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Judy (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 26 mag 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 8 giu 2023


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Judy

UK/Francia/USA 2019 dramma biografico 1h58’

Regia: Rupert Goold

Soggetto: dall'opera teatrale di Peter Quilter (End of the Rainbow)

Sceneggiatura: Tom Edge

Fotografia: Ole Bratt Birkeland

Montaggio: Melanie Oliver

Musiche: Gabriel Yared

Scenografia: Kave Quinn

Costumi: Jany Temime

Renée Zellweger: Judy Garland

Darci Shaw: Judy Garland giovane

Finn Wittrock: Mickey Deans

Rufus Sewell: Sidney "Sid" Luft

Michael Gambon: Bernard Delfont

Jessie Buckley: Rosalyn Wilder

Bella Ramsey: Lorna Luft

Andy Nyman: Dan

TRAMA: Judy Garland, leggendaria artista, nel 1968 arriva a Londra per tenere una serie di concerti. Per lei si tratta di un periodo non felice: la sua situazione finanziaria non è delle migliori e la sua vita privata è un completo disastro.

Voto 6,5

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Ancora un biopic, ancora un attore, o attrice che sia, che sa immedesimarsi e rendere al meglio il personaggio. Non sempre questo tentativo è riuscito appieno, a volte è risultato persino un esperimento mal riuscito. Diverse volte invece ha fatto centro: Renée Zellweger ha fatto semplicemente boom! Quando il regista Rupert Goold inquadra di profilo la silhouette dell’attrice, pettinata a dovere, seduta pensosa, Renée è proprio Judy Garland. Il motivo per cui sia riuscita così appieno va ricercato principalmente ad una parvenza di similitudine di traiettoria di carriera, anche se rimane non paragonabile neanche minimamente. Chi non conosce la linea della vita dell’artista americana sarà bene che guardi il film, tenendo presente che quella invece della Zellweger ha avuto, purtroppo per lei, dei timidi punti di parallelismo.

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L’attrice statunitense non è mai riuscita a liberarsi completamente del personaggio che l’aveva ribattezzata come Bridget Jones. È passata attraverso buonissimi film (Chicago, Ritorno a Cold Mountain, Jerry Maguire, il primo dopo il trionfo dei diari) e poteva ritenersi soddisfatta ma la popolarità guadagnata nella commedia che l’aveva lanciata nell’alto dei cieli del cinema non era più raggiungibile e ha corso il rischio di percorrere la stessa discesa pericolosa della mitica Judy. Del prima e dopo la chirurgia plastica se ne è parlato troppo e tanti di noi hanno passato il tempo a rimirare le foto del dopo, riflettendo sul tempo che passa per tutti e non tutti accettiamo i cambiamenti. Poi è arrivato questo film e il destino le ha sorriso di nuovo. Anzi, una certa statuetta dorata si è fatta prendere in mano mentre lei ha fatto il suo sorriso smorfioso che l’ha sempre identificata: meglio di così!

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Con una regia che ha sicuramente cercato di asservire il talento naturale e la rassomiglianza “avvenuta” dell’attrice, senza fare capriole registiche o cercare grandi riprese, con una sceneggiatura fondamentalmente ordinaria, il miracolo lo hanno compiuto in due: l’attrice e il personaggio, passato alla storia con il nome di Judy Garland. Una vita drammatica, resa tale dallo sfruttamento delle sue notevoli doti sin da adolescente. Tutti volevano il massimo da lei, principalmente i produttori, che vedevano dollari negli occhi, nella voce, nell’enorme talento di quella ragazza nata Frances Ethel Gumm. Presenza scenica che attirava l’attenzione, voce sicura e duttile, la ribattezzata dallo star system Judy fu sfruttata sin dai primi passi sul set e sui palchi. Non poteva sgarrare che veniva subitaneamente rimessa in carreggiata da produttori ingordi, mariti a go-go, figli che amava ma era costretta ad abbandonare per racimolare soldi che non bastavano mai, in giro per il mondo quando l’America l’aveva tradita. E soprattutto sigarette, alcol, farmaci di ogni genere che la portavano a saltare continuamente i pasti regolari. Magra, voce rovinata dalla cattiva esistenza. Stava in piedi solo con la forza dei nervi e delle sostanze farmaceutiche. Quanto poteva durare?

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C’era solo una cosa che la teneva viva veramente e che la spingeva avanti sebbene con grande fatica fisica e psicologica: il palcoscenico dove esibirsi con le sue amate canzoni, gli applausi del pubblico. Ma nello stesso tempo quel luogo e quelle persone erano una trappola, una voragine in cui cadeva rovinosamente. Quando infatti quella fatica non era supportata dagli incoraggiamenti di chi le voleva bene sul serio o quando la sovrastava, ecco che crollava, sbandava, insultava gli spettatori che la deridevano e che le lanciavano di tutto. Una vita che era divenuta insopportabile, con il pensiero angosciante rivolto ai due bimbi lasciati negli Stati Uniti, mentre dalle cinque settimane al The Talk of the Town, celebre teatro londinese trasformato un decennio prima in nightclub, sperava di raccogliere il denaro sufficiente per ripagare i tanti debiti e regalare finalmente una casa propria (e soprattutto fissa, sogno mai realizzato) a loro. Traguardo che da ultimo le avrebbe regalato serenità. Forse. Londra era una delle ultime città al mondo che nutriva ancora ricordi piacevoli di Judy Garland. Ecco perché per lei rappresentava non solo la possibilità di guadagnare qualcosa ma anche l'opportunità di dimostrare ai detrattori e a se stessa di essere ancora in grado di domare il palco. Soggiornando nella capitale inglese, la Garland ha avuto modo di conoscere Rosalyn Wilder, la persona che più di ogni altra le è stata vicina in quei giorni e ha potuto testimoniare quanto fosse una donna sola, fragile ed emotivamente sconvolta.

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Renée Zellweger cerca di dare a Judy tutte le ansie, le angosce, le paure, gli enormi vuoti di affetto, le crisi mentali, le scene isteriche, diventando essa stessa il personaggio, entrandovi per viverlo da dentro. Smorfiette, tic, tremolii, tanti elementi, che a volte paiono esagerati, che le servono per esternare la Judy in cui si è letteralmente trasfigurata, manifestando un pathos che non le sarà stato molto semplice, ma lei è diventata l’altra e ne ha assunto le sembianze oltre che la psiche. Forse non si è sentita lontana da Judy, forse l’ha capita veramente a fondo, per questo le è riuscita in maniera impressionante. E che poi abbia vinto tutti i premi possibili dall’Oscar in giù è parso solo consequenziale ad una interpretazione che si può definire solo performance superlativa. Il film invece, che viene giustamente annoverato tra le produzioni indie, con capitali soprattutto britannici, anche se non ha la forza dirompente che può caratterizzare i biopic più riusciti, è un’opera dignitosa che si affida integralmente all’attrice protagonista. Rupert Goold, che ha fatto un po’ di tutto nel cinema, ha più che altro esperienze televisive e adesso che si è fatto notare vedremo se ha in serbo altre idee. Una menzione a parte per la brava Jessie Buckley che interpreta molto bene e con efficacia la fedele Rosalyn Wilder, la donna che il produttore inglese Bernard Delfont (Michael Gambon) le aveva messa a disposizione e che ben presto era diventata la più fedele e affezionata amica del mondo.

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Mentre Renée Zellweger si gode il meritato successo, ricordiamo che Judy Garland ci lasciò molto presto, a soli 47 anni, sei mesi dopo la tournée inglese e adesso riposa finalmente in pace nel mondo di Oz, sotto un arcobaleno.


Riconoscimenti

2020 - Premio Oscar

Migliore attrice a Renée Zellweger

Candidatura per il miglior trucco e acconciatura

2020 - Golden Globe

Migliore attrice in un film drammatico a Renée Zellweger



 
 
 

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