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L’odore della notte (1998)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 set
  • Tempo di lettura: 3 min
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L’odore della notte

Italia 1998 dramma/crime 1h45’

 

Regia: Claudio Caligari

Soggetto: Dido Sacchettoni (Le notti di arancia meccanica)

Sceneggiatura: Claudio Caligari

Fotografia: Maurizio Calvesi

Montaggio: Mauro Bonanni

Musiche: Pivio, Aldo De Scalzi

Scenografia: Maurizio Marchitelli

Costumi: Tiziana Mancini

 

Valerio Mastandrea: Remo Guerra

Marco Giallini: Maurizio Leggeri

Giorgio Tirabassi: Roberto Salvo

Emanuel Bevilacqua: Marco Lorusso “Il Rozzo”

Alessia Fugardi: Rita

Elda Alvigini: Michela

Federico Pacifici: Mezzalira

Giampiero Lisarelli: Attilio

Cristiana Ciacci: Teresa

Little Tony: sé stesso

Francesca D’Aloja: finta ricca

Natale Tulli: padre del Rozzo

 

TRAMA: Un gruppo di rapinatori dell’estrema periferia romana si specializza nell’assalto ai quartieri alti. Il capo è Remo, un poliziotto di stanza a Torino, totalmente identificato nel suo ruolo da aver messo a punto un’efficace tecnica criminale: pedina le sue vittime per strada seguendole in macchina, per poi farsi aprire le porte della loro casa

 

VOTO 6,5


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Nella Roma tra il 1979 e il 1983, un giovane borgataro, Remo Guerra, è poliziotto di giorno e di notte capo riconosciuto di una banda che toglie ai ricchi romani, con violenza e minacce, in nome di un riscatto sociale altrimenti irraggiungibile. La sua anima proletaria, non paga dell’autorità conferitagli dal ruolo di tutore della legge, si ribella nel solo modo datogli dall’appartenenza al mondo delle borgate, ossia rubando. Nel vano tentativo di cambiare strada, con i suoi complici, aprirà un bar in periferia, ma anche questo episodio si rivelerà marginale, poiché egli sembra affidare il proprio destino alla sua definitiva cattura.


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Il film si ispira al romanzo-verità del giornalista Dido Sacchettoni “Le notti di arancia meccanica” che ricostruisce le gesta di quella che, tra il 1979 e il 1983, fu celebre a Roma come “la banda dell’Arancia meccanica”, un gruppo di delinquenti che irrompeva nelle case dei ricchi, malmenava e terrorizzava i presenti e fuggiva con ricchi bottini. Sacchettoni intervistò in carcere più volte il vero protagonista per poterne ricavare un testo, duro ma sincero, della vita dell’estrema periferia romana a cavallo fra due decenni.


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Il secondo lungometraggio del regista, a 15 anni dal suo esordio Amore tossico, parte di una ideale trilogia che si chiude con Non essere cattivo, ed è un noir urbano che pulsa di rabbia, disincanto e poesia criminale, che ci trascina in una Roma notturna e febbricitante, dove il confine tra giustizia e delinquenza si dissolve sotto i colpi di una narrazione brutale e lirica. Il protagonista, Remo Guerra (interpretato da un magnetico Valerio Mastandrea), è un poliziotto che di giorno indossa la divisa e di notte la maschera del rapinatore. Ma più che un doppio, è un uomo scisso, divorato da un’identità che non trova pace.


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La macchina da presa è nervosa, quasi febbrile, come se cercasse di inseguire il battito cardiaco della città. La Roma che ci mostra non è quella da cartolina, ma un ventre oscuro, popolato da anime in pena e codici di sopravvivenza. Il montaggio serrato e le musiche ipnotiche di Pivio e Aldo De Scalzi amplificano il senso di alienazione, mentre la fotografia di Maurizio Calvesi scolpisce volti e periferie con una luce sporca e sincera.



È molto più di un crime movie: è una riflessione sulla deriva esistenziale, sulla violenza come linguaggio e sulla solitudine come condanna. Remo non è un eroe negativo, ma un figlio bastardo della società, una sorta di Frank Costello di Ostia Lido. Il film si nutre di echi esistenzialisti e di una rabbia che non cerca redenzione.


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Valerio Mastandrea è strepitoso: il suo monologo interiore, che alterna prima e terza persona, è una danza schizofrenica che ricorda certi personaggi tarantiniani, ma con una malinconia tutta italiana. Accanto a lui, Marco Giallini e Giorgio Tirabassi completano un cast che vibra di autenticità.


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Film che colpisce, cinema che sporca le mani, che non cerca consolazioni, ma verità. Caligari, con la sua regia viscerale, ci regala un’opera che profuma di sangue, sudore e sogni infranti. Un viaggio al termine della notte romana, dove l’unico bagliore è quello di una pistola puntata contro il destino.


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Fu uno dei due film italiani presentati fuori concorso alla 55ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1998.


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Riconoscimenti

Nastro d’Argento 1999

Candidatura al migliore attore protagonista a Valerio Mastandrea

Candidatura al migliore attore non protagonista a Little Tony

Candidatura al miglior produttore

 


Commenti


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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