Il servo (1963)
- michemar

- 14 apr 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 21 dic 2023

Il servo
(The Servant) UK 1963, drammatico, 1h56'
Regia: Joseph Losey
Soggetto: Robin Maugham (romanzo)
Sceneggiatura: Harold Pinter
Fotografia: Douglas Slocombe
Montaggio: Reginald Mills
Musiche: John Dankworth
Scenografia: Richard Macdonald, Ted Clements
Costumi: Beatrice Dawson
Dirk Bogarde: Hugo Barrett
James Fox: Tony
Sarah Miles: Vera
Wendy Craig: Susan
Catherine Lacey: Lady Mounset
Richard Vernon: Lord Mounset
Patrick Magee: vescovo
Harold Pinter: affarista
TRAMA: Preso a servizio dal giovane, ricco e nobile Tony Mounset, il cameriere Hugo Barrett intuisce la debole indole del suo nuovo padrone e non tarda a conquistarsi una posizione dominante, coinvolgendo nel gioco anche la propria amante Vera.
Voto 9

Il rapporto padrone-servo, visto sotto molteplici aspetti – per esempio quelli di natura sociologica e commerciale -, suscita sin dall’apparizione dell’uomo sulla terra tante considerazioni e ha prodotto nel campo letterario e quindi anche nelle arti che ne conseguono, come appunto il cinema, infinite opere. Tutte interessanti specialmente con la mente diretta ai risvolti psicologici derivanti dal tipo di rapporto e dalla resistenza dell’uno e dell’altro a continuare la convivenza. Legame che assume anche diversa intensità e variabile affidamento: ci sono casi in cui il padrone ha cieca fiducia e altri invece dove il servo viene continuamente controllato perché ritenuto infedele.
Il premio Nobel Harold Pinter, grande drammaturgo, maestro nello sviluppo di storie incentrate sui rapporti umani di vario tipo (familiare, amicale, lavorativo e così via) si mise a disposizione del grande regista Joseph Losey per la stesura della sceneggiatura (basata su un romanzo del britannico Robin Maugham) di questo superbo film in cui è difficile poter stilare una graduatoria dei meriti delle varie componenti. Una regia sontuosa, una scrittura perfetta e adattissima per una logorante pièce teatrale, l’interpretazione di due attori impagabili (la fiducia del regista in Dirk Bogarde era di vecchia data e qui l’attore sfornò forse la sua migliore performance, degno di un premio Oscar), la fotografia di un bianco e nero folgorante, la ambientazione. Già, la casa. Luogo perfetto per un kammerspiel (che qui infatti si realizza), è abitata da mister Tony Mountset, fanatico e inetto ultimo rampollo di una nobile famiglia inglese e fa da testimone e quasi da terzo protagonista nel lento ma inesorabile capovolgersi del rapporto tra i due personaggi. È un lavoro di sinergie tra tutte queste componenti che dà in modo inevitabile il risultato di un film indimenticabile, atroce confronto tra un padrone di casa e di un servant assunto per accudire la casa e la cucina, dalla innegabile eleganza, che con passo lento ma implacabile prende possesso dell’appartamento e riesce a soggiogare completamente il suo datore di lavoro, fino allo stadio inizialmente imprevedibile di rovesciare la scala della supremazia tra i due.

I dialoghi secchi ma ricchi di sfide psicologiche, le pause e le riprese dei colloqui, l’andirivieni dei due tra le varie stanze e scale, la perfettissima disposizione degli oggetti, le inquadrature spiazzanti di Joseph Losey la cui macchina da presa sposta il punto di vista dello spettatore, l’aplomb assoluto dello zelante Hugo Barrett che fa da contrappeso all’aspetto aristocratico di mister Tony, l’arrivo destabilizzante (e ben organizzato dal primo) di sua “sorella” che aggiunge alla strana atmosfera da thriller che si sta creando nella casa la componente sessuale che fino a quel momento era impensabile, la diffidenza della fidanzata di Tony verso quello che sta osservando e verso la bizzarra piega che il contesto sta prendendo, tutte queste circostanze insomma indicano chiaramente come la situazione si stava evolvendo: la calma e sottilmente invadente scalata al potere di Hugo Barrett, a cui Tony Mountset non riesce a frapporre resistenza. Egli quasi inconsciamente (non) si rende conto del mutamento e non riesce minimamente a fermarlo, né a cambiare il corso della metamorfosi che il loro rapporto sta subendo, anzi in alcuni momenti si ha l’impressione che lui accetti in maniera subalterna di essere sottomesso. È l’antico e cinico gioco sadomasochistico che si plasma attorno ad un rapporto prettamente commerciale: un datore di lavoro e un dipendente che si scambiano, per via dell’abilissima arte di quest’ultimo, i ruoli. Una logica che era imprevedibile all’inizio della storia ma che si è spietatamente realizzata.

Come scritto nelle prime righe, tanti sono i fattori di ottima fattura che danno lustro a questo magnifico film, ma su tutto emergono due artisti che viaggiavano sulla stessa onda cerebrale: Joseph Losey e Dirk Bogarde girarono ben cinque film assieme e se il regista lascia una grande impronta in questo film, l’attore lo marchia a fuoco. La sua interpretazione, come d’altronde succedeva in altre occasioni, è a dir poco esemplare: il suo servo mette a fuoco tutta la gamma ambigua dell’attore, l’ironia sotterranea che balena dai suoi sguardi obliqui, il suo fascino perverso che può tradursi in perfidia come in vulnerabilità. Un interprete ideale! Assieme al suo sodale compare, è il vero “padrone” del film, opera che molti oggi hanno dimenticato o che, grande lacuna della cultura, non sanno neanche che esista. Ovviamente da non trascurare la presenza di altri nomi illustri che recitano: la notevole Sarah Miles e l’avvento di un giovane di bella presenza come James Fox, che fu presto notato.

Fu Losey a mostrare per la prima volta il romanzo di Robin Maugham The Servant a Bogarde nel 1954. Originariamente commissionato ad un altro regista, Michael Anderson, Pinter lo spogliò del suo narratore in prima persona, dello snobismo presente libro originario e probabilmente della caratterizzazione antisemita di Barrett sostituendola con un linguaggio più consono ai caratteri che scelse assieme al regista, per illustrare al meglio lo slittamento delle relazioni di potere da Tony a Barrett.
“Ogni porta che apri in questa casa, dietro c'è lui: è un curioso, un sadico...”
“Sì e nei giorni di libertà deve essere un vampiro.”
(dialogo tra Tony e la fidanzata Susan)
Premi e candidature nobilitarono l’opera, giubilato da tre premi BAFTA: Dirk Bogarde come- protagonista, James Fox non protagonista e Douglas Slocombe per la fotografia.






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