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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 set
  • Tempo di lettura: 6 min
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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Italia 1970 thriller grottesco 1h55’


Regia: Elio Petri

Sceneggiatura: Elio Petri, Ugo Pirro

Fotografia: Luigi Kuveiller

Montaggio: Ruggero Mastroianni

Musiche: Ennio Morricone

Scenografia: Carlo Egidi, Romano Cardarelli

Costumi: Angela Sammaciccia


Gian Maria Volonté: il “Dottore

Florinda Bolkan: Augusta Terzi

Gianni Santuccio: prefetto

Orazio Orlando: brigadiere Biglia

Gino Usai: agente di polizia

Sergio Tramonti: Antonio Pace

Arturo Dominici: Mangani

Aldo Rendine: Nicola Panunzio

Massimo Foschi: marito di Augusta

Aleka Paizi: governante

Vittorio Duse: Canes

Pino Patti: capo reparto intercettazioni

Salvo Randone: idraulico

Fulvio Grimaldi: Patanè

Vincenzo Falanga: Pallottella


TRAMA: Il giorno stesso della sua promozione al comando dell’ufficio politico della Questura, un dirigente di Pubblica Sicurezza, per tutti “il Dottore”, fino a quella mattina capo della sezione omicidi, uccide con una lametta Augusta Terzi, la propria amante, nell’appartamento di lei. Forte della posizione che occupa, non si preoccupa neppure di sviare le indagini, finché, quando una bomba deflagra nella centrale di polizia e vengono fermati alcuni contestatori.


VOTO 9


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Il 12 febbraio 1970 uscì un film davvero rivoluzionario per il nostro cinema. Con un linguaggio inusuale (come l’uso reiterato del flashback) e uno stile grottesco-espressionista-sovraesposto, per la prima volta nel panorama dello spettacolo nazionale, un film osò attaccare a testa bassa un’istituzione sacra (in questo caso la Polizia), fregandosene allegramente di censura e di eventuali denunce, anzi in qualche modo cercando lo scontro. E trovandolo.



Il film nasce da una triade di personalità che hanno lasciato una forte impronta nella storia del nostro cinema, ognuno con la propria professione. Il primo è regista Elio Petri, mai completamente amato dall’ambiente, perché personalità vulcanica, innovativa e profondamente cinefila, che dopo varie interessanti prove e uno splendido dramma sulla mafia da Sciascia come A ciascuno il suo (1967), inaugurò proprio con questo una acida trilogia di radicale e critico cinema civile, seguito da La classe operaia va in Paradiso (1971) e La proprietà non è più un furto (1973). Lo sceneggiatore è Ugo Pirro (vero nome Ugo Mattone), con Petri in tutti e quattro i film citati e penna di tanti altri riconosciuti lavori. L’attore è Gian Maria Volontè, di straordinaria potenza mimetica ed energia, protagonista con Petri nei primi tre titoli ma si ritroveranno anni dopo per l’altro straordinario e forse ancor più grottesco Todo modo (1976).


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Il “Dottore” (non sapremo mai il suo nome), personalità disturbata e schizofrenica, appena promosso capo dell’ufficio politico della questura, uccide la sua amante, con cui ha un rapporto morboso e sadico (Florinda Bolkan), nell’appartamento di lei, con una lametta. In realtà fa di tutto per farsi catturare, lascia numerose prove alternandole con strafottenti depistaggi. Ormai in preda a un delirio autopunitivo registrerà addirittura la confessione dell’omicidio (“Alle 16 di domenica 24 agosto, io ho ucciso la signora Augusta Terzi, con fredda determinazione. La vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi non per fuorviare le indagini, ma per provare la mia in-so-spet-ta-bi-li-tà!”). Nella notte, mentre attende gli investigatori, sogna e delira, inventandosi una incredibile assoluzione “politica”. Non sapremo mai peraltro se verrà arrestato. Il film si chiude infatti con l’arrivo dei colleghi e con una frase di Kafka: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge; quindi, appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”. D’altronde, salvare lui significa salvare tutti loro, renderli ingiudicabili e impuniti. Detentori del potere.



Ogni scena è da studiare, ogni sequenza è un pezzo di film da tramandare, ogni momento Volontè dà una forma diversa, potente e irripetibile di cosa significhi inventarsi un personaggio indimenticabile. Perché come lui, nessuno avrebbe pensato di costruirlo in tal maniera. Ossessivo, grottesco (eh, sì, è un aggettivo che in una raccolta di riflessioni su questo film viene spontaneo ri-usare), presuntuoso, autoreferenziale fino all’onnipotenza, fanaticamente egocentrico. Personaggio e film inimitabili, irripetibili, per suo merito e per le invenzioni del duo Petri-Pirro. Attorniato, va notato, da altri grandi attori dell’epoca, molti dei quali di provenienza teatrale. Salvo Randone, per esempio, (già altre volte con Petri), Gianni Santuccio e Aldo Rendine nel mediocre (e formidabile) dottor Panunzio, sottoposto svillaneggiato costantemente dal Dottore, che gli lancia sfottò nel suo spiccato accento siciliano (ah, quell’accento sfrontato e urlato!).


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E poi, che commento musicale! Indimenticabile è l’incalzante colonna sonora composta da Ennio Morricone, arricchita negli arrangiamenti da numerosi interventi di strumenti folkloristici siciliani (il mandolino e il marranzano). Uno stile di sottolineatura delle scene che influenzerà in seguito numerosi altri cineasti.


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Da tener presente che l’opera usci nel pieno della movimentata scena politica italiana, poco dopo la strage di piazza Fontana e fu esaltato e osteggiato da destra (ovviamente) ma anche da sinistra, quella estrema che vedeva con particolare sospetto ogni commercializzazione del discorso politico, visto anche l’enorme successo del film al box office (quasi 2 miliardi solo in Italia). In più fu sottolineato come il film fece da grancassa a una campagna politica di attacchi al commissario milanese Luigi Calabresi, ritenuto responsabile dello strano suicidio dell’anarchico Pinelli, poi assassinato due anni dopo. Insomma, un momento difficile per la nostra Storia e per uno dei più clamorosi film italiani di sempre.



Difficile scegliere cosa sia più importante il personaggio fortissimo e condizionante nell’ambito della storia, oppure l’enorme Gian Maria Volontè, perché non è pensabile il cinema italiano degli anni ‘60 e ‘70 senza il suo corpo attoriale, non c’è alcun possibile sostituto per uno che è stato icona dello spaghetti western, del cinema civile e di quello di Petri (come trascurare una menzione per il suo indimenticabile Vanzetti?). Non camaleontico, eppure a suo modo trasformista, per la duttilità fenomenale d’attore, certo, ma anche per la composizione quasi caricaturale di un volto scomponibile in forme elementari: le due linee rette delle labbra e delle sopracciglia pronunciate, il triangolo in mezzo a esse formato dal naso e dalle linee intorno alla bocca. Un volto come lo si disegnerebbe con tratti grezzi, che poteva animarsi di intensità comica o drammatica, cinica o struggente, trasformarsi in Teofilatto e in Ramón, nel Chuncho e in Lulù, in Lucky Luciano e Vanzetti e Mattei e Moro. Che attore! Si potrebbe chiudere il discorso riassumendolo in alcuni termini: sineddoche, la sineddoche del nostro Paese, la sintesi, la rappresentazione scenografica dei nostri vizi privati e pubblici. L’attore più “politico”, definizione che lui detestava perché riteneva che ogni film fosse politico.



Volontè interpreta con straordinaria efficacia un uomo dall’aspetto dimesso e ordinario: i capelli rigidamente impomatati, i vestiti anonimi quanto le sue convinzioni granitiche, tra cui spicca l’agghiacciante “la repressione è civiltà”. Il suo sguardo muta a seconda dell’interlocutore: può farsi sprezzante e arrogante, oppure assumere una falsa dolcezza, compiacente e insinuante. Dietro questa facciata si cela un assassino, incarnazione del borghese mediocre e ipocrita, un individuo presuntuoso, psicologicamente disturbato e profondamente servile. La sua apparente rispettabilità è garantita dal ruolo che ricopre: quello di poliziotto, simbolo stesso dell’autorità e della legalità.


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Ma siamo molto vicini al solito tema: il potere. Gira e rigira, molti argomenti o aspetti o scopi dell’arte (teatro, cinema musica, pittura, scultura e via dicendo) trattano del potere e delle sue tante forme in fase di applicazione ed esercizio. Uccidere e far intuire di averlo fatto ma non giungere all’accusa è un esercizio ed una dimostrazione di “potere” e Petri non va oltre in un finale che dimostra tutto ciò e tutta la trama che si è sviluppata fino a quel momento. Il servilismo e la schizofrenia di questo personaggio, che crede di poter beneficiare dell’impunità assoluta fino al punto di giocarci, contaminano una gerarchia sociale stabilita per garantire la presa del dominante sui cittadini a dispetto di tutte le leggi e la rendono ancora più crudele, iniqua e assurda. In questa tragicomica favola sociale.


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Riconoscimenti

Oscar 1971

Miglior film straniero

Oscar 1972

Candidatura migliore sceneggiatura originale

Golden Globe 1971

Candidatura miglior film straniero

Cannes 1970

Grand Prix Speciale della Giuria

Premio FIPRESCI

David di Donatello 1970

Miglior film

Miglior attore protagonista a Gian Maria Volonté

Nastro d’Argento 1971

Regista del miglior film

Miglior attore protagonista a Gian Maria Volonté

Miglior soggetto

Candidatura miglior produttore

Candidatura miglior sceneggiatura

Globo d’Oro 1970

Miglior film

Miglior attore a Gian Maria Volonté

 


Commenti


Il Cinema secondo me,

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cinefilo da bambino

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