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L'inquilino del terzo piano (1976)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 feb 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 21 gen 2022


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L'inquilino del terzo piano

(Le locataire) Francia 1976, thriller, 2h6’


Regia: Roman Polański

Soggetto: Roland Topor (Le locataire chimérique)

Sceneggiatura: Gérard Brach, Roman Polański

Fotografia: Sven Nykvist

Montaggio: Françoise Bonnot

Musiche: Philippe Sarde

Scenografia: Pierre Guffroy

Costumi: Jacques Schmidt


Roman Polański: Trelkowski

Isabelle Adjani: Stella

Melvyn Douglas: monsieur Zy

Jo Van Fleet: madame Dioz

Bernard Fresson: Scope

Shelley Winters: portinaia

Rufus: Georges Badar

Jacques Monod: barista

Lila Kedrova: madame Gaderian

Jean-Pierre Bagot: ispettore di polizia

Michel Blanc: vicino di Scope

Josiane Balasko: collega di Trelkowski


TRAMA: Un modesto impiegato di origini polacche, Trelkovski, è in cerca di un appartamento a Parigi. Ne trova uno di una ragazza, Simone Choule, che ha tentato il suicidio gettandosi dalla finestra. Trelkovski si reca all'ospedale dove la ragazza versa in fin di vita. Entrato in possesso della stanza, comincia a essere oggetto di una serie di angherie da parte degli inquilini.


Voto 8

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Il cinema provocatorio di Roman Polanski (lo definisco così perché a lui piace e si diverte, immagino io, a raccontare le sue storie strambe per provocare in noi reazioni le più diverse) ha spesso come teatro delle sue tragedie pericolose gli ambienti chiusi e in particolare gli appartamenti. Iniziò con un vero colpo da maestro con ‘Il coltello nell’acqua’ (che creava un ambiente claustrofobico all’aperto!) ma subito ci sfornò ‘Repulsion’, un incubo domestico, poi ‘Rosemary’s Baby’, apice horroristico quasi senza mostri visibili e continuò con tanti altri, fino ad arrivare a ‘Carnage’, litigioso kammerspiel, e passando per questo film in cui si spazia dall’appartamento al relativo condominio. Non molto spazioso quindi.

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E meno male che lo conosciamo, Polanski. Ma chi non lo conosce bene e comincia a vedere un film come questo si immagina una storia come tante, una storia intima di un uomo strano e solitario, mai con tutti i risvolti sorprendenti che si scoprono e che costituiscono invece il cuore del cinema del regista polacco. Mica per nulla lui afferma candidamente “Per quanto possa ricordare, il confine tra fantasia e realtà è sempre stato per me disperatamente incerto.” La sua specialità infatti, come in questo film, è quella di aggirarsi tra l’horror e la suspense mescolando fantasia, realtà e la tragedia personale del personaggio principale. Un cocktail che lui sa mescolare fino a far sussultare lo spettatore con botti d’artificio efficacissimi.


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E siccome lui (come sono convinto) si diverte tantissimo eccolo addirittura questa volta mettersi in gioco in prima persona prendendosi il ruolo del protagonista, un piccolo insignificante ometto, che nessuno noterebbe, la cui vita quotidiana diventa pian piano un incubo. E senza mai quasi capire il come e il perché. Come fosse colpa di un destino dispettoso, una maledizione. Perché in effetti le disavventure dei vari protagonisti delle storie polanskiane sembrano sempre maledizioni del fato. “Delirio, paranoia, schizofrenia del male di vivere” ha scritto qualcuno: tutto addosso ad un ometto ignaro, perfettamente integrato nel fisico di Roman, il quale si è anche divertito a doppiarsi nella versione italiana.

Il quotidiano che diventa incubo.


 
 
 

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