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JFK - Un caso ancora aperto(1991)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 3 gen 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 21 nov 2023


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JFK - Un caso ancora aperto

(JFK) USA/Francia 1991 dramma storico 3h9’


Regia: Oliver Stone

Soggetto: Jim Garrison (Sulle tracce degli assassini), Jim Marrs (Fuoco incrociato: Il complotto che ha ucciso Kennedy)

Sceneggiatura: Oliver Stone, Zachary Sklar

Fotografia: Robert Richardson

Montaggio: Pietro Scalia, Joe Hutshing

Musiche: John Williams

Scenografia: Victor Kempster

Costumi: Marlene Stewart


Kevin Costner: Jim Garrison

Kevin Bacon: Willie O'Keefe

Tommy Lee Jones: Clay Shaw / Clay Bertrand

Joe Pesci: David Ferrie

Laurie Metcalf: Susie Cox

Gary Oldman: Lee Harvey Oswald

Beata Pozniak: Marina Oswald

Michael Rooker: Bill Broussard

Jay O. Sanders: Lou Ivon

Sissy Spacek: Liz Garrison

Brian Doyle-Murray: Jack Ruby

Jack Lemmon: Jack Martin

Donald Sutherland: Mister X

John Candy: Dean Andrews

Edward Asner: Guy Bannister

John Larroquette: Pres. Jerry Johnson

Gary Grubbs: Al Oser

Wayne Knight: Numa Bertel

Jo Anderson: Julia AnnaMercer

Vincent D'Onofrio: Bill Newman

Pruitt Taylor Vince: Lee Bowers

Walter Matthau: senatore Long

Tomas Milian: Leopoldo


TRAMA: Il 22 novembre 1963, il Presidente degli Stati Uniti John Kennedy muore sotto i colpi di un cecchino mentre percorre, a bordo di un'auto scoperta, una via di Dallas. Dell'omicidio viene accusato Lee Harvey Oswald che poi viene quasi subito ucciso da un malvivente di nome Jack Ruby. Per quel che riguarda le indagini il caso sembra chiuso. Non è così per Jim Garrison, procuratore distrettuale di New Orleans, che s'intestardisce a cercare la verità, continua le sue ricerche e alla fine arriva ad una conclusione sorprendente: un complotto della Cia, in accordo con i boss dell'industria bellica, sarebbe stato all'origine dell'attentato.


Voto 8

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Chissà quando e se mai l’America metterà da parte l’assassinio del presidente Kennedy, che dilania ancora la memoria collettiva, come se i 26 secondi filmati da Abraham Zapruder - il sarto ucraino naturalizzato statunitense di origine ebraica, divenuto celebre per aver ripreso con una cinepresa 8 millimetri il corteo presidenziale di John Fitzgerald Kennedy a Elm Street nel momento dell'omicidio - siano marchiati a fuoco sulla retina di chi visse quei momenti drammatici con la più lunga diretta televisiva della storia statunitense, superata solo dagli altri tragici avvenimenti dell’11 settembre. Se le teorie cospirazioniste intorno a quel fatto sono nel tempo diventate la madre di tutti i complotti del mondo, lo si deve anche a questo film di Oliver Stone, regista che si sente sempre spinto dal suo irresistibile modo di andare a fondo nelle questioni, politiche o sociali, più spinose del suo Paese. Tra i vari punti chiave della sua indagine cinematografica (il secondo cecchino, la pallottola definita “magic bullet”, il sottobosco di fondamentali figure di contorno come Jack Ruby, i dubbi del procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison) Stone scava e cerca di mettere in luce e alla luce dell’attenzione mondiale i misteri che ammantano l’intera faccenda.

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Dà l’idea di essere una questione psicanalitica in cui il regista, che ha iniziato a fare film per affrontare i demoni ereditati dal Vietnam (come dimenticare Platoon?), affronta di petto l’affaire per elaborare il trauma dell’immaginario e l’unico strumento adeguato, almeno per un cineasta, non è altro che il cinema. Il prodotto finito è una specie di film documentato, un documentario fatto a modo di cinema, con tutte le doti che sono sempre state del regista e con la maestria di un cast tecnico di prim’ordine: la fotografia ora limpida ora sgranata di Robert Richardson; il frenetico montaggio (sempre determinante nei suoi film) di Pietro Scalia e Joe Hutshing; le musiche efficaci di John Williams, la presenza importante di molti attori importanti anche della vecchia guardia come Jack Lemmon e Walter Matthau. E poi il super 8, il bianco e nero, la grana grossa e i contrasti, la polvere degli interni e il fumo di sigaretta, la fotografia limpida degli esterni, un certo effetto smarmellato per i flashback. Il tutto raccontato con ritmo frenetico in una mistura di generi diversi che non disorientano, anzi alimentano la drammaticità nella visione: sembra una detective story, ma è anche un film-inchiesta, un legal drama, utilizzando la ricostruzione d’epoca, il melodramma familiare, il thriller cospirazionista, lo spionaggio come i film di una volta.

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Oliver Stone aveva fame di raccontare, girando cercava chiarezza in una caverna buia per distinguere le devianti fake news dalla verità e per condurci per mano nei meandri dei ricordi e della realtà chiede allo spettatore estrema attenzione, ma nello stesso tempo ci rendiamo conto come dimostri che è quasi impossibile districarsi e soprattutto comprendere. Fa nulla se può dare l’idea di un film a tesi, in cui cioè Jim Garrison è convinto che Lee Harvey Oswald fosse solo una pedina e che dietro l’omicidio ci sia un complotto ramificato, ordito per impedire a Kennedy di fermare la redditizia macchina della guerra, sia quella del Vietnam che quella cosiddetta “fredda”. Si riceve l’impressione che la ricerca di Oliver Stone abbia la stessa adrenalina che invadeva il procuratore quando di notte era tormentato dai dubbi e dagli anelli della catena impressa nella mente che non riusciva a collegare con gli altri.

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Il contenuto morale del film, nella sceneggiatura scritta a quattro mani dal regista con Zachary Sklar (il giornalista che incontrò Garrison nel 1987 e lo aiutò nella revisione di un manoscritto sull'assassinio di Kennedy al quale il giudice federale stava lavorando da diversi anni) è lasciato alle parole della commovente arringa finale del procuratore distrettuale, in cui dice che se le frequenti figure di assassini folli e solitari sono capri espiatori che “rimuovono le nostre colpe”, inseguire una teoria del complotto c’entra forse con la convinzione testarda che un futuro alternativo sarebbe potuto esistere, che le cose sarebbero potute andare diversamente. “Dipende da voi” dice Costner/Garrison agli spettatori/giurati. È la passione di un regista che cerca quella nostra. Ma d’altronde, ogni giorno sentiamo nei notiziari quante vittime semina la diffusione delle armi negli USA.

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Serviva uno stuolo di attori, prima di tutto bravi, ed ecco un ordinato, metodico, riflessivo Kevin Costner, lo sguardo consapevole e comprensivo di Sissy Spacek, la grinta di Kevin Bacon, la maschera di Tommy Lee Jones, il ghigno equivoco di Joe Pesci, la recitazione “sporca” del Gary Oldman giovane, e così via. Tanti piccoli ruoli per tanti grandi attori.

Opera forse retorica e paranoica ma la ricerca della verità non è spesso così?

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Riconoscimenti

1992 - Premio Oscar

Migliore fotografia

Miglior montaggio

Candidatura miglior film

Candidatura migliore regia

Candidatura miglior attore non protagonista a Tommy Lee Jones

Candidatura migliore sceneggiatura non originale

Candidatura miglior sonoro

Candidatura miglior colonna sonora

1992 - Golden Globe

Migliore regia a Oliver Stone

Candidatura miglior film drammatico

Candidatura miglior attore in un film drammatico a Kevin Costner

Candidatura migliore sceneggiatura


 
 
 

Commenti


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