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L'incredibile storia dell'Isola delle Rose (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 19 dic 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 15 mag 2023


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L'incredibile storia dell'Isola delle Rose

Italia 2020 commedia 1h57’


Regia: Sydney Sibilia

Sceneggiatura: Sydney Sibilia, Francesca Manieri

Fotografia: Valerio Azzali

Montaggio: Gianni Vezzosi

Musiche: Michele Braga

Scenografia: Tonino Zera

Costumi: Nicoletta Taranta


Elio Germano: Giorgio Rosa

Matilda De Angelis: Gabriella

Leonardo Lidi: Maurizio Orlandini

Fabrizio Bentivoglio: Franco Restivo

Luca Zingaretti: Giovanni Leone

François Cluzet: Jean Baptiste Toma

Tom Wlaschiha: W. R. Neumann

Alberto Astorri: Pietro Bernardini

Viola Zironi: Franca

Ascanio Balbo: Carlo

Marco Pancrazi: Bruno Spaggiari

Fabrizio Rongione: monsieur Carlozzi

Andrea Pennacchi: Ulisse Rosa

Federico Pacifici: l’ammiraglio


TRAMA: Primavera 1968. Nell’anno della contestazione studentesca, un giovane ingegnere, Giorgio Rosa con un grande sogno e un genio visionario decide di costruire un’isola al largo di Rimini, fuori dalle acque territoriali, e la proclama stato indipendente. Un’isola d’acciaio in cui la libertà individuale è il valore assoluto: non ci sono regole! In questa impresa impossibile Giorgio avrà al suo fianco un eterogeneo gruppo di complici. L’Isola delle Rose attira ben presto l’interesse della stampa e soprattutto di frotte di ragazzi da mezzo mondo, trasformandosi in mito, in caso internazionale e in un quasi insormontabile problema politico per il Governo italiano che non può tollerare la fondazione di un nuovo Stato in acque così vicine. Perché un’utopia che diventa realtà non può che avere conseguenze imprevedibili, al di là di ogni immaginazione.


Voto 6.5

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Quante volte ci vien da dire che quello che abbiamo visto o sentito ci ha stupiti fino ad esclamare che la realtà ha superato la fantasia? Credo spesso, specialmente di questi tempi! Siamo venuti a conoscenza di storie assurde, che paiono incredibili e che si stenta a credere. Grosso modo quello che è successo un giorno a Sydney Sibilia, mentre sta scrivendo la sceneggiatura di Smetto quando voglio – Masterclass assieme alla fidata Francesca Manieri, cliccando qui e là, scova in Wikipedia la strana storia dell’Isola delle rose e più leggeva e più si divertiva. Ben presto capì che poteva essere un ottimo soggetto per un film. lavorando sullo script, lo raccontò alla meglio a Elio Germano, il quale entusiasta disse: “Se la scrivi come me l’hai raccontata, ci sto!”. Ma che storia è questa? Cos’era questa benedetta isola? Andiamo con ordine.

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L'isola delle Rose, nome ufficiale Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose, fu il nome dato a una piattaforma artificiale di 400 m² che sorgeva nel mare Adriatico a 11,612 km al largo della costa tra Rimini e Cesenatico e 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane; ideata dall'ingegnere bolognese Giorgio Rosa nel 1958 e terminata nel 1967, il 1º maggio 1968 autoproclamò lo status di Stato indipendente e di fatto fu la nascita di una micronazione. Pur dandosi una lingua ufficiale (l'esperanto), un governo, una moneta e un'emissione postale, non fu mai formalmente riconosciuta da alcun Paese del mondo come nazione indipendente. Occupata dalle forze di polizia italiane il 26 giugno 1968 e sottoposta a blocco navale, l'Isola delle Rose fu demolita nel febbraio 1969. L'episodio venne lentamente dimenticato, considerato per decenni solo come un tentativo di "urbanizzazione" del mare per ottenere vantaggi di natura commerciale. Solo a partire dal primo decennio del 2000 esso è stato oggetto di ricerche e riscoperte documentarie imperniate invece sull'aspetto utopico della sua genesi.

Il personaggio (che meglio non potrebbe definirsi) che si ingegnò, inventò e fece costruire la piattaforma appena fuori dalle acque territoriali italiane fu appunto un certo ingegnere Giorgio Rosa, la cui vita sembra già un’avventura da raccontare a cinema. Fu lui a ideare e realizzare il tutto, navigando (è il caso di dirlo) ai limiti della legge, senza mai infrangerla e insinuandosi nelle crepe trascurate. Né di qua né di là, tutto vagamente lecito e mai illegale. Nato e vissuto a Bologna, il 7 maggio 1925 e deceduto il 2 marzo 2017. Laureato in ingegneria meccanica a Bologna nel 1950, ha sempre esercitato la professione, oltre ad essere consulente ed insegnante.

Come ho fatto a sapere tutto ciò? Ovviamente ho fatto un copia-incolla da Wikipedia, più o meno come avrà fatto il regista per iniziare a lavorarci su.

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A questo punto Sibilia e il collega Matteo Rovere con cui ha fondato la casa di produzione Groenlandia “con l’idea di raccontare le storie che ci piacciono e che vorremmo vedere come spettatori, offrendo anche ad altri questa possibilità, certo in sintonia con l’evoluzione dei tempi”, non c’hanno pensato due volte e l’operazione è partita. Ne è scaturito un film davvero curioso, a metà strada tra la farsa, la commedia all’italiana, la cronaca politica e l’innesto sentimentale. Un po’ di tutto, insomma. Principalmente, come si può intuire, è una storia di cronaca sociale che incrocia quella politica, perché l’idea iniziale è abbastanza goliardica, una pura ricerca di libertà di espressione e di vita, dato che i due personaggi centrali (Giorgio Rosa ci mette l’idea e l’ingegno, Maurizio Orlandini – un fallito figlio di imprenditore, nullafacente, sempre brillo, ladruncolo nella cassaforte del padre – ci mette i soldi) sono degli svitati, quasi dei “vitelloni” (la terra richiama questo termine) che bighellonando da mane a sera danno sfogo alla loro voglia di indipendenza. Due giovani così fuori dal registro dei coetanei che non partecipano minimamente ai notevoli cambiamenti che, in quell’anno vitale della Storia d’Europa e del mondo (siamo nel 1968), stanno dando uno scossone definitivo allo status quo: i giovani mettono a fuoco Parigi, i movimenti studenteschi sono politicizzati come non mai, furoreggia la beat generation, gli hippies, il rock, ma loro… vivono a Rimini e hanno la testa rivolta ad altro. E quell’altro è un sogno: un’isola di metallo lì, in mezzo al mare, per fare.. beh, le idee non sono molto chiare, però percepiscono che lì non ci saranno genitori, poliziotti, regole vecchie, leggi superate e così via.

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Quando iniziano i due sono soli ma via via si accodano alcuni compagni di strada perfettamente congeniali al progetto: un navigatore silenzioso che cerca pace, un ex soldato tedesco che di Gestapo non ha mai avuto nulla in comune, una ragazza delusa e incinta e per ultima si accoda la fiamma di sempre del protagonista Giorgio, che ha sì un debole per Gabriella, che purtroppo è ormai promessa sposa di un uomo più “normale”. Ma può sfuggire lei a quel sogno da realizzare, a quella utopia di libertà e indipendenza? Che poi arrivino a frotte ragazze e ragazzi che trovano eccitante passare un pomeriggio e una serata in alto mare ballando e bevendo pare prevedibile e così tutto si trasforma in una festa continua, impensabile solo qualche settimana prima. Tutto fiesta? Eh, no, perché altrimenti sarebbe banale: chi rovina l’atmosfera è il governo italiano di quel momento, che intervenendo molto controvoglia (hanno ben altro a cui pensare a Roma) sono spinti dai servizi segreti e dai militari ad interessarsi e a prendere decisioni in merito. È adesso che nel film la satira politica prende il sopravvento e la commedia assume le vesti della farsa. Se all’inizio del film abbiamo conosciuto un paio di alti funzionari del Consiglio Europeo di Strasburgo che al limite (ma tirato, eh!) potremmo considerare quasi normali, nel Consiglio dei Ministri siamo in presenza di macchiette che destabilizzano le nostre certezze di cittadini. Il Presidente è Giovanni Leone (Luca Zingaretti truccato e impagliacciato, quasi clownesco) mentre il ministro competente per la questione semiseria è quello degli Interni, Franco Restivo, interpretato da un siculeggiante Fabrizio Bentivoglio, sempre camaleontico quando deve affrontare personaggio fortemente caratterizzati dall’accento regionale di provenienza. Un duo formidabile, asserragliato nel Palazzo dove fanno perfino colazione, lontano dalla realtà e dai cittadini e soprattutto dal saper prendere decisioni sagge. Una stilettata alla politica ipocrita lontana dai bisogni della gente è giusto l’ingrediente che serviva a colorare maggiormente questa storia sbilenca, ma mai zoppicante.

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Che è simpaticissima, che fa stare sempre col sorriso a metà e l’espressione sbalordita, perché, come si diceva nell’introduzione, si stenta a credere che tutto ciò sia avvenuto veramente nella nostra Storia a metà del secolo scorso. Decorato da una bellissima fotografia, quella di Valerio Azzali, che ha saputo donare certi toni cromatici da anni ‘60, da inquadrature su immagini sature di corpi e di cose, musiche originali molto appropriate in aggiunta ai maggiori successi discografici di quella lontana estate che i non più giovani ricorderanno con molto piacere (merito anche di un music editor di qualità, Laurence Love Greed, che la Netflix ha messo a disposizione), il film viaggia a discreta velocità di crociera per tutta la durata e gode anche di una simpatica sceneggiatura che tira dritto fino in fondo (piccola digressione: raramente capita di sentire perfettamente i dialoghi con presa diretta come in questo caso, onore ai tecnici!). Sceneggiatura simpatica come lo è ogni personaggio che contribuisce alla buona riuscita complessiva del film. Che, se all’inizio ci sorprende con due nomi di attori di livello internazionale, a cominciare dal mitico François Cluzet e dal bravo Fabrizio Rongione, punto fermo del cinema dei fratelli Dardenne, attori che non ti aspetti, nel cuore dell’azione c’è uno dei migliori in assoluto che disponiamo sul mercato: Elio Germano. Inarrestabile, travolgente, tumultuoso, sorridente in modo permanente, ottimista per principio, l’attore sfoggia un accento romagnolo sorprendente. Lo avevamo appena lasciato nei grugniti e nella variante emiliana (vedi Volevo nascondermi), ecco che lo ritroviamo con le camicie sgargianti e i sogni sfavillanti. Con lui una masnada di attori in palla e soprattutto una partner che sta prendendo spazio e voli transoceanici: Matilde De Angelis, una ragazza che si sta costruendo un buon futuro, dopo l’esplosione delle corse emiliane sulle piste automobilistiche (vedi Veloce come il vento, del coproduttore Rovere). Fa piacere inoltre incontrare ancora una volta il pluriartista Andrea Pennacchi (anche attore di teatro, drammaturgo, monologhista in TV di gran successo) nel ruolo dimesso (che gli riesce sempre nonostante la sua stazza per cui si autodefinisce poiana o cinghiale) del padre di Giorgio, Ulisse Rosa. Ma in generale sono stati bravi tutti gli attori, simpatici e coinvolti in questa bella avventura.

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La regia merita consenso, sia per il coraggio di affrontare film di questo tenore che per aver saputo costruire il prodotto, ma anche per aver ben orchestrato la direzione degli attori e il film in generale. Tutto funziona e fila liscio, risultando divertente e piacevole, che con la presenza esuberante ma precisa di Elio Germano acquista quel tanto in più che lo premia nel gradimento. E non è detto che con un altro attore sarebbe riuscito nella stessa misura.

Non è commedia all’italiana (e questo è un pregio), non è la commedia delle feste (altra dote), ha forse un po’ di odore di commedia balneare (come i governi che si alternavano) e di sapore pop(olaristico), non ha l’umorismo acido e l’idea provocatoria dei film con cui si è affermato Sydney Sibilia (che a me son piaciuto meno di questo) ma dà la sensazione della consistenza del buon film. Nulla di stratosferico, ma alla fine, assicuro, lascia la bocca buona.

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Riconoscimenti

David di Donatello 2021:

Migliore attrice non protagonista a Matilda De Angelis

Miglior attore non protagonista a Fabrizio Bentivoglio

Migliori effetti speciali visivi

Candidatura per il miglior produttore

Candidatura per il miglior musicista

Candidatura per la miglior scenografia

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per il miglior trucco

Candidatura per il miglior montaggio

Candidatura per il miglior suono

Candidatura per il David Giovani


 
 
 

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