L’ombra delle spie (2020)
- michemar

- 30 ago 2021
- Tempo di lettura: 6 min

L’ombra delle spie
(The Courier) UK/USA 2020 thriller 1h52’
Regia: Dominic Cooke
Sceneggiatura: Tom O'Connor
Fotografia: Sean Bobbitt
Montaggio: Tariq Anwar, Gareth C. Scales
Musiche: Abel Korzeniowski
Scenografia: Suzie Davies
Costumi: Keith Madden
Benedict Cumberbatch: Greville Wynne
Merab Ninidze: Oleg Penkovsky
Rachel Brosnahan: Emily Donovan
Jessie Buckley: Sheila Wynne
Angus Wright: Dickie Franks
Željko Ivanek: McCone
Kirill Pirogov: Gribanov
Anton Lesser: Bertrand
Maria Mironova: Vera
Vladimir Chuprikov: Nikita Krusciov
TRAMA: La vera storia di Greville Wynne, un uomo d'affari britannico involontariamente coinvolto in uno dei più grandi conflitti internazionali della storia. Formando un'improbabile alleanza con un ufficiale sovietico nella speranza di prevenire uno scontro nucleare, Wynne lavorerà insieme a lui per porre fine alla crisi dei missili cubani.
Voto 7

Il 16 ottobre 1962 al presidente John F. Kennedy vennero consegnate delle fotografie che, scattate dagli aerei militari che sorvolavano Cuba, mostravano soldati sovietici intenti a mettere testate nucleari sull'isola caraibica. La crisi dei missili di Cuba è nata in quell'istante e ha portato il mondo sull'orlo della guerra nucleare. Sulla scia delle elezioni presidenziali del 2016, lo sceneggiatore O'Connor ha cominciato a interessarsi della storia dello spionaggio russo-americano e si è imbattuto nella figura di Oleg Penkovsky, un alto funzionario moscovita, perfino molto vicino a Nikita Krusciov, che per amore della pace che lui vedeva minacciata proprio dall’aumento della produzione delle armi nucleari da parte delle due superpotenze e mosso dal convinto timore della instabilità mentale del capo della sua nazione, divenne in maniera rocambolesca una leggendaria spia al servizio degli Stati Uniti. Leggendo un libro, tra le righe, O’Connor ha scoperto come il contatto di Penkovsky (in codice Ironbark) fosse un civile inglese di nome Greville Wynne. Approfondendo la cosa, ha capito come il ruolo di Wynne fosse stato diverso di quanto le fonti ancora oggi rivelino o raccontino. Lo stesso Wynne, in un'autobiografia del 1967, scrisse cose che secondo molti non erano realmente accadute in quella maniera. Nacque così l’idea di fare un film di spionaggio e non solo, perché si decise di aumentarne il lato drammatico e arricchirlo di buoni personaggi, pathos e umanità.

Come spiegano le didascalie dei primi secondi della pellicola, è quindi un film “ispirato” a una storia vera, basata sul fatto che appunto nel 1960 la corsa agli armamenti nucleari si era intensificata e sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica possedevano già una quantità di armi in grado di annientare l’intera umanità. Quando Krusciov e i suoi interlocutori americani iniziarono a scambiarsi minacce, molti temettero che il mondo fosse sul punto di essere distrutto. Inizia così una storia che parrebbe incredibile dal momento che, come ben sappiamo, il mondo dello spionaggio è frequentato da gente addestrata e da professionisti di alto affidamento, mai da dilettanti, o, come viene detto nel film, da amateur. Invece succede che l’MI6 britannico e la CIA americana pensarono di avvicinare il personaggio sovietico pronto a collaborare con l’Occidente, mediante l’intervento di una persona comune, un cittadino senza storia se non quella ordinaria di famiglia borghese, lontana mille miglia dagli intrighi politici e militari. L’inglese Dickie Franks e l’americana Emily Donovan adocchiarono un uomo d’affari londinese che trattava commercio di vario tipo soprattutto tecnologico in vari stati europei di nome Greville Wynne, che però non era mai stato oltre la mitica e temibile cortina di ferro e che quando, durante un pranzo di lavoro, gli fu prospettato il progetto fece un salto sulla sedia e, incredulo, pensava che i due scherzassero. Un lavoro di spionaggio da corriere con la copertura di agente commerciale che cercasse di vendere prodotti ai sovietici? Era un’idea alquanto bizzarra, ma si sa, il senso del patriottismo e dell’utilità verso la Nazione può spingere le persone ad osare. Con un po’ di preoccupazione, un po’ per spirito d’avventura e un po’ perché la promessa era quella che le spericolatezze sarebbero durate poco, Wynne accettò con l’ovvia promessa di non far menzione della cosa neanche alla adorata moglie Sheila. E fu così che Greville partì con il primo volo utile per prendere contatto con il comitato centrale per gli affari commerciali sovietici, in cui sedeva anche l’atteso Oleg Penkovsky.

Tralasciando le prevedibili peripezie, facilmente sormontabili all’inizio, come ogni buon thriller di spionaggio insegna, la storia, infittendosi man mano, diventa sempre più ingarbugliata ma ciò che dà un tono differente al solito cliché è la nascita di una sincera amicizia tra i due uomini che porterà alla lunga ad un legame sincero, sino alla volontà dell’inglese di fare l’impossibile per tirarlo fuori dall’URSS quando le cose cominciano a precipitare, avendo, come ovvio, anche i sovietici i loro occhi a Londra. Una trama di traffici di informazioni sul dislocamento delle rampe di lancio nell’isola di Cuba che diventa una trama di rapporti umani: tra i due uomini; delle crescenti difficoltà tra Wynne e la moglie che non capiva il motivo di tanti viaggi a Mosca (tradimento passionale dopo la prima scappatella perdonata?); del sogno del russo che immaginava un futuro nel Montana con la famiglia a fare il cowboy in una zona che gli avrebbe ricordato il lontano luogo d’origine nella campagna dell’Est europeo. Insomma, una serie di complicazioni sociali e relazionali che arricchiscono la trama di base, proprio come era nelle intenzioni iniziali dello sceneggiatore e del regista.

Dopo i primi dieci minuti di chiaro stampo classico, con un eccellente ambientazione sia di Londra che di Mosca anni Sessanta, girati con una bellissima fotografia dai colori carichi, si viene proiettati in quegli anni frenetici per la ripresa economica e dominati dal raffronto piuttosto duro tra le due superpotenze mondiali, dai discorsi imperiosi del leader sovietico e dalla politica innovativa di John Kennedy. Lo spionaggio internazionale è notevolmente attivo e nello stesso tempo non c’è da fidarsi di alcuno, dato che gli infiltrati sono il pericolo maggiore per i segreti di stato e per l’allestimento degli armamenti da ambo le parti, ma soprattutto per l’alto rischio per la copertura delle spie in missione. Motivo per il quale gli incaricati della Gran Bretagna e degli USA si muovono con molta prudenza nella scelta dell’individuo da utilizzare per mettersi in contatto con il funzionario d’oltre cortina e ricevere le informazioni supersegrete di cui egli può disporre: chi meglio di un anonimo cittadino inglese che non dovrebbe destare sospetti? Se anche Greville Wynne è totalmente impreparato, oltre che intimidito dall’arduo compito che vogliono affidargli, non è un problema o un difetto, anzi è la persona più adatta per non svegliare l’attenzione dei nemici dell’occidente. È la persona giusta che possa far la spola tra Mosca e Londra facendo da corriere (ecco l’efficace titolo originale) per far viaggiare i piccoli plichi contenenti le informazioni trafugate. Dopo i primi timori, l’uomo d’affari ci trova quasi gusto, rendendosi conto della grande utilità della sua missione e in più viene spinto dall’amicizia che nasce tra i due con la frequentazione moscovita e dalla scoperta della vita mondana e artistica nella capitale russa. È proprio nel prestigioso teatro Bolshoi che scopre la magnificenza del balletto e delle sinfonie di Tchaikovsky, fino a commuoversi con le lacrime nel finale del Lago dei cigni. L’uomo che guadagnava bene con i suoi affari commerciali, che giocava pessimamente a golf e che aveva (a sue parole) l’unica dote di essere un buon bevitore, scopre anche la bontà della vodka svolgendo un lavoro a cui non avrebbe mai pensato.

Il regista Dominic Cooke, che ha poca notorietà se non per il delizioso Chesil Beach - Il segreto di una notte (recensione), al suo quarto lungometraggio si rivela buonissimo costruttore di una palpitante spy-story, molto ben scritta ed efficacemente guidata, in cui le musiche di Abel Korzeniowski si rivelano un eccellente commento per accompagnare le peripezie dei personaggi, con bei valzer dal sapore sinfonico russo e adatti brani nell’ambiente londinese o nelle poche sequenze di azione. Nell’ambito di questo bel quadro si muovono ottimi attori: Merab Ninidze nei panni del traditore russo, Rachel Brosnahan in quelli della energica americana incaricata dalla CIA per questa rocambolesca operazione (forse un po’ troppo giovane, ma va bene lo stesso), Angus Wright che benché americano veste col giusto aplomb quelli del dirigente dell’MI6, la bravissima Jessie Buckley che non finisce mai di stupire per il suo talento nei ruoli più diversi, che è Sheila, la moglie del protagonista. Eccoci quindi a Benedict Cumberbatch, la cui bravura è conosciuta da tempo, ma che nel personaggio affidatogli di Greville Wynne diventa gigantesco, con una sequela di movimenti ed espressioni che il regista premia con adeguati primi piani. Con la sua interpretazione da 10 e lode, tiene in mano tutto il film e ne tratteggia il carattere con estremo carisma. Eccellente! L’unica nota anomala che si può notare è la pronuncia perfetta dell’inglese dei russi, a cominciare appunto dal bravo Merab Ninidze, a cui evidentemente il regista non ha richiesto di caratterizzarla con la cadenza russa.

Un ottimo film (facile andare con la mente ad un film molto simile, Il ponte delle spie di Spielberg (recensione) che tiene alta l’attenzione e l’interesse dall’inizio alla fine, quando nei titoli di coda vengono mostrati i filmati originali del vero Greville Wynne, a conferma della veridicità della storia.
Attenzione: spoiler.
Greville Wynne riprese a fare il suo lavoro. Si spense serenamente nel 1990.
Oleg Penkovsky fu giustiziato e sepolto in una tomba senza lapide. Alla moglie e ai figli fu concesso di vivere tranquilli a Mosca.
Wynne e Penkovsky riuscirono e trafugare dall’URSS oltre 500 documenti militari top secret. Penkovsky è considerato la più autorevole fonte sovietica mai reclutata in Occidente.
Poco dopo la fine della crisi dei missili cubani, fu installata una linea rossa tra la Casa Bianca e il Cremlino. Questo ha impedito che il mondo si ritrovasse sull’orlo di una catastrofe nucleare.






Commenti