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L'albero degli zoccoli (1978)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 22 set 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 20 gen 2024


L'albero degli zoccoli Italia 1978 dramma 3h6'


Regia: Ermanno Olmi Sceneggiatura: Ermanno Olmi Fotografia: Ermanno Olmi Montaggio: Ermanno Olmi segretario di produzione: Enrico Leoni Musiche: Bach, Mozart Scenografia: Enrico Tovaglieri Costumi: Francesca Zucchelli


Luigi Ornaghi: Batistì Francesca Moriggi: Batistina Omar Brignoli: Menek Antonio Ferrari: Tunì Teresa Brescianini: vedova Runk Giuseppe Brignoli: nonno Anselmo Lorenzo Pedroni: nonno Finard Giuseppina Sangaletti: moglie del Finard Battista Trevaini: Finard Maria Grazia Caroli: Bettina Pasqualina Brolis: Teresina Massimo Fratus: Pierino Carlo Rota: Peppino Francesca Villa: Annetta Felice Cervi: Ustì


TRAMA: Tra l'autunno del 1897 e l'estate del 1898 quattro famiglie trascorrono, apparentemente in modo tranquillo, la loro vita in una cascina della campagna bergamasca. Tra i componenti di questa comunità esiste un profondo legame che li porta a vivere insieme le cose belle e quelle brutte che la vita riserva loro. Quando si tratta di versare al severo Mesagiù, il padrone della fattoria, i due terzi dei prodotti agricoli tutti cercano di barare per guadagnare qualche chilo di farina. Insieme uccidono il maiale, separano i contendenti e prendono parte alle sagre paesane e alle funzioni religiose. Un giorno a Menek si rompe uno zoccolo e papà Batistì per ripararlo è costretto a tagliare, senza chiedere permesso, una pianta del padrone.


Voto 9

Dopo una infinita serie di corti e documentari e finalmente alcuni film, particolarmente rivolti agli aspetti sociali della vita di quegli anni ’60, Ermanno Olmi apre uno sguardo elegiaco sulla vita dei contadini bergamaschi (e non solo ovviamente, ma son quelli che lui conosceva bene da vicino) della fine del XIX secolo, quel popolo taciturno e fortemente operoso che faceva tanta fatica a sopravvivere tra povertà e poco lavoro. Questo straordinario film ci mostra diverse storie parallele che avvengono nelle grandi fattorie della Valle Padana bergamasca in possesso di grandi e ricchi proprietari che non conoscevano affatto i loro dipendenti né lo loro necessità: il corteggiamento praticamente silenzioso di un giovanotto verso la ragazza che sogna di sposare, il loro piccolo e dignitoso viaggio di nozze a Milano, l’anziano che concima di nascosto i pomodori con lo sterco di gallina sperando che possano nasce e crescere più in fretta, la semina sotto la prima neve che Olmi inquadra come una cerimonia sacra (e lo era!), l’uccisione del maiale come un rito profano, la narrazione di storie e di favole mentre si sfogliano le pannocchie di mais nella stalla dove son tutti riuniti, la condivisione tra le famiglie di gioie e dolori, il taglio di un albero per ricavare un paio di zoccoli per il bimbo che non ha più le scarpe per recarsi a scuola. Tante piccole sfaccettature di una vita durissima, ma la vicenda dell’albero tagliato sarà quella più amara per una famiglia, causa di un finale amarissimo del film, pressoché pessimista, ultimo segnale rurale prima dell’avvento dell’era industriale.

Gli attori sono tutti presi dalla gente popolare, che recita proprio come sa parlare, in dialetto, motivo che porterà in seguito ad un doppiaggio “italianizzato”: vi assicuro che vederlo in originale sottotitolato acuisce l’emozione che invade l’anima e il cuore. E non solo: quella luce naturale che illumina le scene danno maggiore naturalezza alla recitazione e al profondo ricordo di quei difficili tempi, un’idea meravigliosa che precederà di tanti anni la meticolosità di Stanley Kubrick in Barry Lyndon. Tutto ciò illuminato anche dalla fede cristiana che sembra permeare ogni avvenimento, ogni movimento, ogni notizia positiva o negativa che cade sulla piccola comunità rurale. È un film così coinvolgente, emozionante e toccante che anche il finale non ottimista non tocca minimamente la pura poesia di cui è intriso.

La cascina, il luogo principale del film, fu trovata casualmente dal regista, dopo tante ricerche infruttuose; infatti si legge che: "da un giro pomeridiano per la campagna tra Martinengo, Cividate e Palosco, (Olmi) si perse nella nebbia fitta e percorrendo in auto un viottolo a fondo cieco, finì proprio davanti ad un cancello chiuso. Era solo, scese per rendersi conto di dove potesse essere finito e si accorse di trovarsi davanti ad una tipica cascina lombarda abbandonata che ricordava la cascina della sua giovinezza e pianse per la commozione. Quella fu la cascina che avrebbe scelto per girarvi tutto il film."

Grazie, Olmi!



Numerosi riconoscimenti in tutto il mondo, tra cui spiccano:

Festival di Cannes 1978: Palma d’oro e premio della giuria ecumenica

David di Donatello 1979: miglior film (ex aequo con Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi e Dimenticare Venezia di Franco Brusati)

Nastri d'argento 1979: regista del miglior film, miglior soggetto originale, miglior sceneggiatura, miglior fotografia, migliori costumi, miglior scenografia

New York Film Critics Circle Awards 1979: miglior film in lingua straniera

Kansas City Film Critics Circle Awards 1980: miglior film straniero

Premi César 1979: miglior film straniero

Premio BAFTA 1980: miglior documentario

French Union of Film Critics 1979: premio della critica



 
 
 

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