L'avvocato del diavolo (1997)
- michemar

- 1 mag 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 8 giu 2023

L'avvocato del diavolo
(The Devil's Advocate) USA/Germania 1997 dramma 2h24'
Regia: Taylor Hackford
Soggetto: Andrew Neiderman (romanzo)
Sceneggiatura: Tony Gilroy, Jonathan Lemkin
Fotografia: Andrzej Bartkowiak
Montaggio: Mark Warner
Musiche: James Newton Howard
Scenografia: Bruno Rubeo
Costumi: Judianna Makovsky, Sarah Edwards
Keanu Reeves: Kevin Lomax
Al Pacino: John Milton / Satana
Charlize Theron: Mary Ann
Jeffrey Jones: Eddie Barzoon
Judith Ivey: sig.ra Alice Lomax
Connie Nielsen: Christabella Andreoli
Craig T. Nelson: Alexander Cullen
Tamara Tunie: sig.ra Jackie Heath
Ruben Santiago-Hudson: Leamon Heath
Debra Monk: Pam Garrety
TRAMA: Alla fine del secondo millennio il diavolo è ancora in salute, ama frequentare le aule dei tribunali e non esita a rimettere in scena la vita di Faust. Mefistofele è John Milton, boss dello studio forense più importante di New York, mentre il ruolo di Faust spetta a Kevin Lomax, giovane e promettente avvocato di provincia. Preceduto da una solida fama di vincente, Lomax viene chiamato a New York da Milton, arrivando ben presto ad occupare un posto di rilievo nello studio.
Voto 7,5

Può sembrare inevitabile: tante volte (troppe volte) l’uomo subisce il fascino (ma anche il terrore) della tentazione, del patto di scambio tra la realizzazione di un sogno e il concedere qualcosa o addirittura tutto di sé. Può succedere che una persona non ci pensa e viene cercato, può succedere che qualche volta invece si cerca – per bisogno - l’occasione, pronti a tutto. In fondo, anche quel libro dei libri che è la Bibbia racconta di quando il grande tentatore si presentò sotto forma di serpente ai due abitanti del Giardino dell’Eden (Genesi) promettendo il Sapere: disobbedendo al divieto imposto lui li avrebbe avuti in pugno.
Quando il giovane brillante avvocato Kevin Lomax - ex procuratore, quindi passato dall’accusa alla difesa degli imputati del tribunale di Gainesville in Florida, sempre vincendo ogni tipo di cause in entrambi i fronti - riceve l’invito da un legale per presentarsi presso il più grande studio legale di New York non può minimamente immaginare non solo tutto quello che gli accadrà e come cambierà la sua vita ma neanche l’impensabile retroscena di cui solo la madre Alice è al corrente. Kevin è ambizioso, come tutti i giovani alla sua età che sognano una carriera piena di successi, e l’offerta, confortata da un compenso per lui assurdamente lauto, è di quelle che non si possono rifiutare solo per amore della terra in cui vive o soprattutto per non scombussolare la vita tranquilla di provincia che gode assieme alla sua bellissima moglie Mary Ann. Se solo avesse potuto vedere in anticipo l’evolversi del futuro, avrebbe negata la sua disponibilità, ma la tentazione è troppo forte e il successo professionale assicurato diventa immediatamente un miraggio raggiungibile. Pur con qualche perplessità e con i timori di affrontare la vita della metropoli per eccellenza, i due partono per quell’avventura che sconvolgerà e stravolgerà la loro esistenza.

Lo spettatore che non conosce la trama e il contenuto rimane sicuramente incuriosito dalle qualità luciferine del grande legale John Milton, presente/assente in quasi ogni sequenza, che appare tutte le volte al momento giusto, come un dramma scritto e preparato con precisione sospetta. Già alla sua prima comparsa salta agli occhi il suo lungo cappotto nero, così lungo che sembra un mantello svolazzante che lo avvolge nei rapidi movimenti, mai tentennante, con una sicurezza che sa di pre-visione di ciò che sta accadendo e ciò che ne seguirà. Lo si vede apparire all’angolo della strada, in fondo al corridoio, in mezzo alla gente, che punta lo sguardo su Kevin, pronto a pungolarlo, a muoverlo verso donne bellissime che non mancano mai, a invitarlo a non mollare, a rivelargli che lo ha scelto per il caso più difficile del momento. La “tentazione” più significativa avviene quando Milton accoglie il rampante Kevin e lo fa affacciare in cima al grattacielo su cui, tra le piscine che sembrano sgorgare acqua nel vuoto, gli mostra lo spettacolare panorama newyorkese: come Satana che tenta tre volte Gesù durante il digiuno di quaranta giorni nel deserto. “Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai’. ‘Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.’ Rispose Cristo. (Matteo 4.4). Kevin, invece, accetta tutto, anche il lussuoso appartamento, anche la corte dell’attraente Christabella (un nome che forse qualcosa già indica): l’appagamento dei successi in tribunale lo illude di aver fatto la scelta giusta ma non si accorge di come l’amata Mary Ann stia subendo il tracollo mentale causato da segnali metafisici che avverte solo lei e a poco servono gli ammonimenti religiosi che la mamma non fa mancare. L’escalation professionale è inversamente proporzionale alla felicità domestica, mentre le richieste di John Milton, sempre meno nascosto nella sua rappresentazione satanica, hanno il sopravvento. Fino al doppio dramma finale: quello tragico della moglie dell’avvocato e quello diabolico delle rivelazioni nello studio privato di Milton/Satana. Poi, quando il fuoco si spegne, Kevin è ancora davanti allo specchio dei bagni di Gainesville.

Taylor Hackford sbaglia quasi nulla: l’ambientazione, il ritmo, l’atmosfera luciferina, l’aria solforosa. Sebbene il film sia abbastanza lungo (quasi due ore e mezza) non c’è sosta per l’attenzione richiesta e gli avvenimenti si susseguono incalzanti, tanto che il finale, che vorrebbe essere moralistico, non è detto che piaccia a tutti. Il cast è quasi del tutto azzeccato. Al Pacino è un mostro di bravura, che dosa le tonalità della voce a seconda dei momenti e quando si appropria totalmente della scena, nel finale in crescendo, il suo monologo è da scuola di recitazione e sbagliano i critici quando lo hanno giudicato sopra le righe: è l’esibizione del diavolo che fa mostra di sé, che si autocompiace di quello che ha voluto e saputo orchestrare, che è capace anche in quel frangente di realizzare un ultimo colpo di scena. Merito anche della bellezza smagliante di Connie Nielsen, mostrata dal burattinaio/padre al suo dipendente preferito figlio/fratello in tutta la sua splendente nudità. Charlize Theron non era ancora un’attrice conosciuta ma la sua presenza abbagliante e la forza di una interpretazione viscerale perfettamente riuscita la fanno risaltare all’attenzione di tutti. Su Keanu Reeves invece ho qualche recriminazione: il suo aspetto estetico risulta impeccabile per il ruolo del bell’avvocato, ha l’età giusta, fisicamente a suo agio e recita in maniera soddisfacente, ma mi ha deluso sotto l’aspetto dei movimenti, un po’ troppo ingessati e plateali. Sarei molto curioso di vedere il risultato se il ruolo fosse stato affidato ad un attore più esperto. Ma questo è solo rammarico personale, poiché nel complesso il film fila liscio e ogni velleità di critica può risultare inutile. Eccellente è la sceneggiatura, opera di Jonathan Lemkin e del ben noto Tony Gilroy, composta anche da dialoghi che lasciano il segno.

Tratto dal romanzo omonimo di Andrew Neiderman, il film ha un titolo che fa riferimento all'espressione idiomatica tanto usata, mentre invece il nome del personaggio interpretato da Al Pacino, John Milton, è quello dell'autore del poema Paradiso perduto. Nello stesso tempo, Taylor Hackford, a proposito delle scelte che il protagonista Kevin deve adottare, fa chiaramente riferimento al cosiddetto libero arbitrio, concetto di ampia portata sia dal punto di vista religioso che filosofico, che nei secoli ha aperto enormi scenari di studio e di analisi presso i grandi pensatori della Storia, da Sant’Agostino a Lutero, da Erasmo da Rotterdam a Martin Lutero, e perfino il sommo poeta Dante ne fa cenno nel canto sedicesimo del Purgatorio. Il libero arbitrio è l’anima di ogni nostra quotidiana decisione e a maggior ragione per quelle riguardante l’onestà intellettuale di ognuno di noi. E quando dobbiamo riflettere se accettare o respingere le tentazioni, di varia natura e origine, la decisione di prendere una strada o l’altra è una scelta libera, che spetta solo al singolo, che in ogni caso deve assumersene le responsabilità e sobbarcarsene le conseguenze. Come succede precisamente a Kevin Lomax.

Non tutti sanno però che…
Nonostante le diverse allusioni all'opera di Milton, il regista ha sempre preferito indicare il Faust di Goethe come ispirazione principale della pellicola, per via del ricorrente tema del libero arbitrio e del patto col Diavolo.
Nella scena in cui Al Pacino confessa a suo figlio di essere Satana, il regista aveva detto loro di improvvisare, dimenticandosi del copione, così da essere a proprio agio e risultare più naturali. Al Pacino, allora, di sua spontanea volontà, si mise a camminare e canticchiare It happened in Monterey, vecchia canzone di Frank Sinatra. Il regista considerò quella scena una delle migliori improvvisazioni viste in tutta la sua carriera, e decise di tenerla esattamente così.
Poco dopo l'uscita del film, uno scultore fece causa alla Warner Bros perché una sua creazione presente nella Cattedrale di Washington, era praticamente identica a quella che si vede nella casa di Al Pacino. A creargli fastidio fu l'accostamento del suo soggetto sacro con Satana. Il tribunale diede ragione all'artista e la Warner Bros fu costretta a eliminare il più possibile le immagini dove si vedeva per intero l'opera; fu un lavoro lungo, frame by frame, e questo ritardò non di poco le uscite della versioni home video del film.

Inoltre, la casa di Alexander Callen (il ricchissimo impresario edile interpretato da Craig T. Nelson), l'uomo condannato per omicidio, esiste davvero a New York; gli ori, i marmi, gli affreschi che si vedono nelle scene sono quelli reali. L'abitazione era di proprietà di Donald Trump, che aveva permesso alla troupe di girare nel suo salotto.
Infine, nell'ultima scena, quando John Milton si trasforma in Lucifero, sul suo volto si può vedere un particolare effetto speciale creato utilizzando i calchi dei visi di Reeves e Pacino, e recuperando, inoltre, i tratti del giovane Al Pacino nel 1972, ai tempi de Il Padrino.
“Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.”






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