La camera azzurra (2014)
- michemar

- 9 ott 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 9 giu 2023

La camera azzurra
(La chambre bleue) Francia 2014 dramma/thriller 1h16’
Regia: Mathieu Amalric
Soggetto: Georges Simenon (romanzo)
Sceneggiatura: Stéphanie Cléau, Mathieu Amalric
Fotografia: Christophe Beaucarne
Montaggio: François Gédigier
Musiche: Grégoire Hetzel
Scenografia: Christophe Offret
Costumi: Dorothée Guiraud, Mónica Neumaier
Mathieu Amalric: Julien Gahyde
Léa Drucker: Delphine Gahyde
Stéphanie Cléau: Esther Despierre
Laurent Poitrenaux: giudice
Serge Bozon: poliziotto
Blutch: psicologo
Mona Jaffart: Suzanne Gahyde
TRAMA: Julien, un uomo felicemente sposato con Delphine, vive per alcuni mesi un'ardente passione con l'ex compagna di classe Esther, anche lei sposata con il ricco Despierre. La morte di quest'ultimo, avvenuta in circostanze non totalmente chiare, sarà attribuita in un primo tempo a Julien, che subirà continui interrogatori in cui dovrà chiarire ogni dettaglio della propria esistenza, e successivamente ad Esther; in seguito è considerato responsabile della morte di Delphine, per avvelenamento. Quale sarà la verità?
Voto 7

La chambre bleue, soggetto alla base del film, è un romanzo di Georges Simenon del 1963 che ha tutte le caratteristiche di quei tanti libri che hanno reso celebre e portato meritato successo allo scrittore, autore prolifico che ha ispirato molteplici trasposizioni cinematografiche e televisive. Come dimenticare la meravigliosa serie del commissario Maigret con Gino Cervi, tuttora suo insuperabile interprete? Neanche in questa occasione la fama viene smentita e il racconto si rivela denso di misteri, tensioni, eccellenti risvolti psicologici e precisione millimetrica dello sviluppo che tiene alta l’attenzione del lettore e, stavolta, dello spettatore, merito anche della bravura di chi è occupato della puntuale sceneggiatura.

L’operazione del pluripremiato attore regista francese Mathieu Amalric doveva essere infatti quella essenzialmente di trasportare le belle atmosfere del romanzo dello scrittore sullo schermo, lasciandone intatte le descrizioni immaginarie che ci siamo fatte leggendo i suoi libri: la campagna, le abitazioni, le abitudini, il cibo, i forti sentimenti. Soprattutto questi ultimi, perché conosciamo bene come quella letteratura fosse una sapiente descrizione dell’animo umano, di come tra le righe delle pagine si possa scoprire il carattere profondo dei personaggi e dell’ambientazione nei tempi. Ebbene, il premio César Mathieu Amalric si può dire che ci è riuscito, pur trasportando la scabrosa vicenda narrata ai tempi più moderni, coadiuvato nella scrittura dalla co-protagonista Stéphanie Cléau, qui anche attrice, che era sua compagna di vita durante il periodo del set. L’ambientazione borghese, sempre ben descritta da Simenon, resta intatta e in quella si sviluppa una tormentata storia d’amore e di tradimenti, piena di sesso e passione, fino a quelle svolte che sfuggono di mano dando luogo a due morti che non paiono affatto accidentali, come in un primo momento. Questo perché la sceneggiatura è davvero notevole, costellata di dialoghi intelligenti, risposte secche e taglienti, talora perfino riflessive sulla natura dell’uomo.
“Dimmi Julien, se diventassi libera, ti libereresti anche tu?”
Dopo la sentenza della corte, che commina l’ergastolo ad entrambi, Estherdice a Julien: “Hai visto Julien, non sono riusciti a separarci.”

I due interpreti principali sono perfetti e riescono a dare l’idea precisa dei loro caratteri, sia con gesti misurati che con la recitazione richiesta. Julien è, con lo sguardo perennemente allarmato, principale caratteristica degli occhi del bravissimo Mathieu Amalric, quello sempre in ambasce, con la paura di non essere mai creduto. Perché le risposte che dà al magistrato inquirente sembrano davvero sincere e spontanee, non mascherate da improvvisazioni o bugie per nascondere la verità. Invece Esther è sempre calma, sicura, mai spaventata dalla piega che le indagini stanno prendendo. Ha occhi solo per l’amante, a cui ripete con affetto il saluto appena lo scorge e gli ricorda l’amore che vive in lei. Una evidente contrapposizione – notevolmente caratterizzata dal lampante condizionamento che Julien subisce dalla donna - che si unisce alle altre due che risaltano nella visione. La prima è il contrasto tra le peculiarità architettoniche dei due ambienti in cui si svolge la maggior parte degli avvenimenti: il centro cittadino composto da palazzi tipici delle città francesi, edifici della borghesia (il marito di lei è un farmacista) abitati da famiglie agiate; la lussuosa villa dei Gahyde, di stile ultramoderno, costituito da cubi di cristallo e acciaio, immerso nella campagna. Secondo elemento di contrapposizione è la maniera scelta per la narrazione della trama e dal conseguente montaggio richiesto: l’ossatura principale è la serie di interrogatori a cui vengono sottoposti i due amanti accusati di omicidio mentre la trama è raccontata tramite continui flashbacks, che compongono i tasselli del romanzo. Quindi piano piano intuiamo quello che è successo dall’inizio dei fatti sino al momento dell’arresto dei due protagonisti. Tutto ben fatto, ben scritto, ben filmato, in un pregevole film.

Mathieu Amalric – nato da madre ebrea polacca originaria dello stesso paese della famiglia di origine di Roman Polanski - è bravo ad essere essenziale (il film dura anche pochissimo) e sa dare ritmo e soprattutto interesse agli interrogatori che i due devono ovviamente subire. Molto apprezzabili anche le interpretazioni dei tre personaggi principali: lo stesso autore, efficace in ogni occasione, la sua donna Stéphanie Cléau e nel ruolo della consorte del primo, Léa Drucker, attrice che si era fatta notare nell’interessante L'affido - Una storia di violenza, di cui ho scritto qui.

Indubbiamente un buon giallo psicologico, in cui il regista non ha tentennato quando ha ritenuto giusto e opportuno mostrare scene di nudo per parlarci dell’intenso rapporto più sessuale che affettivo tra i due personaggi: lei molto più aggressiva e innamorata di lui, che ha sempre tentennato, frenato dal sincero (?) sentimento verso la moglie ma soprattutto dall’attaccamento verso la figlia. Il tutto girato in un coraggioso formato immagine 1:33, come per far concentrare il nostro sguardo solo sull’epicentro della storia.






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