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La cosa (1982)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 22 feb
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 4 ott

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La cosa

(The Thing) USA, Canada 1982 horror 1h49’

 

Regia: John Carpenter

Soggetto: John W. Campbell

Sceneggiatura: Bill Lancaster

Fotografia: Dean Cundey

Montaggio: Todd C. Ramsay

Musiche: Ennio Morricone

Scenografia: John L. Lloyd

Costumi: Ronald I. Caplan, Trish Keating, Gilbert Loe

 

Kurt Russell: R.J. MacReady

Wilford Brimley: dr. Blair

T. K. Carter: Nauls

David Clennon: Palmer

Keith David: Childs

Donald Moffat: Garry

Charles Hallahan: Vance Norris

Peter Maloney: George Bennings

Richard Masur: Clark

Richard Dysart: dr. Copper

 

TRAMA: Gli scienziati di una base di ricerche in Alaska raccolgono un cane lupo che i loro colleghi norvegesi hanno tentato di abbattere. Lo mettono nel canile mentre due di essi si recano nella base norvegese che trovano abbandonata e piena di cadaveri. Trovano anche i resti di quello che sembra un disco volante. In breve, il cane viene posseduto da una strana forza e si trasforma in belva. Il panico si diffonde nella base.

 

VOTO 7


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Quando uscì nel 1982, il remake di John Carpenter (difatti è liberamente tratto dal racconto La cosa da un altro mondo (1938) di John W. Campbell, già alla base del film La cosa da un altro mondo (1951) prodotto da Howard Hawks) suscitò dibattiti sulla sua efficacia rispetto all’originale e complessivamente sul genere. Alla fine, giustamente, è stato accettato per ciò che è: un remake raro e fatto molto bene che rimane fedele alla premessa originale ma introduce elementi unici. Lo dimostra il fatto che offre tutt’oggi un’esperienza completamente diversa rispetto ad altri film simili.



Si segue un equipaggio di 12 uomini alla stazione antartica degli Stati Uniti che non è altro che un avamposto. Le loro vite cambiano quando un cane inseguito da un elicottero norvegese arriva al campo. I norvegesi muoiono, ma il cane sopravvive e si scopre così che l’animale è un alieno capace di contaminare le creature che tocca: l’alieno si infiltra nelle stanze rendendo impossibile sapere di chi fidarsi.



Kurt Russell guida un cast corale che include Wilford Brimley, Richard Dysart, Keith David, Richard Masur, Donald Moffat e Charles Hallahan. Lui è l’eroe, il protagonista assoluto, ma gli altri offrono buone interpretazioni nonostante la poca profondità dei loro personaggi. Il suo R.J. MacReady è pragmatico, rapido nel pensare, calmo sotto pressione e abile con le armi, ma il film ci dice poco altro su di lui. Il dottor Blair, interpretato da Brimley, doveva inizialmente essere affidato a Donald Pleasance, ma un conflitto di programmazione lo impedì.



L’atmosfera caratterizzata dalla paranoia è un elemento centrale della trama e del successo del film, mentre l’ambientazione stabilisce che i personaggi sono isolati e non possono aspettarsi alcun aiuto esterno. Inoltre, la possibilità che ci sia un alieno tra loro e che uno di loro potrebbe non essere umano contribuisce alla crescente tensione nel film. La ricerca per identificare gli alieni occupa circa metà del tempo di esecuzione del film e include diverse false piste, compreso la sequenza del test del sangue in cui MacReady utilizza i campioni di tutti per eliminare alcuni membri dell’equipaggio. Lo scontro finale con l’alieno presenta infine significativi effetti speciali e non pochi colpi di scena eclatanti, ma risulta meno coinvolgente rispetto alla sezione centrale del film.



La ricostruzione di Carpenter di una stazione antartica è accurata, fino al punto che non si mette mai in dubbio che questi uomini siano isolati in un deserto ghiacciato. Lo stile di vita spartano contribuisce alla sensazione di claustrofobia e paranoia che emerge quando diventa chiaro che uno di loro potrebbe essere vicino a un alieno. Il talento del regista, vero maestro dell’horror e della suspense, sviluppato già molto bene in Halloween - La notte delle streghe, è evidente anche in questo film. Gli spettatori, in particolare quando lo si vede per la prima volta, provano una tensione significativa durante gran parte della visione.



Nonostante il budget maggiore rispetto al solito per il regista, il film non perde nulla rispetto al consueto stile di Carpenter, anzi si può anche affermare che sia l’ultimo film del suo periodo più creativo. Buon merito complessivo va anche a Dean Cundey, il direttore della fotografia, mentre è Ennio Morricone che dà un notevole contributo con una colonna sonora in uno stile sobrio e semplice, molto simile a quello di Carpenter, che spesso ha provveduto in prima persona a scrivere le musiche dei suoi film.



Oggi lo consideriamo un gran film ma non va dimenticato che alla sua uscita fu criticato per essere troppo cruento e non piacque a tutti, soprattutto a chi lo definì un film addirittura disgustoso. Gli effetti speciali erano innovativi ma, con i progressi successivi, sembrano meno sorprendenti di quelli moderni. Oggi, a distanza di tempo, possiamo apprezzare meglio la storia e la sua realizzazione, nonostante il minore impatto visivo, che non sorprende più di tanto, insomma.



Un paragone appropriato forse resta il mitico Alien di Ridley Scott: entrambi i film hanno molte somiglianze: la creatura nascosta, l’equipaggio isolato e intrappolato, un personaggio che prende il controllo e l’azione in spazi bui. E se quello di Scott, passato alla storia come una casa stregata nello spazio, mescolando horror e fantascienza, l’opera di Carpenter vi aggiunge un tocco misterioso da racconto “giallo”, rendendolo unico e imperdibile per i fan del genere.



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