L’ultimo turno (2020)
- michemar

- 11 dic
- Tempo di lettura: 2 min

L’ultimo turno
(The Last Shift) USA 2020 dramma 1h30’
Regia: Andrew Cohn
Sceneggiatura: Andrew Cohn
Fotografia: W. Mott Hupfel III
Montaggio: Mindy Elliott
Musiche: Mark Orton
Scenografia: Adri Siriwatt
Costumi: Anne Dawson
Richard Jenkins: Stanley
Shane Paul McGhie: Jevon
Da'Vine Joy Randolph: Shazz
Ed O'Neill: Dale
Birgundi Baker: Sidney
Allison Tolman: Evelyn
Deron J. Powell: Perry
Julian Parker: Brandon
Tracey Bonner: Crystal
Cairo McCarter: Carter
Dano Duran: Fernando
TRAMA: Stanley, anziano dipendente di un fast food, si prepara al suo ultimo turno di notte dopo 38 anni di servizio. Quando gli viene chiesto di addestrare colui che lo sostituirà, Stanley vedrà il suo fine settimana prendere una piega inaspettata.
VOTO 6

Le commedie sugli “uomini bloccati” (chiamiamoli così) non sono certo una novità, ma il regista e sceneggiatore Andrew Cohn prova a dare una sfumatura diversa a questo filone. Dopo 38 anni passati a lavorare nel fast food Oscar’s Chicken and Fish, Stanley (Richard Jenkins), un uomo che ha abbandonato la scuola e ha sempre seguito il regolamento come fosse un vangelo, decide di ritirarsi. Figura quasi mitica del turno di notte, dispensatore di consigli ai ragazzi del quartiere, non si accorge di essere spesso oggetto di scherno.
Nei suoi ultimi giorni di lavoro, il manager gli affida il compito di formare Jevon (Shane Paul McGhie), giovane appena uscito di prigione e aspirante scrittore. Costretto a mantenere un impiego per non tornare dietro le sbarre, il giovane affronta il lavoro con riluttanza. Tra i due nasce un rapporto di reciproca comprensione, ma il film evita i cliché da “strana coppia”, per cui Cohn mette in primo piano le tensioni razziali e sociali che impediscono una vera connessione.
Stanley crede che basti lavorare duro per avere successo, ma non riconosce i privilegi che la sua pelle bianca gli garantisce. Jevon, invece, percepisce chiaramente come il sistema sia costruito per ostacolare chi non gode di quelle stesse opportunità. Questa dinamica rende il film interessante, anche se la regia non approfondisce fino in fondo le implicazioni più complesse. Nel tentativo di mettere i due personaggi sullo stesso piano, la narrazione finisce per attenuare il peso delle discriminazioni sistemiche.

Le interpretazioni restano il punto forte: Richard Jenkins, che ha quasi sempre interpretato ruoli di uomini che non rischiano mai, incarna con sensibilità una persona logorata dal lavoro e dall’orgoglio mal riposto, mentre Shane Paul McGhie lo trovo molto bravo a trasmette energia e vulnerabilità. Tuttavia, le loro prove mettono in evidenza le loro occasioni mancate alla pari di quelle del film, che rimane un racconto ben intenzionato ma troppo superficiale: se il regista avesse avuto la pazienza ed il coraggio di far sanguinare le ferite sociali inerenti questi argomenti, ne sarebbe scaturito un’opera certamente più interessante ed incisiva.

Anche se può parere un’occasione persa, il film è degno di attenzione (è stato presentato al Sundance), perché affronta temi di privilegio e disuguaglianza con buone intenzioni, pur senza la profondità necessaria. Oltretutto rimane sorretto dalle ottime interpretazioni dei due protagonisti.














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