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Il sipario strappato (1966)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 14 mar
  • Tempo di lettura: 3 min

Il sipario strappato

(Torn Curtain) USA 1966 thriller 2h8’

 

Regia: Alfred Hitchcock

Sceneggiatura: Brian Moore

Fotografia: John F. Warren

Montaggio: Bud Hoffman

Musiche: John Addison

Scenografia: Hein Heckroth

Costumi: Edith Head

 

Paul Newman: Michael Armstrong

Julie Andrews: dott.ssa Sarah Sherman

Lila Kedrova: contessa Kuchinska

Hansjörg Felmy: Heinrich Gerhard

Tamara Tumanova: prima ballerina

Wolfgang Kieling: Hermann Gromek

Ludwig Donath: professor Gustav Lindt

Günter Strack: professor Karl Manfred

Gisela Fischer: dott.ssa Koska

 

TRAMA: Nell’Europa della guerra fredda, il fisico americano Armstrong va a Copenaghen per un congresso internazionale. Qui, tra l’incredulità di tutti e la costernazione della fidanzata, annuncia di voler passare a lavorare con gli scienziati d’oltre cortina. L’incredibile voltafaccia nasconde però ben altro: Armstrong, infatti, vuole intrufolarsi nei santuari nucleari dell’Est per carpirne i segreti a vantaggio degli Usa.

 

VOTO 6,5



La leggenda racconta che, durante la lavorazione del film, Alfred Hitchcock si lamentava con un giornalista del New York Times a proposito del periodo non facile per avere per le mani un buon copione per le sue idee, che, insomma, non aveva mai conosciuto un momento in cui fosse così difficile trovare uno sceneggiatore esperto a Hollywood. Evidentemente stava suggerendo, nel suo modo familiarmente soave e sottile, che una buona sceneggiatura per questo suo nuovo film, che stava girando in quelle settimane, era un precisamente ciò che gli serviva, o almeno, quello che avrebbe voluto. Se questa fosse stata la sua insinuazione, avrebbe avuto assolutamente ragione. Perché, a dirla francamente, questo è un film di spionaggio non all’altezza sia delle pregevoli opere precedenti che per quello che solitamente ci si aspetta da lui e l’ovvia ragione è che la sceneggiatura è una raccolta di ciò che Hitchcock ha sempre evitato: i cliché.



La guerra fredda è stata fonte di tanti soggetti di cinema e neanche il grande Hitch si è tirato indietro su un argomento così appetitoso, essendo certamente terreno dove poter scatenare il proprio ingegno. Se poi al centro della scena ci si può permettere una coppia di protagonisti interpretati da due attori del calibro di Paul Newman e Julie Andrews, un bel primo passo è compiuto, al resto ci deve pensare un buon soggetto e la mano sempre felice del maestro. Ma, come detto, Brian Moore non è sembrato adatto all’importante compito di scrivere una sceneggiatura da soddisfare le prerogative del maestro, che appunto non era soddisfatto.



La conseguenza è che, alla fin fine, non pare a molti tra i migliori lavori del regista, essendo un po’ prolisso in alcune fasi della pellicola, ma la sua bravura unica nel genere giallo ancora una volta riesce, nonostante tutto, a farci trattenere il fiato in diverse sequenze, soprattutto nella parte centrale che vede protagonista assoluto il professor Michael Armstrong di Newman, allorquando la faccenda si complica. Infatti, sono proprio la scena del museo o quella dell’uccisione avvenuta nella casa di campagna della contadina i momenti salienti, dove si può notare tutta l’arte del regista che fa salire la tensione al massimo.



Tutto ha inizio quando nell’Europa della guerra fredda, il fisico americano Armstrong va a Copenaghen per un congresso internazionale. Da qui, tra l’incredulità di tutti, compresa quella della fidanzata, passa – come si soleva dire allora - oltrecortina a lavorare con gli scienziati del blocco comunista. La sua assistente e fidanzata Sarah (Julie Andrews) tuttavia, intromettendosi indebitamente, gli complica notevolmente la vita seguendolo di nascosto.



L’arrivo di un transfuga dagli Stati Uniti d’America in un paese socialista era infatti una notizia più unica che rara: “la cortina di ferro” veniva allora attraversata in continuazione, con i mezzi e gli stratagemmi più strampalati, ma solo nella direzione opposta. Naturalmente c’è chi pensa che la conversione del giovane fisico americano non sia così sincera come appare, e in particolare così la pensa così l’onnipresente Hermann Gromek (Wolfgang Kieling), agente dei servizi di sicurezza tedesco-orientali, che gli viene messo, dichiaratamente, alle calcagna. Da qui un susseguirsi di pedinamenti, spiate, dubbi, deduzioni, mentre Armstrong si guarda attentamente intorno, non mancando di far dubitare anche lo spettatore ignaro.



Come ogni buon thriller, il disertore viene sospettato dal controspionaggio interno e quindi scoperto piuttosto presto lungo il percorso della trama e il resto del film, compreso il contatto con lo scienziato a cui deve avvicinarsi, diventa un inseguimento. A ciò, inevitabile, si aggiunge il tocco romantico (ma non troppo) della relazione tra il protagonista e la segretaria.



In ogni caso un buon film (e ci mancherebbe) con i colori forti di una tipica fotografia (stavolta anche cupa) che ha caratterizzato buona parte dei lavori del regista, ritmo incalzante nei momenti decisivi e la bravura ed il fascino di due interpreti impareggiabili: Paul Newman e Julie Andrews sono sempre adorabili. Guerra fredda e spionaggio, dubbi e misteri: un terreno certamente fertile per Hitchcock. Peccato per la riuscita non completa della pellicola.



 
 
 

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