L’uomo dai 7 capestri (1972)
- michemar

- 8 lug
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 26 ago

L’uomo dai 7 capestri
(The Life and Times of Judge Roy Bean) USA 1972 western 2h
Regia: John Huston
Sceneggiatura: John Milius
Fotografia: Richard Moore
Montaggio: Hugh S. Fowler
Musiche: Maurice Jarre
Scenografia: Tambi Larsen
Costumi: Edith Head
Paul Newman: giudice Roy Bean
Jacqueline Bisset: Rose Bean
Ava Gardner: Lillie Langtry
Tab Hunter: Sam Dodd
John Huston: Grizzly Adams
Stacy Keach: Bad Bob
Roddy McDowall: Frank Gass
Anthony Perkins: rev. La Salle
Victoria Principal: Maria Elena
Ned Beatty: Tector Crites
Richard Farnsworth: Dick Farnsworth
Jack Colvin: Pimp
Matt Clark: Nick
Michael Sarrazin: marito di Rose
TRAMA: A Vinegaroon, in Texas, l’ex fuorilegge Roy Bean si nomina giudice della regione e dispensa il suo marchio di giustizia come meglio crede.
VOTO 7

Prima di iniziare ad esaminare il film, che è una storia vera e davvero singolare, non si può fare a meno di notare i nomi dei due cast. Nel tecnico si riuniscono nientemeno che due John: Huston alla regia (anche interprete) e Milius alla sceneggiatura, oltre a nomi eccellenti nel resto dell’elenco, e mettere assieme al lavoro questi due ragazzoni vuole dire attendersi di tutto e di più. Il cast tecnico, poi, basterebbe per formarne altri per tanti film con i vari attori sparsi a dare lustro ad ognuno di essi. Paul Newman, Jacqueline Bisset, Ava Gardner, Tab Hunter, Stacy Keach, Anthony Perkins, Victoria Principal, Ned Beatty, Richard Farnsworth: da far girare la testa.

Il film? Non è tanto pazzoide come chi lo ha immaginato, scritto e girato, quanto è originale e incredibile la trama in quanto vera. Esistito davvero, il bandito texano Roy Bean (Paul Newman) ne ha combinate di tutti i colori durante la sua carriera. A un certo momento decide di passare dalla parte della legge e si autoproclama giudice, nominando suoi aiutanti un’eterogenea banda di fuorilegge e amministrando la giustizia con metodi poco ortodossi. Si trova a dover difendere la vecchia frontiera dall’avanzata di una nuova e avida America.

A voi non so, ma a me ricorda un presidente degli USA dai capelli gialli fluenti, che accomoda i suoi amici miliardari nelle poltrone più influenti del suo governo, che, andato al potere, adatta le leggi e gli amministratori della giustizia (vedi Corte Suprema) a suo piacimento. D’altronde sappiamo tutti bene quale pensiero politico abbia Milius e come si sia trovato bene a scrivere la sceneggiatura.

Il film è una provocazione in forma di western, un’esplosione di fascino anarchico e nostalgia virile e se ne può fare comodamente una resa dei conti ideologica, un manifesto in stile Milius che combatte il revisionismo hollywoodiano degli anni ‘70 con la mitologia di frontiera. Lui si è sempre definito “fascista zen”, e il film è il frutto dell’unione fra la sua visione autoritaria e la barbarie ruspante di Huston.

Il western è molto più di una ricostruzione storica del mitico giudice texano: è un inno dissacrante al potere individuale, alla giustizia armata e alla nostalgia di un mondo in cui la frontiera era l’ultimo baluardo contro il compromesso. Nella surreale contea di Vinegarroon, un grandissimo e a suo agio Paul Newman interpreta Bean come un emblema di brutalità redentrice: un uomo che, dopo essere stato derubato e lasciato mezzo morto, torna armato per stabilire la legge, la sua, e l’ordine, a modo suo. Attorno a lui si costruisce una città governata dal culto della mitica attrice Lillie Langtry (Ava Gardner), mai conosciuta ma adorata come simbolo di civiltà perduta.

Tra orsi da compagnia, giudizi sommari e duelli con assassini albini, il film dipinge una visione muscolare e provocatoria dell’America, dove l’autorità non è negoziabile e il progresso passa per la fucilazione dei disordini. Ogni personaggio, dall’albino Bad Bob (Stacy Keach) all’avvocato Frank Gass (Roddy McDowall), rappresenta un frammento di decadenza o resistenza al cambiamento.
Ma il vero nemico non sono i fuorilegge, bensì la rispettabilità imposta dalle donne che trasformano Vinegarroon in una città borghese e codificata. È l’apocalisse dell’ideale virile: Bean abbandona tutto, ma vent’anni dopo torna a incendiare la città in un gesto finale di glorificazione del mito.

Huston e Milius raccontano così la tensione tra mito e realtà, dove la nostalgia per la virilità perduta si fa farsa, ma anche desiderio profondo di verità non mediata. È un manifesto contro la burocratizzazione del potere e un’ode alla libertà, non intesa come diritto, ma come esercizio di forza.

Roy Bean è il fulcro centrale e va esaminato più a fondo, perché non è solo un personaggio cinematografico: è l’incarnazione di una visione brutale e romantica dell’autorità, un mito scolpito dalla penna provocatoria di John Milius e portato in vita da Paul Newman nel film. Egli impone la legge non come principio universale, ma come estensione del suo ego e delle sue ossessioni, il suo tribunale diventa teatro di giustizi sommari dove il verdetto è già scritto e il processo è una farsa: la colpa è presunta, la pena inevitabile. Figlio di una frontiera senza regole, egli rappresenta l’autorità non mediata dalle istituzioni. La sua mitologia si basa sulla convinzione che l’ordine possa esistere solo se imposto con violenza, che la civiltà sia possibile solo grazie a uomini armati e irremovibili.
Che coppia John – John!

Riconoscimenti
Oscar 1973
Candidatura miglior canzone originale
Golden Globe 1973
Candidatura miglior canzone originale
Candidatura miglior promessa femminile a Victoria Principal












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