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L’infernale Quinlan (1958)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 11 feb 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 3 lug

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L’infernale Quinlan

(Touch of Evil) USA 1958 poliziesco/noir 1h35’

 

Regia: Orson Welles

Soggetto: Whit Masterson (romanzo “Contro tutti”)

Sceneggiatura: Orson Welles

Fotografia: Russell Metty

Montaggio: Virgil W. Vogel, Aaron Stell, Edward Curtiss (versione originale); Walter Murch (rimontaggio 1998)

Musiche: Henry Mancini

Scenografia: Alexander Golitzen, Robert Clatworthy

Costumi: Bill Thomas

 

Charlton Heston: Ramon Miguel Vargas

Janet Leigh: Susan Vargas

Orson Welles: Hank Quinlan

Joseph Calleia: Pete Menzies

Akim Tamiroff: Joe Grandi

Joanna Moore: Marcia Linnekar

Ray Collins: procuratore Adair

Dennis Weaver: portiere del motel

Valentin de Vargas: Pancho

Mort Mills: Al Schwartz

Victor Millan: Manolo Sanchez

Lalo Rios: Risto

Marlene Dietrich: Tanya

Zsa Zsa Gábor: padrona dello strip-club

Mercedes McCambridge: boss della gang

 

TRAMA: Ramon Miguel Vargas, ispettore della polizia messicana e sua moglie Susan, devono interrompere il loro viaggio di nozze per venire a capo dell'uccisione del ricco proprietario Linnekar, avvenuta al confine tra gli Stati Uniti e il Messico. Vargas partecipa alle indagini affiancando l’ispettore americano Quinlan. Nel frattempo, Susan viene circuita da un tipo losco, che, ricattando la donna, mira a liberare suo fratello arrestato dall'ispettore messicano.

 

Voto 9


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In un bianco e nero più cupo che altro, in un diabolico piano sequenza che pare non finire mai, tra la sonnolenza di una città di confine e il ritmo della rumba, un’auto imbottita di dinamite attraversa la via e dà l’incipit ad un film che non ha età, che sembra girato oggi su commissione di una piattaforma streaming di successo. E non perché ha tutte le apparenze di un b-movie, ma perché si veste di tale apparenza per divenire un capolavoro che fa effetto decenni e decenni più tardi.


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Vargas, un poliziotto messicano impegnato nella lotta alla famiglia Grandi a capo di un imponente traffico di stupefacenti, è in luna di miele con la moglie Susan. Per caso i due assistono alla morte di un facoltoso imprenditore, la cui auto salta in aria nella località di Los Robles, appena attraversato il confine tra gli Stati Uniti e il Messico. La polizia americana chiama ad indagare sul delitto il capitano Quinlan, uomo dal carattere difficile e autoritario, e Vargas partecipa alle indagini. Susan, nel frattempo, riceve minacce da parte di Joe Grandi, fratello del gangster in carcere grazie alle indagini di Vargas, che cerca di usarla per impedire al poliziotto di testimoniare al processo.


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Lentamente, lungo il corso del film, si scopre di trovarsi davanti ad un thriller dove la politica sporca trova una lurida connessione con le perversioni personali e collettive, dove l’infernale personaggio centrale è un eroe compromesso e fanatico, un poliziotto obeso e claudicante sotto il proprio peso, che, nel suo sudiciume etico, conserva una grandezza che non ha nulla a che vedere con la delinquenza del sottobosco che lo circonda. Bande di narcotrafficanti potenti e senza scrupoli che il poliziotto, che condiziona il bello e il cattivo tempo della zona, cerca di tenere a bada ma solo alla sua maniera, dove lui è la legge per come la interpreta e la applica. Il collega messicano (con il fisico imponente e la maschera del viso d’acciaio di Charlton Heston) è esterrefatto e non comprende quella filosofia, ma sa che deve stare al gioco e correggere gli eventi per rispettare la legalità, e nello stesso tempo adeguarsi al gioco sporco quando la consorte Susan (Janet Leigh) viene rapita a scopo intimidatorio e di ricatto. Questo non è il mondo che Vargas riconosce, questo è un universo a parte dove le regole le scrive Quinlan (Orson Welles).


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Non c’è un attimo di riposo per lo spettatore, il rischio di distrarsi o rilassarsi non è contemplato in questa magistrale opera di Welles, artista capace di aver girato e interpretato a soli 26 anni Quarto potere e sotto i 30 L’orgoglio degli Amberson, e qui, quarantatreenne con un corpo già ingombrante, firma un noir che fa scuola a tutti gli aspiranti autori. E che resta ineguagliabile.


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Il soggetto deriva da un giallo scritto Whit Masterson che in Italia era uscito con il nome di “Contro tutti” (è così che il poliziotto si ritrova, ma neanche il protagonista è lontano da questa posizione) ma che in originale aveva un nome che racchiude l’essenza: “Badge of Evil”, a cui il grande Welles cambia solo una parola e fa diventare la storia un’opera dovuta al tocco del diavolo. Sì, perché quella sequenza iniziale non è solo un’esplosione ma anche una discesa all’inferno. Nero come il film. Nulla è fuori posto, tutto è in equilibrio, sebbene si provi continuamente la sensazione che tutto possa crollare da un momento all’altro, portando con sé Hank Quinlan. Non come una tragedia greca ma come uno sprofondamento shakespeariano, che, in fondo, è sempre stato il sogno del corpulento maestro. Intanto, nelle strade del Texas inquinato dalla mafia messicana, si srotola un incubo che pare senza uscita, in cui Vargas deve muoversi come in un gioco al buio. Dov’è sua moglie? Come fare a maneggiare quel poliziotto padrone della situazione? Che ruolo gioca Tanya, chiromante e tenutaria del bordello?


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Inquadrature sghembe, squarci di luce malefica, soffitti e pareti che opprimono, cielo maggiormente ingrigito dal colore della fotografia, primi piani deformanti, claustrofobia, un hotel hitchcockiano funestato dalla musica impazzita. Una serie di accorgimenti perfetti e studiati che prolungano e allargano la scomodità della visione. Come potrebbe mai finire una storia del genere? Forse in un fiume. Aperto dal piano sequenza più famoso della storia del cinema, chiuso dall’enorme corpo di Welles che galleggia nel fiume e dalla battuta di Tanya, la sprezzante Marlene Dietrich alla pari del finale di Testimone d'accusa di Billy Wilder: “Era uno sporco poliziotto, ma a suo modo era anche un grand’uomo”. Il film va a finire come doveva e quest’ultima frase è il de profundis per un uomo la cui ombra è più grande della sua forma. Perché questo è il tocco del diavolo.


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Sarà pure datato, ma il film è modernissimo e senza tempo, abitato da un cast eccezionale che accoglie anche dive di un tempo (Zsa Zsa Gábor), che in una parola è semplicemente un capolavoro.

Premi e candidature ce ne sono stati, ma non è un film da Oscar, troppo poco tradizionale. Non c’è sempre il Paradiso per i geni.



 
 
 

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Il Cinema secondo me,

michemar

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