L’attachement - La tenerezza (2024)
- michemar

- 3 ott
- Tempo di lettura: 8 min

L’attachement - La tenerezza
(L’Attachement) Francia, Belgio 2024 dramma 1h46’
Regia: Carine Tardieu
Soggetto: Alice Ferney (L’Intimité)
Sceneggiatura: Carine Tardieu, Agnès Feuvre, Raphaële Moussafir
Fotografia: Elin Kirschfink, Yann Maritaud
Montaggio: Christel Dewynter
Musiche: Éric Slabiak
Scenografia: Pascale Consigny
Costumi: Nathalie Raoul
Valeria Bruni Tedeschi: Sandra Ferney
Pio Marmaï: Alexandre “Alex” Perthuis
Vimala Pons: Emillia Demetriu
Raphaël Quenard: David, padre biologico di Elliott
César Botti: Elliott
Catherine Mouchet: Fanny, madre di Cécile
Florence Muller: Marianne
Marie-Christine Barrault: madre di Sandra e Marianne
Mélissa Barbaud: Cécile
TRAMA: Sandra, cinquantenne fieramente indipendente, condivide improvvisamente e suo malgrado l’intimità del vicino e dei suoi due figli. Contro ogni previsione, si affeziona gradualmente a questa famiglia adottiva.
VOTO 7,5

Sandra (Valeria Bruni Tedeschi) è una libraia femminista in un negozio specializzato in pubblicazioni del movimento, è single per scelta, felice della propria autonomia e libertà, rifiuta l’idea di formare una coppia o, ancora più lontanamente, di avere figli. Trova inimmaginabile avere una vita impegnata e occuparsi anche di bambini o cucinare per una famiglia. Ama la sua vita senza questo tipo di impegni e gira per la casa piena di libri con una sigaretta in mano. Non si rapporta con i coinquilini, neanche con la giovane famiglia che abita di fronte sul pianerottolo e quando questi bussano d’improvviso alla sua porta, l’agitata signora incinta Cécile (Mélissa Barbaud), che sta uscendo col marito Alex (Pio Marmaï), le chiede un grosso favore: le affida il piccolo Elliott (César Botti) perché le si sono rotte le acque e deve correre in ospedale per il parto.
Lo sconcerto è intuibile per una donna non avvezza a trovarsi in casa quel bel bimbo di pochi anni ma per buon vicinato e la mancanza di forza per dire no hanno la meglio e accetta, suo malgrado, di badare al piccolo fino al ritorno del papà. E vi si dedica con tutto l’impegno, facendogli una riuscita compagnia tale da far affezionare all’istante Elliott, che è un bimbo molto intelligente ed espansivo, dandole un certo senso di soddisfazione per il compito svolto, trovando quasi soddisfazione, senza mai intaccare però la sua mentalità di donna felicemente sola. Ma l’epilogo è tragico, Alex torna in lacrime: la moglie Cécile è morta durante il parto per una grave complicazione mentre è nata una femminuccia, Lucille. Sconcerto, tragedia, decisioni da assumere, almeno sul momento.
Nasce così un rapporto speciale tra la donna e questa famigliola monca che prende una piega che Sandra non avrebbe mai potuto prevedere, non tanto per la riconoscenza dell’uomo che non sa che pesci prendere, quanto per l’amorevole e dolce rapporto che inizia a maturare immediatamente tra lei e Elliott. Imprevisto, imprevedibile (dati i presupposti) e spiazzante. Da farle scoprire il lato materno che però tiene a distanza: accetta mentalmente, cioè, la situazione che si è creata e accoglie ogni volta che necessita il piccolo, ma la sua dedizione si ferma lì, non cambia la visione della vita che l’ha così fortemente caratterizzata da sempre. In primis esiste il suo impegno di libraia femminista e poi il resto. La nuova tranquillità che si è creata viene scossa però da un gesto inatteso e per lei fuori luogo: dopo qualche giorno, lo sbandato e incerto Alex, scambiando l’accoglienza e l’affabilità di Sandra per qualcosa di più serio, le si avvicina troppo e le dà un bacio sulla bocca, per nulla corrisposto e lasciando la donna perplessa e spiazzata. Non se lo aspettava e si rende conto che il giovane vedovo ha frainteso la sua disponibilità, dovuta alle necessità, per una apertura relazionale, per un ipotetico nuovo sentimento.
Molto intelligentemente, Sandra resiste alle avances di Alex e gli spiega che sta commettendo un errore psicologico: sta elaborando il lutto nella maniera errata, sostituendo la moglie persa con la dirimpettaia che si è prestata ad aiutarlo, equivocando l’affetto che ormai è nato tra lei ed il piccolo Elliott. È il primo aspetto psicologico che si affaccia nel film ma non è né l’unico e né il più importante e il titolo lo spiega chiaramente. E se la reazione dell’uomo è sarcastica, pungendola sulla sua passione femminista, lei ribatte con una battuta secca e risolutiva: “Non esistono le persone femministe. Esistono gli stronzi e le persone per bene!”. Più chiara non poteva essere.

Man mano che la piccolissima Lucille cresce (la regista scandisce i cambi di scena con l’età crescente della bambina), entrano in campo cari personaggi simpatici: il padre biologico di Elliott, David (Raphaël Quenard), la sorella di lei Marianne (Florence Muller), la rattristata madre della defunta, Marianne (Catherine Mouchet) e la madre della protagonista, interpretata dalla simpatica Marie-Christine Barrault. Una serie di parenti che allargano la famiglia e le riunioni per i compleanni e le altre ricorrenze. A questi si aggiunge uno dei più bei personaggi del film: Emillia (Vimala Pons), la giovane pediatra della neonata, una ragazza vivace, simpatica, piacente, che perde subito la testa per il vedovo che, se all’inizio reagisce con sorpresa, trova piacevole la nuova situazione. Non solo l’ultima arrivata entra trionfalmente nella grande famiglia ma, pur nella disgrazia di perdere il feto del bambino che stavano avendo, vanno a felici e scatenate nozze, facendo lieta se stessa e tutti quanti. L’unico che però non riesce a legare bene con lei è, ovviamente, Elliott, che ha occhi e cuore solo per Sandra.

Il legame che unisce il bimbo alla donna travalica quelli parentali, va oltre quelli del sangue, tralascia i sentimenti degli altri: Sandra se ne rende conto ma non si spaventa, lei prova vero affetto, tanto attaccamento verso quel ragazzino così sincero da non nascondere la sua preferenza. È un sentimento forte e quasi tangibile, tanto è facile e frequente il moto di abbracciarsi e stare vicino fisicamente. Elliott sta bene soprattutto quando è con Sandra e lei non sa vivere senza avere sue notizie, specialmente da quando il padre biologico lo ha voluto con sé. È la dimostrazione di come possa nascere un rapporto di forte tenerezza e di vero amore filiale/materno anche tra non consanguinei, di come la natura umana sappia creare una sintonia d’amore tra individui che prima non avevano mai avuto contatto. Ma il miracolo più eclatante, oltre all’affettuoso sentimento che prova un bambino verso un adulto, è quello di vedere quello della tenerezza che invade l’animo di Sandra, donna indipendente che pareva insensibile e che invece viene travolta da ciò che prova per quel piccolo essere che è entrato prepotente nella sua vita. Che non è un legame paragonabile a quello di una madre, che rispecchia la legge naturale, ma è una sensazione di attrazione affettiva che va oltre la convenzione. Insomma, da babysitter a componente di una galassia di personaggi che vivono l’amore, la maternità, la coppia in modi diversissimi dal suo, i quali manco lontanamente si sognano di convertirla ad una scelta di vita diversa. Il che alimenta l’armonia ormai nata.

Grandi elogi vanno fatti, a tal proposito, alla sceneggiatura a sei mani, tratta dal romanzo L’intimité di Alice Ferney, che scansa ogni ovvietà: no, l’eterna nubile non s’innamora, né le scatta il desiderio di maternità, ed è piuttosto confortante trovare un film libero dai soliti schemi. Film che apre anche lo sguardo alle infinite possibilità del nostro essere animali sociali. Significative, infatti, sono le riunioni numerose della famigliona che si è venuta a creare e quando stanno tutti assieme è davvero una festa: sorrisi, vino, ostriche dell’impresa di David, battute, scherzi, gesti d’affetto. E Sandra ormai ne fa parte pur non essendo una di loro in senso stretto. Il suo ponte con loro è lo sguardo sempre riconoscente di Alex ma soprattutto il contato fisico comunicativo di Elliott.

Il titolo del film è molto più di una semplice etichetta emotiva: è il cuore pulsante del film di Carine Tardieu, che esplora con delicatezza e profondità il tema dei legami affettivi, soprattutto quelli inattesi e non convenzionali. Attaccamento è una risposta al lutto e alla perdita, non è segno di debolezza, ma una forma di resilienza e apertura, è, infine - ma in particolare per il giovanissimo Elliott, personaggio che ho voluto lasciare apposta per ultimo - capacità di accettare la morte e cercare la vita aggrappandosi a chi può offrirgli amore, quello che ha imparato a dare Sandra. È lo sguardo del ragazzino quello che dà senso al titolo, più di ogni altro personaggio, sguardo che, sia chiaro, è a due sensi di direzione. Irresistibile lo scambio tra padre e figlio per spiegare il momento tragico: “Devo dirti una cosa terribile riguardo alla mamma”, “È morta?”, “Sì”, “Di già?”. Nel breve scambio di battute emerge tutta l’innocenza e la saggezza di Elliot, che intuisce come il dolore sia parte della vita e accetta la morte come suo comple(ta)mento. La scomparsa della madre sembra non sorprenderlo e cerca conforto in quella libraia di mezza età che non conosceva e che diventa all’improvviso e per necessità mentale la sua ancora di salvezza. Poteva essere la storia di Sandra e Alex e diventa invece quella tra Sandra e Elliott.

Anche il finale può sembrare anomalo e non compiacente ma è il compimento naturale e ovvio a ciò che sta vivendo Alex negli ultimi anni, sempre facendo finta che la moglie persa faccia parte del passato e che lui abbia superato il momento difficile: si era buttato e bruciato con Sandra, cade nella trappola amorosa di Emillia che sposa con entusiasmo, ma alla fine si accorge di non essere del tutto sincero con gli altri e con se stesso e la rinuncia finale è difficile giudicarla se una sconfitta oppure se una più giusta conclusione. E se da un lato “Ti ho amata”, “Anch’io”, sono due esclamazioni tristi (ma sincere) dall’altro c’è l’ultima inquadratura di una donna matura sopraffatta dall’attaccamento di un corpicino che le si sdraia addosso. Lei - single convinta, madre mancata per scelta - si abbandona a quel mare di tenerezza.

Impeccabile è la regia di Carine Tardieu (di cui ho apprezzato il delicato Toglimi un dubbio), che sa raccogliere ogni sentimento dal viso degli attori, tutti eccellenti; la sceneggiatura è raffinata, a cavallo tra la commedia ed il dramma, con dialoghi scritti da penne brillantissime che rendono il film più piacevole del previsto; gli attori sono stati scelti con mestiere, tutti bravi e simpatici. Pio Marmaï non sorprende perché l’ho sempre visto in gran forma, adattissimo per stare a mezzo guado tra il serio e il faceto, capace di recitare in entrambi i registri e qui ne dà un’ampia prova. Chi mi sorprende molto positivamente è la formidabile Vimala Pons, attrice che deve reclamare migliori e più grandi spazi: molto, molto brava e simpatica. Un ciclone.

Valeria Bruni Tedeschi merita un paragrafo a sé: resa più giovanile dal trucco del cast tecnico, è, a dir poco, fantastica, da premio Oscar. Una interpretazione che illumina un film che è già di suo ottimo, ma lei è capace di renderlo migliore: tempi, pause, sorrisi, frasi, battute meste ma fiere, ostinata in un ruolo che non vacilla mai. La sua Sandra è perfetta e spiega da sola tutto il film. Un’ultima annotazione (la mia solita, ma è così): ma come fanno a nascere ragazzini così bravi a recitare? Ho il fondato timore che il doppiaggio rovinerà tutto il suo talento (di norma, i bimbi li fanno doppiare ad adolescenti che miagolano: Elliott non è un gatto). È uno spettacolo ascoltare le tante domande che pone e le affermazioni che offre al meravigliato che l’ascolta: “I bambini nascono da quel piccolo buco, vero? Ma non si fanno male?”
Che bel film!


















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