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Io confesso (1953)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 4 feb 2024
  • Tempo di lettura: 3 min
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Io confesso

(I Confess) USA 1953 poliziesco 1h35’

 

Regia: Alfred Hitchcock

Soggetto: Paul Anthelme (dramma teatrale “Nos Deux Consciences”)

Sceneggiatura: George Tabori, William Archibald

Fotografia: Robert Burks

Montaggio: Rudi Fehr

Musiche: Dimitri Tiomkin

Scenografia: Ted Haworth

Costumi: Orry-Kelly

 

Montgomery Clift: padre Michael Logan

Anne Baxter: Ruth Grandfort

Karl Malden: ispettore Larrue

Otto Eduard Hasse: Otto Keller

Brian Aherne: Willy Robertson

Roger Dann: Pierre Grandfort

Dolly Haas: Alma Keller

Charles Andre: padre Millars

Judson Pratt: det. Murphy

Ovila Légaré: Villette

Gilles Pelletier: padre Benoit

 

TRAMA: Otto Keller e sua moglie Alma lavorano come custode e governante in una chiesa cattolica a Québec City, Canada. Mentre deruba una casa dove a volte lavora come giardiniere, Otto viene sorpreso e uccide il proprietario. Tormentato dal senso di colpa, torna alla chiesa dove padre Michael Logan lavora fino a tardi e confessa il suo crimine, ma quando la polizia inizia a sospettare di padre Logan, egli non può rivelare ciò di cui è al corrente perché gli è stato detto nella confessione.

 

Voto 7,5

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Pochi film del maestro Hitchcock hanno avuto una vita tormentata come questo, sofferto sin dalla nascita perché egli aveva qualche perplessità dovuto all’argomento e alle difficoltà di rappresentare il dramma etico e religioso nella maniera adeguata. Il soggetto era considerato già vecchio, derivato da un’opera teatrale di inizio ‘900, ma personalmente non capisco lo scetticismo di buona parte delle critiche, avendolo trovato invece appassionante su un tema così sofferto. Per fortuna furono i critici francesi più importanti (alcuni poi diventati registi) che salvarono i giudizi capovolgendoli in positivi. Dato inoltre la altrettanto tormentata storia di affetto all’interno della trama tra il prete ed una fedele, la scelta iniziale del regista nel ruolo di Ruth affidato all’attrice svedese Anita Björk, che giunse in Canada con l’amante ed il figlio illegittimo, fu scartata dai produttori della Warner Bros. a causa della tempesta mediatica causata dalla relazione tra Roberto Rossellini e Ingrid Bergman. Fu così che la parte andò alla brava Anne Baxter. E non pochi furono i problemi di collaborazione tra il regista ed il protagonista Montgomery Clift, attore dotatissimo, amato e in auge ma dal carattere non facile.

Religione, etica, importanza vitale della verità. Questi gli ingredienti morali che influiscono enormemente nello sviluppo della trama. Padre Logan (Montgomery Clift) ascolta la confessione di un assassino, ma non può ovviamente rivelare l’informazione ad alcuno, in nessun momento, per nessun motivo. Se poi si scopre che la vittima dell’omicidio stava ricattando il prete per una precedente storia d’amore che condivideva con Ruth Grandfort (Anne Baxter), e tutti i segnali iniziano a indicarlo come il principale sospettato, si cade in una spirale che non trova via d’uscita. Tutti lo credono colpevole, il vero responsabile non parla per salvarsi, chi è al corrente non rivela nulla, chi conosce la verità è morto: padre Logan subisce in silenzio. Anzi, la sua passività non lo aiuta, lo danneggia vieppiù. Questo sullo schermo. Nello spettatore la sensazione diventa addirittura frustrante e si crea un fastidioso clima di scomodità, un senso, diciamo, anticlimatico in cui pur conoscendo il dovere del prete non si riesce ad ammettere la sua inazione. E a volte, nel pubblico si avvertiva, come penso anche oggi a distanza di tanti anni, che tutto ciò non funzioni per aumentare l’energia del film. Incredibilmente per tanti è un aspetto negativo, non per me. E se Clift, da grande attore, fa sì che la sua interpretazione gelida e rigida del suo padre Logan non faccia che enfatizzare l’immobilità del personaggio, fa benissimo. Chi assiste al film con partecipazione sono convinto che soffre assieme a lui.

L’atmosfera cupa che ammanta l’intero film rischia di nascondere i vari elementi da thriller che non mancano mai nelle opere di Hitch, che invece hanno la loro importanza. Ma è anche chiaro e normale che il tema teologico e l’esplorazione della colpa personale sono basilari e vengono esaltati dalla narrazione e dalla drammaticità che Montgomery Clift e Anne Baxter sanno trasmettere momento per momento. Il film diventa così uno di quelli in cui lo spettatore vuole istintivamente intervenire, se fosse concesso, per urlare la verità e salvare dalla pena capitale, allora vigente, il povero innocente in abito talare. Da non dimenticare che gli obblighi della propria funzione sacra del prete sono poco comprensibili da parte dei non cattolici, che trovano inconcepibile che egli non dica la semplice verità. Ed è anche in questo che, secondo me, il film diventa ancor più un’opera degna del regista.

Montgomery Clift non è molto diverso da come si presentava in altri film, eppure quei primi piani che inquadrano il viso tirato e immobile, quasi inespressivo e che invece diceva tanto hanno un ruolo importante per aumentare il clima di tensione che perdura per tutta il tempo. Oltre alla bravura di Clift e Anne Baxter, il resto del cast, ad iniziare da Karl Malden, è molto azzeccato.

Opera minore per molti, per tanti altri, me compreso, ennesimo film del maestro da amare.



 
 
 

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