L'ombra della violenza (2019)
- michemar

- 19 ago 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 14 set 2024

L'ombra della violenza
(Calm with Horses) Irlanda/UK 2019 noir 1h40’
Regia: Nick Rowland
Soggetto: Colin Barrett (racconto breve)
Sceneggiatura: Joe Murtagh
Fotografia: Piers McGrail
Montaggio: Nicolas Chaudeurge, Matthew Tabern, Andonis Trattos
Musiche: Blanck Mass
Scenografia: Damien Creagh
Costumi: Sharon Long
Cosmo Jarvis: Douglas “Arm” Armstrong
Barry Keoghan: Dympna Devers
Niamh Algar: Ursula
Ned Dennehy: Paudi Devers
David Wilmot: Hector Devers
Kiljan Moroney: Jack
Anthony Welsh: Rob
Simone Kirby: Jules
TRAMA: Nel più profondo delle campagne dell'Irlanda, l'ex pugile Arm è diventato il più temuto difensore della famiglia di spacciatori Devers mentre al contempo si sforza di essere un buon padre per Jack, il figlio autistico di soli cinque anni. Diviso tra le sue due diverse famiglie, Arm si ritrova davanti a una decisione difficile quando gli viene chiesto di uccidere per la prima volta. Il suo tentativo di fare la cosa giusta metterà in pericolo tutti coloro che gli sono cari.
Voto 7

Come dice il Dom Doretto di Vin Diesel, il celebre protagonista della serie Fast & Furious: “Io non ho amici. Ho una famiglia”, Douglas Armstrong per tutti Arm espande il concetto, che diventa “I Devers non si preoccupano del sangue. Dicono che ti rende solo imparentato. Era lealtà ... La lealtà ti ha reso parte della famiglia”. Lo si intuisce immediatamente sin dalla prima scena in cui il muscoloso e taurino personaggio si presenta con la propria voce allo spettatore. “Dicono che ero un bambino violento. Di solito verso me stesso. Sbattevo continuamente la testa contro i muri. Mi tormentavo le dite finché non sanguinavano. Chi si metteva nella mia strada era un bersaglio. […] Posso fare del male ma non c’è odio dentro di me. Non sono solo gli uomini malvagi ad essere violenti, a volte è solo un modo di dare un senso al proprio mondo.” Il gigantesco e triste Douglas di Cosmo Jarvis esemplifica questo senso di lealtà con i Devers, un clan di mafiosi irlandesi (tutto il film è recitato con forte accento locale, come la totalità del cast fatta la sola eccezione dell’attore), una gang succhiasangue che sembra essere la vera ragione per cui è così nuvoloso e grigio il cielo in quell’angolo d'Irlanda. Douglas non è di sangue Devers: ha una sua tossicità che lo ha reso un bambino autoproclamatosi violento e, in seguito, un pugile. È stato assunto come braccio violento dallo sfacciato teppista Dympna (Barry Keoghan) agli ordini dei suoi due zii, Hector e Paudi, spacciatori di droga, dopo un incontro di boxe quando lui ha accidentalmente ucciso l’avversario sul ring.
Quali siano i compiti nell’ambito della famiglia lo si capisce subito, allorquando il suo mentore nell’ambito del clan, Dympna appunto, gli impartisce l’ordine che ha appena ricevuto dagli zii: eliminare Fanningan, che ha approfittato della adolescente Charlie, una delle donne di casa, sempre sedute sul divano a guardare la TV o ad assistere alle scene di famiglia (sembra di rivedere le femmine di The Fighter, Animal Kingdom e similari). Non è mai entusiasta quando gli affidano compiti di questo tipo, ma è l’unica maniera per sopravvivere e di guadagnare qualcosa in questa vita ormai sballata che vive. Almeno per dare qualche soldo a Ursula, la donna che gli ha dato un figlio, il piccolo Jack purtroppo autistico come forse era anche lui da bambino. Il piccolo di 5 anni ha bisogno di cure, di assistenza, meglio ancora di ippoterapia che lo tenga calmo e felice (ecco il motivo del titolo originale, ben più esplicativo). Se sgarra in queste spietate operazioni punitive non la scampa, perché il duo Hector e Paudi sono implacabilmente severi e non gli perdonerebbero alcuna disobbedienza o atti di infedeltà.
Il rimbalzare di Arm tra la malavita e gli affetti persi, da quando Ursula vive per conto suo dopo essersi accorta che lui non dedica la giusta e sufficiente attenzione e il tempo necessario per stare con il bimbo e aiutarla a farlo stare meglio, lo rende irrequieto e perennemente nervoso, non potendo fare torti alla banda e non volendo farne a quella famiglia mai veramente costituita. Lei lo caccia sempre, anche perché le promesse di una vita migliore sono sempre chiacchiere. Un classico. Ma, comunque, deve barcamenarsi tra le due situazioni: non è, come si è autodefinito inizialmente, un soggetto veramente cattivo, lui si salva con le uniche possibilità che la vita gli sta offrendo. Tant’è che l’omicidio punitivo che deve commettere non riesce a compierlo, mentendo al più che sballato Dympna e ai suoi mandanti. E ora sa bene che sta rischiando grosso, come non mai. E quando può si dedica dolcemente a quel bambino difficile, cercando di non perdere del tutto il legame con la madre, ma è sempre sul filo del rasoio, ogni scena può essere quella in cui si scatena con il suo possente fisico, come in quella in cui scopre che Ursula simpatizza per Rob, il responsabile del maneggio dove porta il piccolo.
La calma, quindi, è solo nel verde campo dei cavalli, altrove è solo violenza in prospettiva e pratica, che pende in ogni momento della strampalata vita condotta assieme al giovanotto che se lo trascina sempre dietro, in auto o al bar dove esercita la sua prepotenza di giovane criminale nipote di chi spadroneggia nella cittadina. Scene aggressive e feroci, tra alcol ed eroina, legami potenziali e rapporti basati sul terrore. Lui sopporta silenziosamente, sperando di cogliere l’occasione buona per riunire donna e figlio. Opportunità che nel finale arriva, ma non è un’azione facile, deve sfidare l’ira dei padroni, deve riuscirci e magari sparire, ma soprattutto dare un gruzzolo sufficiente ad Ursula per poter andare finalmente via, lì dove pare abbia trovato un buon lavoro.
La tensione è continua e tangibile, la ferocia è in ogni angolo, buio o chiaro che sia, mentre Arm sopporta stoicamente ogni sofferenza intima e fisica. L’esordio nel lungometraggio del giovane (allora 29enne all’uscita del film) Nick Rowland è di quel tipo promettente che ci fa ben sperare per il futuro suo e dei cinefili. Il lavoro è indubbiamente preciso, delineando con efficacia le terribili figure che abitano la trama, barcamenandosi abilmente tra inquadrature panoramiche della triste e bellissima Irlanda e i primi piani delle facce dei criminali, come si suol fare normalmente in questo genere di film. La bella fotografia di Piers McGrail lo aiuta molto dando colori forti (la bellissima natura è una dote da sfruttare) sia al panorama che agli interni, dove predominano il grigioverde e il verde conclamato, il rosso bruno del sangue e della collera. Scene di falsa calma si alternano a sequenze d’azione, mai di grande movimento ma di grande carica emotiva.
La scelta degli attori è del tutto indovinata: Cosmo Jarvis lo avevamo già notato in Lady Macbeth (di William Oldroyd, con la superba Florence Pugh) ma qui il suo fisico la fa da padrona, accompagnato da un eccellente interpretazione anche dal lato drammatico; gli zii Ned Dennehy e David Wilmot hanno l’adeguato physique du rôle per i ruoli affidati, sbavanti potere e crudeltà senza scrupoli, pronti a far valere la loro invadente prepotenza; l’ottima Niamh Algar (Ursula) ha una incisiva personalità d’attrice che meriterebbe ampi scenari; lascio alla fine Barry Keoghan, giovanotto ormai ben conosciuto, affermatosi nei ruoli più destabilizzanti in giro in Europa, rivelatosi con il suo gesticolare così particolare e con espressioni da perenne squilibrato che lasciano interdetto lo spettatore sin dai tempi dal geniale Yorgos Lanthimos (Il sacrificio del cervo sacro). Oggi è facile quando hai bisogno di un personaggio così: chiami lui e sei a posto!
È il film che non ti aspetti, se non lo conosci o non viaggia il passaparola non lo si trova sul proprio cammino. Ed invece conviene: buonissimo, lento il giusto, compassato come conviene ad un noir ad alta tensione senza l’eccessiva azione: qualche pugno poderoso, qualche sparatoria, un solo inseguimento ma al cardiopalma, alcuni attrezzi per fare molto male, un finale degno di un noir drammatico quando l’antieroe deve scegliere da che parte stare.
Che pretendere di più? Tanto da essere stato presentato per la prima volta al Toronto International Film Festival 2019.
Tra i numerosi riconoscimenti:
BAFTA 2021
Candidatura miglior film britannico
Candidatura miglior attore non protagonista a Barry Keoghan
Candidatura miglior attrice non protagonista a Niamh Algar
Candidatura miglior casting
































Commenti