L'uomo invisibile (2020)
- michemar

- 18 apr 2020
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 12 lug 2024

L’uomo invisibile
(The Invisible Man) Australia/USA 2020 thriller/horror 2h4’
Regia: Leigh Whannell
Soggetto: H.G. Wells (romanzo)
Sceneggiatura: Leigh Whannell
Fotografia: Stefan Duscio
Montaggio: Andy Canny
Musiche: Benjamin Wallfisch
Scenografia: Alex Holmes
Costumi: Emily Seresin
Elisabeth Moss: Cecilia Kass
Oliver Jackson-Cohen: Adrian Griffin
Storm Reid: Sydney
Aldis Hodge: James
Harriet Dyer: Emily Kass
TRAMA: Vittima di una violenta relazione con un ricco e brillante scienziato, Cecilia Kass fa perdere le sue tracce con l'aiuto della sorella, di un loro amico d'infanzia e della figlia adolescente di questi. Quando però l'ex si suicida e le lascia in eredità parte della sua vasta fortuna, Cecilia ha il sospetto che la morte sia stata solo una messa in scena. Mentre una serie di misteriose coincidenze assume toni letali, minacciando le vite di coloro che ama, Cecilia vede la sua psiche messa a dura prova da qualcuno che nessuno può vedere.
Voto 7

Alla fine dell’800 usciva un romanzo thriller di H. G. Wells che affascinava il lettore perché trattava di fantascienza, di un uomo che riusciva a diventare invisibile all’occhio delle altre persone. Una cosa non solo impossibile ma anche stregante, dal momento che un espediente del genere rende un potere molto comodo e nello stesso tempo pericoloso, per i vari risvolti criminali in cui si può sfruttare. Più volte il cinema si è interessato a questo argomento, tante sono le rivisitazioni cinematografiche, l’importante è sempre stato avere a disposizione un bravo tecnico degli effetti speciali anche se il primo esempio si è già visto nel 1933. L’elenco dei film susseguiti, più o meno attinenti, non è breve ma sicuramente la tecnologia attuale ha reso possibile una versione ancora più spinta, soprattutto per merito di un regista, Leigh Whannell, che si è sempre occupato da sceneggiatore di opere horror (vedi l’esempio più eclatante, Saw). Ma guai a considerare questo come un semplice film di genere, perché per le considerazioni implicite alla trama ci parlano anche di ben altro.

La prima annotazione riguarda gli abusi casalinghi e lo stalkeraggio, argomenti che qualche decennio fa si sottacevano e si sottovalutavano, e ancora peggio non erano considerati veri reati da punire. Solo perché ritenuti attinenti alla vita privata delle persone. Diciamolo meglio: delle donne, individui che la legge ha tardato millenni a proteggere adeguatamente. E queste considerazioni sono quelle che riguardano la trama spicciola, le più evidenti. Il film in verità apre anche ad altre più profonde riflessioni di tipo politico e psicologico. L’opera di Whannell, pur restando ampiamente nel canone del genere, ci apre uno squarcio sulla discussione di come si può e si deve affrontare una minaccia invisibile, come combatterla, come difendersi, se è lecito usare ogni mezzo, compreso la violenza in risposta di quella che si subisce, e così via. In più, innegabile diventa pensare a quel nemico invisibile che si aggira questi mesi per tutte le strade del mondo, quel mostro di coronavirus che sta affliggendo l’umanità e di cui non conosciamo ancora la fine. Parimenti non lo vediamo, non ha odore, non si avverte la minima presenza, ma è dappertutto e ci può aggredire all’improvviso in ogni luogo. Ed è la politica e sono gli amministratori di ogni livello che devono occuparsene per dare soluzioni permanenti. Senza trascurare che “invisibile” è anche l’invadenza a danno della privacy di ogni cittadino del mondo, quella intrusione telematica che tanto ci spaventa. Ma andiamo oltre. È anche un problema psicologico (e molto teorico): lo sguardo di chi ci vede ma che non avvertiamo, subire un’oppressione mentale e fisica e nessuno intorno a noi che ci crede. Peggio ancora: tutti ti considerano pazzo perché parli di una cosa che non vedono e che quindi non esiste.

C’è una donna, una moglie chiamata Cecilia (una immensa Elisabeth Moss) che subisce angherie domestiche da un marito-possessore-violento che è dotato di una intelligenza molto al disopra della media, tanto che è un ricco ingegnere e uomo d’affari, Adrian, che si occupa di invenzioni e brevetti riguardanti l’ottica, lenti e telecamere. Quest’uomo utilizza tutta la tecnologia in suo possesso per controllare ogni centimetro della sua lussuosa e modernissima abitazione e la vita, secondo per secondo, della moglie. La sequenza iniziale è molto significativa per dimostrare la pessima esistenza che ella conduce e la sua voglia di liberarsi del marito e della sua dorata prigione. È notte e siamo in una camera da letto in cui la sveglia indica l’orario, le 3.41, che è il momento in cui Cecilia ha deciso di far scattare il piano preparato meticolosamente, perché ogni minimo errore significherebbe essere scoperta dall’uomo che è a fianco a lei nel letto e la conseguente inevitabile punizione violenta. Traspare evidente la sua agitazione e mentre manomette qualche microtelecamera come previsto dal suo piano segue un percorso ben nascosto dagli innumerevoli occhi elettronici e scavalca il muro di perimetrazione del parco: è in orario per l’appuntamento con la sorella allertata che la raggiunge in auto e poi via, velocemente, mentre il marito improvvisamente irrompe, svegliatosi dai sonniferi che lei gli aveva. Un incipit palpitante ed ansiogeno. E non è che l’inizio, figuriamoci il resto.

“Controllava tutto di me”, dice Cecilia. “Controllava il mio aspetto, cosa mi mettevo, cosa mangiavo, quando uscivo di casa, cosa dicevo, cosa pensavo.”

Il resto è un precipitare continuo, un inarrestabile accadimento di avvenimenti violenti e cruenti. Chiunque provi a proteggerla, la sorella, l’amico d’infanzia che la nasconde in casa, la figlia di quest’ultimo, non è al sicuro perché “qualcuno” si aggira continuamente nei dintorni, nelle stanze, nei corridoi, fuori nel giardino, per strada. Quel “qualcuno” è sempre presente e non si vede, ma lei lo “sente”, perché lo conosce bene, sa ragionare col suo cervello, sa intuirlo e la sua angoscia e il suo terrore crescono a dismisura a causa del fatto che nessuno crede, ovviamente, ai suoi sospetti, anzi certezze. Nessuno può razionalmente darle ragione, neanche le persone che vogliono aiutarla: è assurdo ciò che racconta, come si fa a crederle? Tra i tanti pericoli evitati e le morti che si susseguono attorno a Cecilia, succede l’imprevisto che capovolge la situazione, che a questo punto non può che favorirla, che invece la rende più sospettosa di prima, fino ad arrivare alla conclusione che adesso è maggiormente in pericolo. La notizia è che Adrian è morto. Notizia a cui lei non crede assolutamente e ciò vuol dire che la sua vita è minacciata ancor più di prima. Più che un assedio, più che un continuo inseguimento, adesso è battaglia vera, senza esclusione di colpi, e sul quel terreno di battaglia giacciono troppi cadaveri, i cui omicidi vengono imputati alla donna: maltrattata, accusata di assassinio, creduta pazza, arrestata, chiusa in un manicomio criminale. Cecilia è in fondo al pozzo e il “pendolo” oscilla inesorabile sul suo corpo. Ne può venire fuori? Difficilissimo, ma la grinta, la forza di resistenza e l’istinto di sopravvivenza – perché di questo si tratta – le daranno la scintilla per intuire la via da seguire per venirne a capo. Quando al termine pianifica e porta a termine la dolce giustizia, punta dritto lo sguardo alla camera da presa: ci guarda, ci interroga, ci spiega senza parlare. Un accenno di sorriso sotto gli occhi fissi. Sarcastico, soddisfatto, liberatorio.


L’esperienza di Leigh Whannell nel campo dell’horror si nota tutta ed è sicuramente servita a sfornare un film che tiene lo spettatore inchiodato e soprattutto in continua ansia, un film in cui la pressione non cala neanche un secondo, dove addirittura, una volta sintonizzati per bene nell’atmosfera (e ciò succede ben presto, sin dall’inizio), ogni momento in cui pare che la tensione cali è un tranello mentale perché sta sicuramente per succedere qualcosa di terribile. È una regia che ci fa percorrere un lungo percorso su un filo d’acciaio che sta per spezzarsi, che ci fa vivere come in prima persona le angosce della protagonista, una regia così vigile e provocatoria che (mi si passi l’irriverente paragone) pare di assistere ad un film del David Fincher degli ultimi tempi. Colpi e contraccolpi da sobbalzare, una suspense che si taglia con il coltello. Quando un super thriller assesta il colpo finale non puoi aspettarti che stia preparando il terreno per un ulteriore colpaccio terminale! E chi poteva meglio di tutte le attrici in circolazione trasmettere le angosce e le terribili sensazioni di Cecilia se non Elisabeth Moss? Sembra uscita direttamente da The Handmaid's Tale (non ha in comune l’argomento della sottomissione femminile?) per approdare con le stesse espressioni tragiche, con la stessa sofferenza fisica e mentale esaltando la sua verve interpretativa, esibendo una performance superlativa. Bravissima!!! Il resto del cast è adeguato ma è contorno, Elisabeth è al centro dell’universo.

Dice il regista: “Nel romanzo di Wells il protagonista è uno scienziato che scivola nella follia, a me interessava invece coglierne le ossessioni e ciò che lo rende cattivo alla stregua di un antagonista. Ecco perché ho deciso di raccontare la storia seguendo il punto di vista della vittima, dando voce a una donna che fugge dal violento compagno scienziato e si convince tempo dopo di avere a che fare con lui ma in maniera inaspettata e, soprattutto, poco credibile per gli altri. Una donna convinta che il suo ex, sfruttando la scienza, sia divenuto invisibile per perseguitarla. La sua teoria agli occhi di tutti sembra folle e paranoica e lei stessa si ritrova a mettere in discussione la propria integrità psicologica mentre cerca di proteggere dal pericolo non solo se stessa ma anche le persone che ama.”
43 vittorie e 84 candidature: non male per un film a cavallo tra il thriller e l'horror!






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