi delineati con precisione che ispirano tanta simpatia, con un’atmosfera molto vicina al popolare senza mai essere facilona ma attenendosi al realistico e alla gente che si incrocia tranquilla per le strade. Riflettiamo un po’: non si vede mai un dibattito giudiziario in cui si spera soltanto che l’imputato se la cavi, e per un semplice motivo: perché è giusto che sia così. Kempton è solo un brav’uomo, ma è anche un Don Chisciotte per nulla utopico, piuttosto un Robin Hood che combatte le ingiustizie sociali e il sistema che schiaccia le persone senza voce, ma principalmente una brava persona, come la severa e precisa Dorothy. E per la loro vita è giusto, umanamente, che alla fine trovino pace sia in casa che sulla tomba della giovane che non c’è più, da troppo tempo non tenuta pulita. È giunto, ora, il momento per elaborare correttamente la perdita.
Che coppia Jim Broadbent e Helen Mirren!






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