L’ombra del diavolo (1997)
- michemar

- 4 nov
- Tempo di lettura: 3 min

L’ombra del diavolo
(The Devil’s Own) USA 1997 thriller 1h51’
Regia: Alan J. Pakula
Sceneggiatura: David Aaron Cohen, Vincent Patrick, Kevin Jarre
Fotografia: Gordon Willis
Montaggio: Tom Rolf, Dennis Virkler
Musiche: James Horner
Scenografia: Jane Musky,
Costumi: Bernie Pollack
Harrison Ford: Tom O’Meara
Brad Pitt: Frank McGuire / Rory Devaney
Margaret Colin: Sheila O’Meara
Rubén Blades: Edwin Diaz
Treat Williams: Billy Burke
George Hearn: Peter Fitzsimmons
Mitch Ryan: Jim Kelly
Natascha McElhone: Megan Doherty
Paul Ronan: Sean Phelan
Simon Jones: Harry Sloane
Julia Stiles: Bridget O’Meara
TRAMA: Un membro dell’IRA scappa a New York e si nasconde a casa di un poliziotto, ignaro della sua identità. Il nuovo arrivato si integra nella famiglia, mentre organizza un grosso acquisto di armi per la sua organizzazione.
VOTO 6

Quando si diffuse la notizia che Brad Pitt aveva criticato pubblicamente la produzione del film, dichiarando che avrebbe abbandonato il progetto se non fosse stato vincolato da contratto, le aspettative sul film crollarono. Con queste premesse, ci si aspettava un disastro. Eppure, il film non è così pessimo come si temeva. Certo, ha alcuni problemi, ma nel complesso non è una perdita di tempo. Merito soprattutto della presenza scenica di Brad Pitt e Harrison Ford, che riescono a tenere in piedi la narrazione anche quando la sceneggiatura vacilla.


Il film si apre con un prologo ambientato nel 1972, seguito da un salto temporale di vent’anni a Belfast. Frankie Maguire (Brad Pitt), membro dell’IRA con oltre 18 omicidi alle spalle, fugge negli Stati Uniti per acquistare missili Stinger da un trafficante d’armi (Treat Williams) e portarli in Irlanda. Viene ospitato da Peter Fitzsimmons (George Hearn), simpatizzante dell’IRA, che lo sistema a casa di Tom O’Meara (Harrison Ford), un poliziotto onesto e devoto alla famiglia. Tom e Frankie, sotto il falso nome di Rory Devaney, diventano amici. Ma il primo ignora il passato violento del suo ospite, finché un gruppo di uomini armati irrompe in casa sua, minacciando la moglie.


Per buona parte della durata, il film funziona come thriller discreto. Alcuni elementi della trama, come il traffico di missili, sono poco credibili, ma non insoliti per il genere. I momenti migliori sono quelli più intimi: i dialoghi tra i due protagonisti, le scene familiari, e una sottotrama in cui Tom riflette sulla propria morale dopo che il collega spara ad un sospetto in fuga.


Purtroppo, l’ultima mezz’ora del film è debole: i personaggi iniziano a comportarsi in modo irrazionale e la tensione si trasforma in frustrazione. Il finale è solido, ma il percorso per arrivarci è confuso e poco convincente. Come spesso accade nei film sull’IRA, la politica è presente ma trattata con equilibrio da Alan J. Pakula, che cerca di mostrare il conflitto senza giudizi netti, evidenziando come la percezione americana del patriottismo irlandese sia spesso distorta.


Brad Pitt riesce a rendere Frankie un personaggio complesso e persino simpatico, nonostante il suo passato sanguinoso. Harrison Ford interpreta un poliziotto integro, simile al Jack Ryan che ha interpretato due volte, come sempre con una moralità quasi perfetta. È una delle caratteristiche dei suoi personaggi.

In definitiva, il film non sfrutta appieno il potenziale del suo cast né della sua trama politica, ma è ben ritmato e, se visto senza troppe pretese, può risultare piacevole. Tuttavia, chi presta attenzione ai dettagli noterà che l’ultimo atto è il punto debole. Un film che si salva grazie ai suoi interpreti, ma che non lascia un segno profondo, un thriller che, pur non privo di difetti, riesce a intrattenere grazie alla forza del suo cast e a momenti di buona tensione.






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