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Katyn (2007)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 apr 2023
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 15 mag 2023


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Katyn

Polonia 2007 dramma storico 2h2’


Regia: Andrzej Wajda

Soggetto: Andrzej Mularczyk (romanzo ‘Postmortem’)

Sceneggiatura: Andrzej Wajda, Przemyslaw Nowakowski, Wladyslaw Pasikowski

Fotografia: Paweł Edelman

Montaggio: Milenia Fiedler e Rafal Listopad

Musiche: Krzysztof Penderecki

Scenografia: Magdalena Dipont

Costumi: Magdalena Biedrzycka


Artur Żmijewski: Andrzej

Maja Ostaszewska: Anna

Andrzej Chyra: tenente Jerzy

Danuta Stenka: Róza

Jan Englert: generale

Magdalena Cielecka: Agnieszka


TRAMA: È la storia della tragedia di una generazione seguendo la storia di quattro famiglie polacche le cui vite sono state devastate nel momento in cui, proprio all'inizio della Seconda guerra mondiale, un grande numero (oltre 20.000) di soldati polacchi, finiti nelle mani delle truppe sovietiche, sono stati massacrati e gettati nelle fosse comuni.


Voto 7,5

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Della folle stupidità della guerra se ne è parlato tante volte ma non è bastato mai, anche per gli innumerevoli casi in cui la disumanità delle braccia armate si è manifestata. In ogni luogo, in ogni occasione. Un elenco infinito. Il grande Andrzej Wajda, che spesso si è impegnato a narrare le vicende tragiche del suo Paese, trae, in uno dei suoi ultimi lavori, un film agghiacciante da una storia realmente accaduta, nota come “Il massacro della foresta di Katyn”, di cui per molti anni fu nascosta la verità, dal momento che la responsabilità fu storicamente rimpallata tra le forze sovietiche e quelle naziste.

Si tratta dell'esecuzione sommaria di circa 22.000 tra ufficiali, politici, giornalisti, professori e industriali polacchi da parte del Commissariato del popolo per gli affari interni (la russa NKVD) nei pressi della foresta di Katyn, vicino al villaggio di Gnëzdovo, a circa 20 km ad ovest della città di Smolensk.

Il fatto, avvenuto tra l'aprile e il maggio del 1940, si riferiva inizialmente al massacro dei soli ufficiali polacchi detenuti del campo di prigionia di Kozielsk, ai quali successivamente vennero inclusi i prigionieri di guerra dei campi di Kozel'sk, Starobil'sk e Ostaškov e i detenuti delle prigioni della Bielorussia e Ucraina occidentali, fatti uccidere su ordine di Stalin nella foresta e nelle prigioni di Kalinin, Kharkiv e di altre città sovietiche. La scoperta del massacro fu annunciata il 13 aprile 1943 da Radio Berlino, che ne attribuì la responsabilità ai sovietici, mentre in seguito i tedeschi furono accusati di aver compiuto la strage dal pubblico ministero Roman Rudenko durante lo svolgimento del processo di Norimberga, sebbene la responsabilità fosse in realtà dei sovietici. Stalin, per ritorsione, decise la rottura delle relazioni diplomatiche con il governo polacco in esilio a Londra. Anche dopo la sua morte, l'URSS negò le accuse, forte delle confessioni tedesche rese a Norimberga, ma fino al 1990, quando riconobbe l'NKVD come responsabile del massacro e della sua copertura.

Terribile!

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Sin dalle prime immagini del film, il regista ci apre uno squarcio su ciò che sta accadendo nella martoriata nazione: il fumo si dirada e si può notare una massa enorme di rifugiati che si bloccano mentre si accingono ad attraversare un ponte. Stanno fissando confusi qualcosa. Cos'è? Si scopre che stanno guardando altri rifugiati, che si dirigono verso di loro. È il settembre del 1939 e su un lato del ponte le persone fuggono dall'invasione nazista della Polonia occidentale, dall'altra parte fuggono dall'invasione russa della Polonia orientale. Potrebbe esserci una migliore rappresentazione visiva della miseria del popolo polacco all'inizio della Seconda guerra mondiale? Non avere nessun posto dove rivolgersi? Non avere un posto sicuro? E di essere all'alba dell'inferno assoluto? Poi Wajda avvicina la cinepresa, tra la folla. Vediamo i volti della gente. Sembrano persone perbene, ben vestiti, ma ovviamente spaventati e disorientati. Fino a questo momento non hanno mai conosciuto momenti difficili. Hanno appena preso ciò che ritengono essenziale e sono fuggiti, forse solo poche ore prima. Un cane senza padrone, bambini i cui volti stanno appena iniziando a capire che i loro genitori non possono più proteggerli…

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In breve, vediamo l'invasione della Polonia nel modo in cui Andrzej Wajda vuole che la vediamo, non come un fatto storico di cui oggi, comodamente, anche se disturbati, discutiamo delle peggiori storie della guerra, ma come l'incubo umano che non lo ha mai abbandonato. Per lui è un fatto profondamente personale perché tra quei militari presi in ostaggio e poi barbaramente uccisi c’era anche suo padre, che qui inserisce come uno dei personaggi dandogli addirittura il proprio nome di battesimo. Che non era un vero militare ma un semplice riservista. Vuole farci partecipi del suo dramma personale.

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La sceneggiatura, scritta dallo stesso Andrzej Wajda assieme a Przemyslaw Nowakowski e Wladyslaw Pasikowski, descrive la storia semi-immaginaria di un ufficiale polacco (Artur Żmijewski), che inizia a scrivere un diario della prigionia, e di sua moglie (la straordinaria Maya Ostaszewska) e della figlia, che devono sopportare il tormento di non sapere se è vivo o morto, oltre al pericolo insito nell'essere la moglie di un ufficiale polacco. Attraverso questi personaggi e la loro cerchia, in qualche modo viene rappresenta tutta la storia della Polonia durante la guerra e le sue immediate conseguenze. Semi-immaginaria, dicevo, perché il diario che ricostruisce gli avvenimenti giorno per giorno è esistito per davvero e non è quindi un espediente narrativo, ma corrisponde parola per parola alle annotazioni del maggiore Adam Solski, trovato nel 1943 dai tedeschi addosso ad uno degli ufficiali fucilati a Katyn.

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L’orrore della guerra si può rappresentare nel cinema sia facendo solo immaginare le bruttezze, sia mostrando sequenze raccapriccianti, puntando più che altro sulla violenta spettacolarità delle battaglie (come ampiamente dimostrato nel bellissimo Niente di nuovo sul fronte occidentale). Nel caso specifico il compianto Andrzej Wajda porta avanti gran parte del film puntando sul primo metodo ma nelle scene finali decide di spiegare con chiarezza cosa ha voluto dire il caso chiamato “Il massacro della foresta di Katyn”, mostrando, senza retorica, la catena di montaggio delle esecuzioni. Gli uomini vengono prelevati dagli autobus uno per uno, i loro nomi spuntati da una lista, poi camminano rapidamente verso il loro luogo di morte e uccisi con un proiettile al cranio. I loro corpi cadono in fosse comuni con un ordine spietatamente ordinato, cadendo fianco a fianco e sepolti dai bulldozer.

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È così che Wajda ha voluto commemorare e dare riposo a queste persone, ai loro nomi, alla Polonia e alla Storia, con un film che rievoca con toni asciutti e solenni la barbarie di quello che per molti fu un vero genocidio, con il quale i russi vollero cancellare l’intellighenzia del Paese, visto che i morti erano per lo più riservisti, di professione ingegneri, artisti, professori. Nello stesso tempo ha voluto omaggiare le donne che soffrirono e sceglie un punto di vista al femminile: Anna, Agnieszka, Ewa, Weronika, che come le altre, perdono mariti, padri, figli e fratelli e per tutta la vita lottarono contro un muro di menzogne che voleva seppellire la verità

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Riconoscimenti

Premio Oscar 2008:

Candidatura miglior film straniero


 
 
 

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Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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