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L'accabadora (2015)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 ott 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

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L'accabadora

Italia/Irlanda 2015 dramma 1h37’

Regia: Enrico Pau

Sceneggiatura: Antonia Iaccarino, Enrico Pau, Igor Tuveri

Fotografia: Piers McGrail

Montaggio: Andrea Lotta, Johannes Nakajima

Musiche: Stephen Rennicks

Scenografia: Marco dentici

Costumi: Stefania Grilli

Donatella Finocchiaro: Annetta

Barry Ward: Albert

Sara Serraiocco: Tecla

Anita Kravos: madre di Annetta

Carolina Crescentini: Alba

Federico Noli: Bastiano

TRAMA: Alla fine degli anni Trenta, la trentacinquenne Annetta, una donna solitaria e silenziosa sempre vestita di nero, vive in un piccolo centro nelle campagne sarde. Custodendo un terribile segreto del passato, passa le giornate nell'attesa di una chiamata e, quando ciò avviene, apre una vecchia sacca contenente una mazzuola di legno, un vecchio cuscino e uno specchietto spaccato. Da quel momento, qualcosa di imprevisto la porterà a Cagliari e le cambierà la vita, facendole scoprire di potersi staccare dal suo ruolo di accabadora, figura della tradizione sarda il cui compito è aiutare i morenti a trapassare.

Voto 7


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Prima di tutto mi ha colpito il titolo per me incomprensibile: cosa mai poteva significare? Guardando il film e cercando nel web scoprii che ha un significato davvero particolare, un “mestiere” che sa di donne diverse, antiche, che vivono lontano dalla comunità umana ritenendole necessarie solo nei casi che la tradizione prevede. Donne di cui, nei tempi in cui si presume adempivano alla loro funzione, si preferiva non parlare, anche perché vivevano un po’ fuori dal contesto delle piccole comunità e si invocavano solo al momento necessario. Non una strega, non una fattucchiera, non una specialista per scacciare il malocchio, ma una persona più o meno isolata a cui affidavano la fine del dolore fisico della persona amata che giaceva in casa. Uomini sofferenti, bambini colpiti prematuramente da malattie, per quei tempi e in quei posti, inguaribili. Eppure, ufficialmente è un mestiere mai esistito. L'accabadora nel folclore e nella storia popolare sarda è dunque una donna vestita di nero che aveva un compito del tutto particolare nel mondo rurale, quello di portare la morte a persone di qualunque età nel caso in cui queste fossero in condizioni di malattia tali da portare i familiari o la stessa vittima a richiederla. Oggi si direbbe eutanasia e già sarebbe una definizione medico-scientifica, in verità non molto lontana da quella usanza, che ingentilisce e rende accettabile quello che allora era quasi un rito pagano.


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Siamo nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e nella campagna l’eco della guerra è rappresentato dall’assenza degli uomini validi, tutti partiti per il fronte, specialmente per quello balcanico. Mamme, mogli, in tante attendono un fantomatico ritorno, sicure che prima o poi vedranno all’orizzonte il loro uomo tornare stanco e sporco ma vivo. E intanto le case restano vuote. Quando la protagonista accabadora Annetta, che soffre per il mestiere per cui è stata allevata (“È la fossa in cui mi hanno sepolta da bambina”), dopo essere intervenuta al capezzale di alcuni abitanti del suo piccolo villaggio di campagna, fatto di case di sassi, parte per Cagliari, dato che l’ultimo e mentalmente faticoso intervento è stato per sollevare dalle pene fisiche addirittura sua sorella. Lì scoprirà prima di tutto la difficile vita di un luogo continuamente bombardato dagli aerei, e secondo le tribolazioni che le arrecherà la nipote Tecla, figlia della sorella. Ragazza irrequieta, ribelle, difficile da tenere a freno. Il tragico destino di Annetta e di sua nipote troverà l’epilogo nel finale, in coincidenza con il bisogno terreno della donna di provare, non dico a sorridere per una volta nella vita, ma almeno ad accostarsi ad una vita più normale, con l’avvicinarsi di un uomo. E finalmente il primo bacio.


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Enrico Pau, affermatosi con altri tipi di film, come Jimmy della collina o Pesi leggeri, filma e segue questo angelo della morte interpretato da quell’attrice magnifica che sa essere Donatella Finocchiaro, concentrata e trattenuta, donna dell’oggi che sa essere sempre una figura d’altri tempi. Straordinaria per come è stata (de)scritta dal regista, Antonia Iaccarino e dal mitico Igort, partendo dal personaggio di un fortunato romanzo di Michela Murgia – Accabadora, da cui solo il personaggio - in cui viene descritta questa misteriosa donna, definita dalla scrittrice e dalla tradizione anche “bambina generata due volte”, essendo stata la donna del libro, Maria Listru, adottata da una vedova benestante senza figli che non è mai stata sposata, quindi cresciuta dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. Lo sguardo di Donatella Finocchiaro è ancora una volta la carta vincente di un film, nero, profondo, carico di sentimenti di ogni tipo: dall’urlo frenato al dolore imploso, dall’affetto che vuole esternarsi manifesto all’amore che comincia a conoscere. Grande attrice, ben accompagnata dalla allora giovanissimo Sara Serraiocco, sempre adatta a personaggi complessi, pieni di ribellione e di limitazioni subite, pronta a scappare. Proprio come in altre sue occasioni ottimamente sfruttate dalla sua particolare propensione a certi ruoli.


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Film potente che sorprende, di una storia che indica tormenti attuali e desideri di rinnovamento, recitato da un cast al femminile di alta levatura. Le “Femmine Accabadore”, le donne che davano la “buona morte ai malati terminali, per qualcuno sono realmente esistite nei villaggi della Sardegna rurale fino alla metà degli anni 50. Per l’Antropologia ufficiale sono solo una leggenda. Per gli scrittori, i registi e gli sceneggiatori sono una tentazione irresistibile. (Titoli di coda)

Una curiosità finale: nel cast c’è anche Barry Ward, che abbiamo conosciuto meglio nel bellissimo Jimmy's Hall - Una storia d'amore e libertà (recensione) di Ken Loach.




 
 
 

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