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L'insulto (2017)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 14 feb 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 3 giu 2023


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L’insulto

(L'insulte) Francia/Cipro/Belgio/Libano/USA 2017 dramma 1h53’


Regia: Ziad Doueiri

Sceneggiatura: Ziad Doueiri, Joelle Touma

Fotografia: Tommaso Fiorilli

Montaggio: Dominique Marcombe

Musiche: Éric Neveux

Scenografia: Hussein Baydoun

Costumi: Lara Mae Khamis


Adel Karam: Tony Hanna

Kamel El Basha: Yasser Abdallah Salameh

Camille Salameh: Wajdi Wehbe

Diamand Bou Abboud: Nadine Wehbe

Rita Hayek: Shirine Hanna

Talal Jurdi: Talal


TRAMA: A causa di un banale incidente, tra il libanese cristiano Tony e il rifugiato palestinese Yasser nasce un forte conflitto che li porta a scontrarsi in tribunale. Quella che poteva essere una semplice questione privata tra i due si trasforma in un conflitto profondo che diventa un caso nazionale, dividendo un intero paese segnato da culture e religioni diverse.


Voto 7,5

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“Ma insomma, il problema è il tubo o l’insulto?”

“Non lo so!”

Ecco, in queste due battute si potrebbe racchiudere il senso profondo di un film profondo, di un film molto eloquente per entrare con la mente in quelle terre e capire le infinite guerre del Medio Oriente, specificatamente delle terre del Libano e della Palestina, abitate da etnie e religioni diverse. Ciò che sorprende di più del valentissimo regista Ziad Doueiri è il suo equilibrio, la sua incredibile capacità di rimanere a metà strada tra le due parti duellanti senza schierarsi a favore dell’una o dell’altra. Anzi, mostrandoci due protagonisti caparbi e fieri, entrambi alla disperata ricerca di giustizia, alterna sequenze di trama in cui ora sembra voler favorire l’uno, ora l’altro. Perché egli trova evidentemente giusto poter dare a ciascuno la possibilità di esporre le proprie idee e quindi l’occasione di avere giustizia in una disputa causata da un banale diverbio. È una delle tante storie che accadono nella sua terra che diventa però una storia di tribunale, un vero e proprio legal thriller girato alla maniera classica, quasi un remake copiato da uno dei maestri del legal-movie: Sidney Lumet. Il dibattito in aula infatti copre buona parte del film, ma mai annoiando, mai appesantendo la storia, perché la strepitosa sceneggiatura scritta a quattro mani dal regista stesso e la sua ex moglie Joelle Touma non ci molla un attimo, non fa mai cadere la nostra attenzione. Doueiri stesso richiama l’attenzione sul fatto che non è una storia del Bene contro il Male ma di Bene contro Bene: i personaggi sono – in quanto rifugiati – entrambi vittime e quindi vogliono tutti e due giustizia, con la sola differenza che se uno, Yasser, ormai sfiduciato, non crede più alla giustizia mentre l’altro, l’irascibile Tony, invece la pretende, convinto che gli sia dovuta.

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La lite però diventa da banale litigio – oltre che una causa penale - un caso politico nazionale, un incidente che assume proporzioni inaspettate, come per dare seguito alla ancestrale faida tra le fazioni di maroniti e musulmani che lacera quella terra, infuocando gli animi già esacerbati dei cittadini e di chi segue la vicenda da vicino. Dice il regista: “Nasce tutto dal periodo forse peggiore della mia vita. L’idea arrivò da un evento molto simile a quello scatenante del film. Un incidente stupido tra me e un operaio, degenerato all’improvviso in qualcosa di più grande, doloroso. Lì è finita in uno scambio di insulti e parolacce, ma rimasi ossessionato dall’ipotesi che la lite potesse facilmente divenire un affare nazionale se avessimo continuato su quei binari. Ne parlai con mia moglie, ora ex, che era presente e contribuì a far sì che tornassimo a più miti consigli. Mi scusai col suo capo per il mio comportamento, ma il boss lo licenziò. Allora presi le sue difese: da nemici divenimmo alleati e allora capii. Capii subito che era la premessa, la miccia di qualcosa di importante.”

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Un’opera passionale si potrebbe definirla, perché l’eccellente regista libanese, qui al suo quarto lungometraggio, inquadra il bollente problema dell’odio che divide la popolazione del suo Paese tra cristiani-maroniti e arabi palestinesi raccontandola con sentimento vibrante, tramite una sceneggiatura eccezionale, con una storia che appassiona fin dai primi minuti. Basterebbe un gesto di pace, anche piccolo, una parola breve, “scusa”, ed invece ognuno dei due duellanti non cede di un millimetro, anche se per ragioni diverse.

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Ma il suo sguardo è pieno di speranza e volontà di rappacificazione, perfino non ostile verso le due parti contendenti, creando quindi lo scontento su entrambi i fronti. Motivo per cui, dopo il tripudio ricevuto a Venezia e uno dei protagonisti, Kamel El Basha, premiato con la Coppa Volpi, il sorpreso regista è stato arrestato appena rientrato in patria. Ulteriore dimostrazione della situazione caotica e nervosa che regna nel Paese.

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Oltre ad una regia praticamente perfetta, una recitazione che sbalordisce da parte di tutti gli attori (ma che bravi Kamel El Basha e Adel Karam, meritavano entrambi la Coppa Volpi!) e una sceneggiatura da Oscar con dialoghi di forte impatto e coinvolgenti, è un film che rapisce e incanta, parla con il cuore e l’anima e lascia un senso di rabbia perché si prova impotenza davanti alle orribili vicende dei massacri e delle rivolte che tutt’oggi insanguinano il Medio Oriente che qui vengono mostrate con alcuni reperti filmati originali. Ma anche uno sprazzo di speranza, un lampo di luce positiva si avverte nella conclusione del film, quando finalmente i due uomini si guardano negli occhi senza più odio.

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Ma il suo sguardo è pieno di speranza e volontà di rappacificazione, perfino non ostile verso le due parti contendenti, creando quindi lo scontento su entrambi i fronti. Motivo per cui, dopo il tripudio ricevuto a Venezia e uno dei protagonisti, Kamel El Basha, premiato con la Coppa Volpi, il sorpreso regista è stato arrestato appena rientrato in patria. Ulteriore dimostrazione della situazione caotica e nervosa che regna nel Paese.

Oltre ad una regia praticamente perfetta, una recitazione che sbalordisce da parte di tutti gli attori (ma che bravi Kamel El Basha e Adel Karam, meritavano entrambi la Coppa Volpi!) e una sceneggiatura da Oscar con dialoghi di forte impatto e coinvolgenti, è un film che rapisce e incanta, parla con il cuore e l’anima e lascia un senso di rabbia perché si prova impotenza davanti alle orribili vicende dei massacri e delle rivolte che tutt’oggi insanguinano il Medio Oriente che qui vengono mostrate con alcuni reperti filmati originali. Ma anche uno sprazzo di speranza, un lampo di luce positiva si avverte nella conclusione del film, quando finalmente i due uomini si guardano negli occhi senza più odio.

Un film che si può giudicare universale, perché le divisioni politiche, razziali, di religione sono fuochi che diventano incendi in tutte le parti del mondo: errore considerarlo un film su una storia privata, su una banale contesa tra persone. L’insulto riguarda tutti.


Riconoscimenti

2017 - Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia

Migliore interpretazione maschile a Kamel El Basha

2018 - Premio Oscar

Candidatura per il miglior film straniero



 
 
 

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