Kimi - Qualcuno in ascolto (2022)
- michemar
- 7 mar 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 11 mag 2023

Kimi - Qualcuno in ascolto
(Kimi) USA 2022 thriller 1h29’
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: David Koepp
Fotografia: Peter Andrews (Steven Soderbergh)
Montaggio: Mary Ann Bernard (Steven Soderbergh)
Musiche: Cliff Martinez
Scenografia: Philip Messina
Costumi: Ellen Mirojnick
Zoë Kravitz: Angela Childs
Byron Bowers: Terry Hughes
Jaime Camil: Antonio Rivas
Erika Christensen: Samantha Gerrity
Derek DelGaudio: Bradley Hasling
Robin Givens: madre di Angela
Charles Halford: killer
Devin Ratray: Kevin
Jacob Vargas: killer
Rita Wilson: Natalie Chowdhury
Alex Dobrenko: Darius Popescu
TRAMA: Un'esperta di tecnologia, affetta da agorafobia, scopre un video che ritrae le prove di un crimine violento. Finirà però per scontrarsi con i suoi superiori e le sue paure più profonde.
Voto 7

A Seattle, durante la pandemia del covid, Angela Childs è una addetta all’ascolto delle numerose persone che in casa utilizzano gli assistenti virtuali e “intelligenti”, uno di quei diabolici congegni (vedi Alexa, Google, Siri ed altri meno noti) inventati per interagire tramite comandi vocali e in grado di eseguire ordini semplici come accendere un apparecchio, le luci, mettere musiche e via dicendo. Lo scopo di tale lavoro non è quello, almeno secondo le dichiarazioni ufficiali della Amygdala, l’azienda tecnologica che gestisce l’assistente “Kimi”, di spiare la gente in casa e trarne mediante l’algoritmo le preferenze a fini commerciali, bensì ha un compito ben preciso: correggere i normali e ricorrenti errori di comprensione, da parte del congegno, dei comandi ricevuti. La ragazza passa tutto il giorno in cuffia ad ascoltare i dialoghi tra gli umani e il robottino e se si accorge delle reazioni e delle risposte sbagliate vi deve porre rimedio con il suo computer. Ciò significa trascorrere tutta la giornata lavorativa in ascolto e digitare le correzioni alla tastiera. Un continuo lavoro da remoto che lei svolge con molta competenza e rapidità, costringendola a stare praticamente sempre in casa, nel suo loft posto in un grande e moderno edificio. È talmente abituata a passare le tante ore di lavoro in casa che le costrizioni imposte durante la pandemia non solo non hanno cambiato molto le sue abitudini, ma addirittura si è acuita di gran lunga la sua innata (o sopraggiunta) agorafobia, fino al punto che il vano tentativo di aprire la porta dell’abitazione ed uscire per strada la blocca tremante e terrorizzata al solo pensiero. Il suo armadietto delle medicine trabocca di farmaci e ne è totalmente dipendente.

Un giorno, tra un ascolto e l’altro, tra una correzione e l’altra, succede che capta la voce di una donna che aziona il suo Kimi perché teme che chi le ha suonato alla porta sia un malintenzionato. Ed infatti, nel trambusto che ne segue, riesce a percepire, nonostante i forti rumori di fondo, che è stata sicuramente uccisa. Per essere certa che davvero il crimine sia stato commesso, esamina meglio la registrazione e mediante un sofisticato apparecchio che scansiona il suono, riesce ad isolare le voci e ne ottiene la certezza. Ora, ad Angela, tocca far presente il grave episodio ai suoi superiori affinché si proceda con una denuncia presso l’FBI (internet è considerato interstatale), ma ben presto si accorge che qualcosa non quadra, notando sia quanto i funzionari vogliono assolutamente la registrazione, sia l’ordine di cancellarla dal suo archivio immediatamente dopo. Facendosi coinvolgere dalla vicenda e dalla necessità di lanciare l’allarme, si rende conto che deve affrontare la sua più grande paura avventurandosi fuori dal suo appartamento e nelle strade della città piene di gente. Infatti, viene convocata presso la sede della società per un colloquio con una importante funzionaria per consegnarle la chiavetta contenente il file. Dopo essere uscita con grande difficoltà dal suo loft, atterrita dalla gente, scansando le persone, bardata con l’immancabile mascherina anticovid, nell’ufficio dove viene ricevuta i dubbi vengono confermati e il film, dopo un inizio esplorativo, prende subito l’indirizzo di un thriller mozzafiato che, al ritmo infernale che solo i grandi registi sanno imprimere, terrà in ansia sino al termine.

È evidente, dalla breve sinossi, come siamo in perfetto clima “effetto Soderbergh”, un autore prolifico che ama mescolare il giallo drammatico con i lati più profondi della psicosi umana, fatto di personaggi che vedono sempre ombre e trame sotterranee, che esistano o meno. Abile come sempre a trattare i suoi attori e le immagini (firmandosi con pseudonimi alla fotografia e al montaggio), c’è da aspettarsi di tutto. E difatti succede. Il regista non tralascia, in un tourbillon di eventi pericolosi, di trarre ispirazione da La finestra sul cortile e da Blow Out: evidenti risultano le citazioni della sceneggiatura e delle immagini che ricorrono e che ci fanno venire in mente le particolarità derivate da maestri quali Hitchcock e De Palma. C’è chi osserva dalla propria finestra ciò che avviene nell’appartamento di Angela mediante un cannocchiale, lei che ha ascoltato in cuffia i rumori sospetti che indicano l’irreparabile. Ma Steven Soderbergh fa anche tanto di suo, con grande abilità, tenendo sulle spine non solo la povera protagonista ma anche lo spettatore che viene coinvolto in una storia dagli esiti imprevedibili, che vede anche un filone parallelo fatto di trame illecite e ricatti, tra personaggi altolocati e un trio di killer professionisti che non vanno certo per il sottile, soprattutto quando ricevono l’ordine di eliminare la ragazza che sapeva troppo (cit.).

La trama è avvincente e coinvolgente, molto apprezzabile, nonostante sia un cliché già visto parecchie volte, allorquando una persona comune entra fortuitamente ma sfortunatamente in un vortice letale. L’unico appunto che andrebbe fatto è che (senza spoilerare troppo il gran finale) se Angela è una ragazza – intelligente e molto abile con la tecnologia moderna – certamente non abituata all’azione, maggiormente limitata dalla sua fobia per l’esterno e le persone - non frequenta alcuno e l’unica variazione alla sua monotonia consiste solo nel ricevere in casa l’avvocato del palazzo di fronte per fare sesso, cambiando subito dopo lenzuola e federe, l’igiene è un’altra ossessione – è straniante vederla all’opera nella parte della storia in cui deve difendersi fisicamente e pronta a reagire, fino al livello che neanche lei avrebbe immaginato. Figuriamoci noi spettatori. Ma sarebbe, per un autore poliforme come il nostro, riduttivo – a dir poco – parlare di un semplice thriller. Ancora una volta per Steven Soderbergh il fulcro del discorso è nei rapporti e negli squilibri del potere, dei rapporti tra la gente comune e gli apparati che (ci) controllano, nell’impotenza degli individui quando entrano nel vortice e nei meccanismi perversi delle strutture del potere. E questa volta, ancora una volta, si riaffaccia la paura dei batteri, dei virus, dei nemici impalpabili, come era successo in Contagion e Effetti collaterali. O malattie anche mentali come il sottovalutato Unsane. Un elemento stavolta si aggiunge a questi soliti: la violenza sulle donne, sia sulla stessa Angela o sulla Samantha ascoltata sull’onda di Kimi (si rivede Erika Christensen, la ragazzina di Traffic).

Il terrore, il panico, le reazioni pronte e improvvisate si condensano in un unico personaggio, quella Angela Childs che tanto è abile con il cervello e con le mani su una tastiera o sui più sofisticati congegni elettronici ma che è anche e soprattutto una bella ragazza fragile, sola, spaventata dell’aria aperta, che Soderbergh fotografa, una volta lontana dalle pareti protettive dell’appartamento e dell’edificio di fronte che appare incredibilmente così vicino, nelle strade di Seattle con il grandangolo che spalanca la visione non solo nostra ma specialmente della giovane, che così si ritrova in spazi che avverte enormi, allargati, pieni di insidie. Traendone motivi validi alle sue paure: i passanti e gli automobilisti paiono sconosciuti e noncuranti ed invece sono reali pericoli minacciosi. Il balzo continuo e progressivo tra zone psicologiche che tranquillizzano o che allertano lui lo gioca come jolly e nelle sue mani è una carta, infatti, vincente. Si era mai visto una sparachiodi come un’arma?

Il suo estro è sempre lucido e luccicante, è capace di lavorare a ritmo infernale con (almeno) un film all’anno – fatta eccezione per una pausa di un breve periodo – confezionati nei generei più svariati, che spaziano dai biografici (memorabile il suo Che) ai thriller e alle commedie più spensierate (vedi la trilogia di Ocean’s), ma spesso tornando sugli argomenti che inquietano. Questo è un film che ha girato poco o per nulla come nelle sale italiane, andando solo in streaming sulla HBO Max ed ora sulla piattaforma di Sky Cinema ed è un peccato, perché lo è sempre perdere un film del regista di Atlanta, perché se questo può sembrare un piccolo lavoro è invece un riuscitissimo flash sulla vita e la società odierna malata di virus e controlli invisibili. E gran merito va a quella bella ragazza figlia d’arte chiamata Zoë Kravitz, ora più che mai più attrice che cantante: il suo aspetto spigoloso ma sensuale è una perfetta, impaurita e determinata Angela Childs, forse nel suo miglior impegno, recitando al meglio il trauma e le molteplici fobie del suo personaggio, senza però appoggiarsi su di esse come stampelle. Capisce (e meno male) che alle persone agorafobiche non serve alcunché piangersi addosso in un angolo della casa, spostando la sua inaspettata forza nella routine della Angela della prima metà del film verso la più potente della seconda metà. Quando intuisce che per cavarsela deve togliere la mascherina, come un riscatto dalle paure che la conciavano al peggio, la nostra eroina diventa un angelo della liberazione. Di sé, di un suo simpatizzante dirimpettaio che si era precipitato in aiuto, della verità sul caso. Ma per fare ciò ha dovuto e saputo dissipare le fobie che la angosciavano.
Fatto un doveroso elogio per lo sceneggiatore David Koepp, autore di numerosissimi successi che hanno fatto la fortuna dei migliori registi, la conclusione va meritatamente a lei, quindi, a Zoë Kravitz, attrice che sta crescendo, lo dimostra proprio qui, e l’occasione da protagonista non l’ha affatto sprecata, grazie anche a chi l’ha voluta e saputa dirigere.
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