Porte aperte (1990)
- michemar

- 2 set 2023
- Tempo di lettura: 5 min

Porte aperte
Italia 1990 dramma 1h48’
Regia: Gianni Amelio
Soggetto: Leonardo Sciascia (romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Gianni Amelio, Vincenzo Cerami, Alessandro Sermoneta
Fotografia: Tonino Nardi
Montaggio: Simona Paggi
Musiche: Franco Piersanti
Scenografia: Franco Velchi, Amedeo Fago
Costumi: Gianna Gissi
Gian Maria Volonté: giudice Vito Di Francesco
Ennio Fantastichini: Tommaso Scalia
Renzo Giovampietro: presidente Sanna
Renato Carpentieri: Consolo
Tony Palazzo: l'autista
Tuccio Musumeci: avvocato Spatafora
Silverio Blasi: procuratore
Giacomo Piperno: avvocato difensore
Lydia Alfonsi: marchesa Anna Pironti
Francesco Sineri: Peppuccio
Nicola Badalucco: dottor Canillo
Vittorio Zarfati: il cancelliere
TRAMA: Tommaso Scalia è un uomo che commette tre omicidi: uccide il suo superiore che lo ha licenziato, uccide l'uomo che lo ha sostituito e uccide la propria moglie. Vuole un processo rapido e un'esecuzione anticipata, ma un assistente giudice serio e dotato di principi cerca un modo per salvare l'assassino dalla fucilazione, perché non crede nella pena capitale. Sebbene inizialmente riesca a salvare l'uomo, pagherà un prezzo elevato per questo.
Voto 7

Il romanzo di Leonardo Sciascia fa da soggetto, molto fedele, perché sicuramente Gianni Amelio voleva trasportare il profondo senso del volume sullo schermo, ad un film fortemente significativo e ovviamente molto drammatico. Vi si racconta che a Palermo, nel 1937, in pieno regime fascista, un uomo, uccide tre persone: la moglie, l'uomo che dell'assassino aveva preso il posto nell'ufficio da cui era stato licenziato; l'uomo che, al vertice di quell'ufficio, ne aveva deciso il licenziamento, un gerarca fascista. C’è poco da chiarire e discutere, anche perché l'assassino è reo confesso ed ha agito con premeditazione: intanto, intorno, c'è una fortissima pressione politica da parte del regime perché la pena di morte, da poco reintrodotta nell'ordinamento penale italiano con leggi speciali - che furono definite in modo chiaro come “Leggi fascistissime” - venga effettivamente comminata per “dare un esempio”.

Ma il giudice a latere del processo Vito Di Francesco (un gigantesco Gian Maria Volonté) è contrario alla pena di morte: grazie anche alla contrarietà di un giurato popolare, un agricoltore bibliofilo, il verdetto di primo grado sarà invece una condanna all'ergastolo. L'imputato sarà comunque condannato alla pena capitale solo in corte d'assise d'appello e il giudice vedrà per sempre compromessa la sua carriera ma avrà la certezza di aver raggiunto “il punto d'onore della mia vita, dell'onore di vivere”.
Da uno scrittore di tale portata e importanza per la nostra Cultura e da un regista così sensibile ai tanti temi sociali del nostro Paese non poteva che derivare un’opera forte ed incisiva, con momenti di alto dramma. Sia civile che politico, perché le critiche al regime suonano forte. Bisognava saper riportare il senso di quegli anni difficili e quello del giustizialismo imperante, avendo la sensibilità di far confluire anche la coscienza critica. Gianni Amelio ha sempre voluto cogliere i sentimenti dal basso, in mezzo alla gente comune e questo portava il suo cinema a volte ad essere quello che veniva definito “cinema verità”. L’attore ideale in quegli anni era Gian Maria Volonté, che purtroppo per noi si incontrò solo una volta sul set con il regista, ma fu un’occasione memorabile. A questo proposito val la pena che io riporti ciò che Amelio scrisse del film e di un episodio che dice tutto sul carattere e sulla visione artistica della vita di entrambi: il modo di affrontare i ruoli da parte dell’attore e quello di girare del regista calabrese. Un episodio nello stesso tempo inquietante ed affascinante.

“Nel mese di giugno del 1989 giravamo sulla punta estrema della Sicilia, nei dintorni di Pachino, le sequenze finali del film, quando il giudice va a trovare il giurato che in camera di consiglio si è battuto contro la pena di morte. Ci tenevo molto a quelle scene e avevo controllato personalmente una per una le duecento e più comparse che la produzione mi aveva concesso. Si festeggiava nella finzione lo sposalizio di due giovani contadini in una masseria di campagna dentro uno spazio dove si custodivano di solito il grano e le provviste ma che era alto e ampio come una chiesa. Il colpo d'occhio della tavolata colma di ogni ben di dio era perfetto, bellissime le luci, i costumi anni '30 sembravano veri. Decisi di girare subito il totale, registrando anche il suono di una fisarmonica che un ragazzino del posto suonava dal vivo. Poi avrei fatto i piani ravvicinati sugli attori principali, che erano Renato Carpentieri (allora debuttante di lusso) e il grande Volonté. Avevo dato un consiglio al mio aiuto: metti accanto a Gian Maria la più bella comparsa che abbiamo a disposizione. magari una donna anziana, un viso che non sfiguri quando faremo le inquadrature più strette sul giudice e ce la troveremo in campo, seduta accanto a lui. Ciak, motore, azione. Era la classica veduta d'insieme che doveva, come si dice, dare il senso dell'ambiente e collocare nel contesto i protagonisti. Pensavo di girarne un minuto scarso e poi regolarmi in montaggio, ma, preso da quello che vedevo davanti alla cinepresa, andai un po' più oltre e aspettai a dare lo stop. Lo diede in vece mia, alzandosi di scatto e buttando giù mezzo tavolo, un Volonté trasformato all'improvviso in belva feroce. ‘Mi avete rotto i coglioni con questo cinema verità! Ma che cazzo volete da me? Adesso basta! Andatevene affanculo!’ E barcollando uscì dal set sotto gli occhi esterrefatti di tutti. La fisarmonica scivolò dalle mani del ragazzino e cadde in un silenzio da paura. Quello che era successo lo seppi il giorno dopo. La vecchia ultranovantenne che il mio aiuto gli aveva messo accanto, guardandolo bene gli aveva mormorato, con le lacrime agli occhi: ‘Ma allora non è vero che siete morto? Alla televisione hanno fatto vedere che v'avevano sparato... meno male che state bene... Come sono contenta, onorevole Moro!’. Un altro attore avrebbe sorriso con una stretta al cuore, magari lusingato. Non Gian Maria Volonté. Per il quale ogni elogio suona banale. Ma che soffriva del suo immenso talento, era un uomo fragile e se ne vergognava.”
Stupendo, vero?

Gianni Amelio trae un film di alto impegno civile e di forte impatto pur nel rifiuto della facile spettacolarità, rivelandosi un vero capolavoro di sobrietà e di tensione morale. Una storia di ieri che però dovrebbe valere anche per l’oggi e speriamo per il nostro domani.
Oltre alla “ordinarietà” della bravura dell’attore protagonista, una menzione va fatta per Ennio Fantastichini. Da notare che il titolo è preso da un detto popolare: “durante il fascismo si dormiva con le porte aperte”, che è la frase che viene ironicamente commentata dal protagonista in uno scambio di battute con un collega.
Riconoscimenti
1991 - Premio Oscar
Candidatura miglior film straniero
1990 - European Film Awards
Miglior film
Premio speciale della giuria a Gian Maria Volonté
Prix Fassbinder a Ennio Fantastichini
Miglior fotografia
1990 - David di Donatello
Miglior film
Miglior attore protagonista a Gian Maria Volonté
Migliori costumi
Miglior sonoro
Candidatura miglior regista
Candidatura miglior produttore
Candidatura migliore sceneggiatura
Candidatura miglior attore non protagonista a Ennio Fantastichini
Candidatura miglior fotografia
Candidatura migliori scenografie
Candidatura miglior montaggio
1991 - Nastro d'argento
Regista del miglior film
Migliore attore non protagonista a Ennio Fantastichini
Candidatura migliore attore protagonista a Gian Maria Volonté
Candidatura migliore sceneggiatura
1990 - Globo d'oro
Miglior film
Miglior attore a Gian Maria Volonté
Miglior sceneggiatura
1991 - Ciak d'oro
Miglior attore non protagonista a Ennio Fantastichini
Migliore sceneggiatura











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