L’ospite inatteso (2007)
- michemar

- 22 set 2022
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 5 mar 2024

L’ospite inatteso
(The Visitor) USA 2007 dramma 1h44’
Regia: Tom McCarthy
Sceneggiatura: Tom McCarthy
Fotografia: Oliver Bokelberg
Montaggio: Tom McArdle
Musiche: Jan A.P. Kaczmarek
Scenografia: John Paino
Costumi: Melissa Toth
Richard Jenkins: prof. Walter Vale
Haaz Sleiman: Tarek Khalil
Danai Gurira: Zainab
Hiam Abbass: Mouna Khalil
Marian Seldes: Barbara
Maggie Moore: Karen
Michael Cumpsty: Charles
Richard Kind: Jacob
Amir Arison: Mr. Shah
TRAMA: Il solitario professor Walter Vale, un accademico che insegna economia nel Connecticut, torna a New York per una conferenza e al suo arrivo trova il suo appartamento in città - da lungo tempo lasciato disabitato - occupato da una coppia di immigrati illegali: Tarek e Zainab. Dopo il primo momento di spavento e di sconcerto, si stabilisce un dialogo e, poiché i due non saprebbero dove andare, il professore accetta di dare loro ospitalità. Il contatto casuale si trasforma in un'occasione importante che cambierà molte cose nelle vite dei tre protagonisti.
Voto 8

Il professor Walter Vale è vedovo e solitario, si può affermare che ha una vita noiosa nella casa nel Connecticut. Timido, taciturno, si fa gli affari suoi e la limitatezza della vita professionale si sintetizza nel fatto che gli è stato assegnato solo un corso nel college locale. Tenta di vivacizzare l’esistenza cercando di imparare a suonare il pianoforte, nonostante manchi del talento necessario, particolare che anche la sua insegnante a domicilio gli fa notare. Lui ne è cosciente e ci prova anche con poca convinzione, lo fa solo perché la moglie, deceduta da qualche anno, era una pianista. La sua vita è monocolore, monotona, grigia. Un giorno il prof viene incaricato di partecipare a una conferenza sulla politica e lo sviluppo globale presso la New York University e di tenere una relazione sul libro di cui è co-autore con una collega. Almeno così risulta ufficialmente. Invece, nel finale, confiderà che quel libro lui lo ha solo letto, non avendo contribuito neanche con una parola. È proprio una esistenza senza un picco, una storia incolore e mediocre.

Quando quindi arriva nell’appartamento che possiede a New York, un’abitazione praticamente disabitata in quanto vi si reca raramente, ecco la sorpresa, anzi un vero colpo di scena inaspettato che sfiora un reato vero e proprio: appena entrato si rende conto che qualcuno ne ha preso possesso. Non è certo il tipo che prende un’arma per provvedere alla sua sicurezza, tutt’altro. Mansueto com’è cerca di capire la situazione e scopre che una giovane coppia di immigrati illegali ha approfittato dell’occasione e, ingannati da un truffatore, lo hanno affittato e vi si sono installati. Spaventato, piuttosto che arrabbiato, scopre la realtà: i due sono Tarek Khalil, un siriano che si guadagna da vivere come musicista, da artista di strada, suonando uno strumento a percussione spesso con altri per le vie della città sognando di farlo nella metropolitana dove, dice, si guadagna di più; l’altra, la sua compagna africana, è Zainab, che gestisce una bancarella da ambulante dove vende prodotti artigianali senegalesi che fabbrica con le sue mani. Vivono lì, in quell’appartamento, convinti di non essere disturbati da alcuno e con la prudenza dettata dalla consapevolezza di essere clandestini.

Questa è la situazione di partenza e sfido chiunque a trovare una persona così civile che invece di tirar fuori la sua arma personale, come fanno tanti americani, prova a capire e invece di cacciarli ignominiosamente fa domande, si interessa alla loro storia, trovandoli educati e persino terrorizzati da un’eventuale denuncia che porterebbe solo all’espatrio forzato e rimandati nel posto da dove sono scappati. Anzi, va a finire che Vale simpatizza con i due e li invita a condividere la casa, a restare con lui e a non agitarsi. Nasce così, insperabilmente per la coppia, un rapporto di fiducia e amicizia solidale, tanto che Tarek invita il padrone di casa a provare a suonare il suo strumento e ad andare a sentirlo in uno di quei concerti improvvisati in una piazzetta, praticamente il suo concerto al Jules Live Jazz. Walter è affascinato dal suo tamburo africano perché senza saperlo Tarek gli ha risvegliato la voglia di suonare finalmente uno strumento, riuscendo malissimo con il pianoforte che ha lasciato nel Connecticut e il giovane si offre di insegnargli come suonarlo.

Tutto fiabesco, vero? Sembra un sogno e difatti, ancora una volta, il sogno americano viene non interrotto ma proprio infranto, demolito, e che i due bei giovani siano bravissime persone che non fanno male a nessuno e che hanno bisogno di asilo per motivi umanitari, ma soprattutto di sopravvivenza, non importa a nessuno. Sono da condannare? Per la legge americana, come per tutte le società occidentali e non solo, i clandestini sono paragonabili ai criminali, che commettano reati oppure no: la loro colpa, come quella di altre migliaia di altri, è il fatto stesso che sono entrati senza permesso, esattamente come sono penetrati nell’appartamento del professore. Con la differenza che il professore Walter Vale si è informato, ha capito e ha permesso, per poi fare una leale amicizia contraccambiata, persino stima, invece lo stato, come suo dovere cieco e sordo, applica leggi spietate che non hanno nulla di umanitario. A causa però di un episodio sfortunato e fortuito nella metropolitana, Tarek viene arrestato e mandato in un centro di detenzione per immigrati clandestini nel Queens lasciando nella disperazione la sua cara Zainab e l’allibito professore.

L’arrivo improvviso della madre del giovane, l’incantevole signora Mouna Khalil, che vive nel Michigan e che impensierita dalla mancanza di notizie del figlio e all’oscuro degli ultimi avvenimenti negativi, scombussola la situazione e il buon Walter si trova a gestire una situazione vieppiù complicata, ospitando tra l’altro anche la signora mediorientale che risveglia sopiti desideri di vedovo. Diventerà una corsa contro il tempo ma anche una guerra tra Davide e Golia. Se all’improvviso si accende un lume di sentimenti nel grigio uomo che è stato fino a questo momento Vale, ciò non vuol dire che il film si tinga di romanticismo, l’intermezzo sentimentale è solo una pausa durante il declino umano del contesto: c’è da salvare Tarek prima che venga messo su un aereo senza ritorno. È qui che si affaccia il dramma, magnificamente dipinto dal regista Tom McCarthy, che rivedremo all’opera per altre vicissitudini angosciose in Il caso Spotlight (2015) e, per un argomento assimilabile, La ragazza di Stillwater (2021): il suo lavoro punta severamente il dito verso l’implacabile destino che si abbatte sul siriano come se fosse un pericoloso assassino, che nessun ufficio legale dedito a proteggere gli immigrati, nonostante gli sforzi possibili, riesce a salvare. È sui dialoghi che lavora efficacemente il regista-sceneggiatore, sulle inquadrature dei visi esterrefatti dal dolore, sulle lacrime di Zainab e sulla disperazione della mamma Mouna ferita nell’affetto più caro, quello di un figlio. Un ragazzo d’oro che ha il torto di cercare un futuro migliore.

Tra le diverse sequenze che segnano il film, due sono le più significative. La prima è quella di una gita che il protagonista organizza per tenere compagnia alla mamma e alla ragazza del giovane arrestato. Le conduce sul battello che naviga davanti a Ellis Island, isoletta che rappresenta il luogo dove gli Stati Uniti accoglievano milioni di immigrati da tutto il mondo tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900. Davanti a loro tre si staglia non solo il panorama di un pezzo di terra che non respingeva ma accettava gli stranieri anche senza documenti, ma anche la statua più famosa al mondo che domina il porto di New York, emblematicamente simbolo dell’accoglienza e della Libertà (che illumina il mondo, nome completo del monumento). Quanto stride quel simbolo con le vicissitudini di quell’immigrato e di tutti gli altri! L’altra scena che fa clamore si svolge allo sportello del centro di detenzione dove si rivolgono i visitatori dei prigionieri, in cui, vista la difficoltà di ottenere informazioni precise e avuta la notizia che Tarek è stato rimpatriato senza alcun preavviso, Walter, uomo tranquillo, timoroso e perbene, perde la pazienza e urla con le vene del collo gonfe contro l’agente e si rifiuta di allontanarsi. “Non potete portar via la gente così, mi ha sentito? È un brav’uomo, una brava persona! Non è giusto? Voi non potete trattarci in questo modo! Aveva una sua vita! Mi avete sentito? Sono riuscito a spiegarmi? Ma che problemi avete?” Mouna sopraggiunge per calmarlo e con la rassegnazione e la dignità che solo una donna mediorientale può dimostrare, lo esorta: “Andiamo, andiamo, non possiamo fare più niente.” Che bravi! Straziante poi il finale nella metropolitana dove si reca il professore, che ormai sta rinunciando alla vita condotta fino a quel momento, con il tamburo africano che Tarek ha lasciato: si siede su una panchina ed inizia a suonare sempre più veemente in mezzo ai tanti che aspettano il treno. Un tambureggiare che ha il suono che viene da lontano nel tempo e nello spazio, una protesta civile di un uomo civile contro una prassi incivile e disumana, parzialmente giustificata soltanto dal terrore scaturito dalla distruzione delle Twins Towers, ferita mai rimarginata.

Il film dell’ottimo Tom McCarthy lascia il segno, che addolora chi lo guarda, che fa riflettere. Senza mai esagerare nel vittimismo o nel pietismo: se il regista voleva indicarci il problema, questo risulta molto evidente e lui ci è riuscito. Anche per merito di attori che hanno il pregio di assecondare l’operazione, a cominciare da quel volto, spesso anonimo, tantissime volte in seconda fila, uno dei tanti comprimari che amiamo perché completano un film, anche d’autore: Richard Jenkins è meraviglioso con quel modo innocuo di agire, con il minimalismo del suo modo di recitare, con la presenza discreta che non vuole disturbare, figura perfetta per esser un professore dalla vita anonima che si accende in una situazione assurda e per una donna che arriva da lontano, da una terra che gli americani quasi non sanno dove sia. A fargli compagnia è Hiam Abbass, che ingentilisce ogni ruolo e rende nobile ogni personaggio, che ha in sé quell’espressione mediorientale che affascina, con lo sguardo che può ricordare Irene Papas, donne che raccontano la loro terra con uno sguardo.
Film bellissimo!
Riconoscimenti
2009 – Premi Oscar
Candidatura miglior attore protagonista a Richard Jenkins
2009 – David di Donatello
Candidatura miglior film straniero
ed inoltre 19 vittorie e 35 candidature totali


























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